Sergej Lavrov ha definito “molto utile” l’incontro svoltosi oggi a Parigi tra i Ministri degli esteri del “gruppo normanno” (Francia, Russia, Germania e Ucraina), il primo dopo l’incontro tra Putin, Merkel, Hollande e Poroshenko, lo scorso 12 febbraio a Minsk.
Evidentemente, il Ministro degli esteri russo è a conoscenza di molti aspetti della vicenda, di cui al momento noi non disponiamo. Le ultime informazioni a proposito della situazione ucraina sono che Petro Poroshenko, in visita negli Emirati arabi, ha sottoscritto una serie di accordi per la fornitura di vari tipi di armi e mezzi bellici, come dichiarato dal Consigliere del Ministero degli interni ucraino Anton Gherashenko. Ma le armi a Kiev, secondo il leader di Donetsk Aleksandr Zakharcenko, stanno già affluendo in misura massiccia anche da parte statunitense. “In Ucraina nessuno ha intenzione di fare la pace” ha detto Zakharcenko a RIA Novosti; “Kiev mina con ogni mezzo gli accordi raggiunti a Minsk”. Inoltre “Poroshenko, con la richiesta di intervento delle forze di pace, ha di fatto riconosciuto la propria capitolazione. Se il Presidente di un paese chiede l’intervento di soldati di un altro stato sul proprio territorio, ciò equivale a riconoscere che il proprio esercito non è in grado di adempiere i compiti assegnati”, ha detto Zakharcenko, in riferimento alla richiesta avanzata da Kiev lo scorso 18 febbraio a ONU e Ue perché dislochino una missione di pace (che escluda forze russe) lungo la linea di demarcazione con le milizie e lungo il segmento di frontiera tra Ucraina e Russia non controllato da Kiev.
A proposito delle forniture di armi a Kiev da parte statunitense ha parlato oggi anche il vice Ministro degli esteri russo Sergej Rjabkov, facendo seguito alle dichiarazioni del Segretario di Stato USA John Kerry, secondo cui nei prossimi giorni Barack Obama deciderà sulla questione. Intervenendo a Ginevra, Rjabkov ha detto che “ciò costituirebbe un colpo durissimo agli accordi di Minsk; minerebbe l’intera situazione e costituirebbe un’ulteriore conferma del fatto che coloro che adottano una tale decisione vengono guidati esclusivamente dai propri concetti geopolitici sulla necessità del cosiddetto contenimento, se non addirittura dell’abbattimento della Russia. Voi capite che non possiamo rimanere indifferenti di fronte a tali provocazioni e di conseguenza saremo costretti a reagire>, ha detto Rjabkov.
A fronte di ciò, la Repubblica di Lugansk ha annunciato il ritiro oggi dei sistemi a reazione BM-21 dall’area di Debaltsevo, dopo quello delle artiglierie e nel giro di due-tre giorni verranno ritirate tutte le armi. Dalla stessa zona sono state oggi allontanate anche circa 100 unità delle artiglierie della Repubblica di Donetsk e nei prossimi giorni la DNR allontanerà i sistemi a reazione tipo “Grad”, “SAU” e D-30, quantunque non si nutra particolare fiducia in un passo equivalente da parte di Kiev. Anzi, secondo la leadership della Repubblica di Donetsk, si prevede una nuova offensiva ucraina forse per fine marzo o inizio aprile.
E mentre i nazionalisti di estrema destra di Pravyj sektor hanno annunciato l’organizzazione per domani di una marcia a Kiev per manifestare contro la politica della leadership ucraina, da loro ritenuta troppo “accomodante” e arrendevole nei confronti dei ribelli, le stesse autorità ucraine hanno reso noto il numero ufficiale di bambini rimasti uccisi sinora nel corso del conflitto nel Donbass. Secondo Kiev quasi 70 bambini sarebbero morti e 127 feriti. Le cifre, che corrispondono approssimativamente a quelle pubblicate dall’ONU, molto probabilmente non testimoniano le reali dimensioni della tragedia, se è vero che il numero totale di morti (civili e militari) reso noto poche settimane fa dai servizi segreti tedeschi e mai smentito, è di dieci volte superiore a quello ufficiale – 5.700 – fornito finora delle Nazioni Unite. Sicuramente, le cifre non dicono chi e come si sia reso responsabile della morte di quei bambini, sparando con artiglierie e mortai su scuole, ospedali, campi di gioco, edifici civili; sicuramente, le nude cifre costituiscono un comodo alibi per contrabbandare all’estero la cosiddetta “umanità” di un regime sorto da una strage in piazza e che, da un anno, si sta mantenendo in piedi grazie al sostegno di chi finge di non aver visto quella strage iniziale e le fosse comuni in cui nel Donbass sono stati sepolti i vecchi e le donne rapiti e massacrati dai battaglioni neonazisti.
Ma da tempo gli ucraini stanno dimostrando di non aver alcuna fiducia nella junta nata dal colpo di stato del febbraio 2014. Si contano ormai addirittura a decine di migliaia gli uomini in età di leva che, rifiutando di andare alla guerra nel sudest dell’Ucraina, riescono a sfuggire alla mobilitazione generale. Il rigetto della guerra contro propri connazionali in primo luogo, ma anche la semplice sfiducia nei comandi superiori, che in più di un’occasione, per incompetenza, hanno dimostrato di mandare le truppe allo sbaraglio, fanno sì che negli ultimi mesi gli ucraini abbiano cercato in qualsiasi modo di sottrarsi all’inquadramento nelle forze armate.
Mobilitazione che invece, su un altro versante dell’ex territorio sovietico, viene apertamente presentata come necessità legata “alla minaccia militare russa”. La Lituania ha infatti deciso di reintrodurre il servizio militare obbligatorio, con cui ogni anno verranno chiamati alle armi dai 3.000 ai 3.500 giovani dai 19 ai 26 anni. Dal 2008, anno di adesione alla Nato, la Lituania era passata all’esercito professionale, ma pare che la risposta della popolazione sia stata di gran lunga inferiore alle aspettative. Non appare dunque molto sorprendente il risultato di un sondaggio condotto nei giorni scorsi dalla TV3 lituana. I telespettatori, dovendo rispondere alla domanda se notassero o meno una maggiore attività della propaganda russa in Lituania, oppure la ritenessero non propaganda bensì verità, si sono così divisi: il 12% vede una presenza della propaganda russa; il 6% non la nota e l’82% ritiene che i mezzi di informazione di Mosca trasmettano la verità. Stando ai sondaggi, la fiducia degli elettori lituani in quasi tutti i partiti (dai conservatori di destra al partito socialdemocratico al governo) impegnati in una continua propaganda antirussa starebbe significativamente scemando. La Lituania è considerata da molti, e non a torto, un paese di stretta obbedienza statunitense. Proprio pochi giorni fa, il vice comandante delle forze Nato in Europa Adrian Bradshaw, facendo eco al Ministro della difesa britannico Michael Fallon, aveva detto che ci si deve preparare a un attacco russo a un paese europeo e precisamente a uno degli stati baltici. A cui il Ministero degli esteri russo aveva replicato dicendo che “per l’appunto il blocco nordatlantico crea quelle minacce di cui noi siamo costretti a tener conto nella nostra pianificazione militare e che sono pienamente reali”.
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