Misurare quel che avviene in Grecia, e tra il nuovo governo e l’Unione Europea, con criteri tutti “italiani” – imprintati come siamo dalla nullaggine, o peggio, della “sinistra radicale” – porta a capire molto poco. Lo abbamo detto fin dal primo momento: la strategia di Syriza è riformista, resta tutta interna alla cornice dell’Unione Europea e non punta a una rotura della gabbia, ma è un tentativo vero di dar corpo a un progetto – contraddittorio, certo – ma che apre contraddizioni interessanti, utili per chi, come noi, e non solo noi, prova a costruire un’alternativa forte, reale, di massa, alla Troika.
Dopo l’accordo firmato a Bruxelles alcuni giorni fa, in cui l’Unione riapriva temporaneamente (quattro mesi) le linee di finanziamento ad Atene in cambio dell’impegno ad evitare “misure unilaterali”, ovvero non approvate dalla Germania e dall’Eurogruppo, il governo Tsipras ha annunciato in Parlamento le sue prime misure di politica economica e sociale: elettricità gratuita e “bonus alimentari” per le famiglie povere, blocco della possibilità per le banche di chiedere l’esproprio della casa a chi non ce la fa più a pagare il mutuo. Al primo calcolo, sono oltre 300mila le famiglie coinvolte dalle prime due misure. Un gesto concreto, che non le solleva da una condizione terribile, ma “un po’ di fiato”, utile a resistere.
Sul fronte opposto, per recuperare risorse finanziarie fresche, seguirà un “condono fiscale” da cui sono attesi 2,5 miliardi e un meccanismo utile a liberare le banche nazionali dai “crediti in sofferenza”. E’ quello che viene comunemente fatto, in questi anni, sui mercati finanziari, nella speranza che riprenda il flusso di prestiti verso imprese e famiglie. Difficile dire se funzionerà davvero, ma anche questo è un gesto che neutralizza sul momento un nemico molto pericoloso: le banche e quanti hanno fin qui evaso le tasse dirottando all’estero i patrimoni liquidi.
Contemporaneamente, il governo ha annunciato anche il ritiro della licenza per il progetto minerario di Skourie, nella Macedonia centrale, oggetto di forti contestazioni popolari guidate da ambientalisti e attivisti della stessa Syriza; avviato anche lo smantellamento del campo per immigrati di Amygdaleza.
Mosse in due direzioni, palesemente dirette a ricompattare il fronte interno a Syriza, diviso sul giudizio da dare su come sono andate le “trattative” con l’Unione Europea, così come anche nei confronti di quella parte di società greca terrorizzata dalla “calata dei comunisti espropriatori”.
I sondaggi, per il momento confortano Tsipras, assegnandogli un 42% (alle elezioni di un mese fa aveva avuto il 36,5), accompagnato da un robusto 72% di approvazione della linea tenuta con Bruxelles. Un dato non sorprendente, per un popolo contraddittoriamente convinto di voler restare dentro l’Unione Europea ma senza le politiche di austerità che ne derivano.
Il tentativo è insomma quello di capitalizzare anche l’incazzatura che serpeggia nel paese per “alzare il prezzo” nel tira-e-molla continuo con i cosiddetti “partner europei”, che hanno dalla loro il non indifferente coltello da 7,2 miliardi dell’ultima tranche di “aiuti”.
Quale sia l’impostazione dell’Unione Europea davanti a queste mosse sembra chiaro già dal titolo di Repubblica online: “Tsipras sfida la Troika: luce gratis e cibo a 300mila famiglie povere”. Insomma: la Troika è una congrega di affamatori, e dare da mangiare ai poveri è una “sfida” intollerabile alle “regole europee”. Ci sarebbe molto da riflettere sulla natura di un aspirante super-stato che si pone come obiettivo prioritario il ridurre alla fame milioni di persone, vietando persino la possibilità di soccorrerle con misure – obbiettivamente – più da Caritas diocesana che da socialismo. Ma lo facciamo ogni giorno in altri articoli, per ora ci sembra sufficiente sottolineare come – per esempio a Repubblica – questo ruolo omicida sia ritenuto “coerente” e persino “giusto”. Meditate, progressisti rimbesuiti da girotondi e antiberlusconismo di maniera…
Il fronte europeo è però quello che Syriza ha urgente bisogno di rompere. E Tsipras, sempre ieri, ha aperto una nuova linea conflittuale con i governi di destra di altri due paesi Piigs che dovranno andare alle elezioni nel corso di quest’anno: Spagna e Portogallo. Governi accusati esplicitamente di aver brigato, nel corso dell’ultimo Eurogruppo, per far fallire l’accordo con la Ue o comunque indurire al massimo le “condizioni” poste da un duo già poco raccomandabile come Schaeuble e Dijsselbloem.
«Abbiamo trovato contro di noi un’asse di poteri guidata dai governi di Spagna e Portogallo che, per ovvie ragioni politiche, hanno cercato di far finire l’intero negoziato nel baratro. Il loro piano era ed è indebolire, rovesciare o costringere il nostro governo a una resa incondizionata prima che il nostro lavoro inizi a dare frutti e prima che l’esempio greco influenzi altri paesi, in particolare prima delle elezioni in Spagna».
Una martellata indirizzata a Rajoy, che si era precipitato in soccorso di Samaras nel corso della campagna elettorale, ma che deve fare i conti con sondaggi interni che lo danno in pesante difficoltà davanti all’avanzata di Podemos. Anche se il movimento guidato da Iglesias non dovesse vince in autunno, ma soltanto determinare una “ingovernabilità” di fatto del paese, questo aprirebbe spazi molto più larghi di “rettifica” dell’impostazione rigorista e, soprattutto, sposterebbe il focus dell’attenzione ad altri paesi (anche Portogallo e Irlanda hanno elezioni alle porte, e anche lì i sondaggi danno le sinistre riformiste e antiausterity in rapida ascesa).
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