In Ucraina c’è ancora chi si ostina – d’altronde è la legittimazione simbolica del proprio potere – a chiamare ‘rivoluzione’ la spallata filoccidentale che nel febbraio del 2014 portò alla destituzione violenta del presidente Yanukovich, reo di non aver voluto firmare il trattato di associazione con l’Unione Europea e di non volere l’ingresso del paese nella Nato. Anche i media italiani, in particolare recentemente in occasione del primo anniversario del colpo di stato, non hanno mancato di utilizzare in maniera assai inappropriata un termine che dovrebbe indicare un rivolgimento economico e politico, una rottura con il sistema precedente, una frattura netta con il passato. Ma a ben guardare la cosiddetta ‘rivoluzione’ ucraina del 2014 non solo ha lasciato come stavano la maggior parte delle cose contro le quali la tolleranza della popolazione era in quel momento assai bassa, ma ha addirittura peggiorato le condizioni generali del paese e il suo sistema politico. Oggi l’Ucraina si ritrova senza alcuna sovranità, con un governo fantoccio infiltrato e manovrato dalla Nato e dagli Stati Uniti, ricattata dall’Unione Europea e dal Fondo Monetario Internazionale, con una economia disastrata, le casse dello stato vuote, debiti per centinaia di miliardari, una guerra scatenata contro le proprie regioni orientali che si sta rivelando una disfatta e uno stato di guerra latente con il potente vicino russo. E, soprattutto, il potere degli oligarchi che i maidanisti affermavano di voler eliminare dalla scena è enormemente aumentato. Noi lo abbiamo affermato spesso, tacciati di esagerare, fin da subito, che quella di Maidan era ‘la rivoluzione degli oligarchi’ e non certo contro gli oligarchi. Ora la conferma arriva da un’agenzia di stampa non certo bolscevica, Askanews, che oggi pubblica un interessante quadretto della situazione. Alcuni particolari del servizio di Askanews non sono forse precisi al millimetro, ma la lettura della mappa del potere economico e politico nel paese è assai interessante.
Ucraina, dopo rivoluzione mappa oligarchi non è cambiata
La rivoluzione del febbraio 2014 ha prodotto un ricambio ai piani alti dell’establishment ucraino, ma i pilastri sui cui basa l’architettura politico-economica dell’ex repubblica sovietica sono rimasti gli stessi. Gli oligarchi continuano a tirare le fila sia dietro le quinte che sul palcoscenico principale: dalle proteste iniziali contro Victor Yanukovich alla guerra nel Donbass, dalla formazione del governo di Arseni Yatseniuk alle elezioni parlamentari dello scorso ottobre, i poteri forti sono scesi in prima linea, e più di prima, nella gestione del Paese.
Come accaduto dopo la rivolta del 2004, che in sostanza non aveva fatto rotolare nessuna testa, ma creato solo le condizioni per un provvisorio cambio al vertice – la rivoluzione arancione è stata definita infatti in Ucraina la rivoluzione dei milionari contro i miliardari – anche questa volta al tavolo di gioco sono rimasti gli stessi player, ad eccezione ovviamente di Yanukovich e del suo clan. Il quadro dei giocatori è rimasto sostanzialmente il medesimo, tra nuove e vecchie rivalità, alleanze provvisorie ed equilibri precari che non costituiscono certo il trampolino di lancio per quei cambiamenti strutturali e fondamentali di cui ha bisogno il Paese per lasciarsi definitivamente alle spalle la già lunga fase di transizione postcomunista. La fragile democrazia ucraina rischia insomma di essere lacerata non solo dalla guerra contro i separatisti russi, ma dalle lotte interne tra gli oligarchi.
PETRO POROSHENKO Benché sia dal suo insediamento alla Bankova nel giugno 2014 ci tenga a non essere definito un oligarca, il presidente ucraino è il prototipo della razza padrona che sulle ceneri dell’Urss ha costruito la propria fortuna economica ed è andata sempre a braccetto con la politica. Petro Poroshenko, che aveva promesso in campagna elettorale di spogliarsi delle sue ricchezze e di cedere anche il suo canale televisivo, è il sesto uomo più ricco del paese (secondo Forbes il suo patrimonio ammonta 1,3 miliardi di dollari nel 2014) ed è quasi superfluo sottolineare che i voti di povertà non sono stati mantenuti. Già prima di arrivare alla presidenza era stato attivo a livello governativo, sia sotto il capo di Stato arancione Victor Yushchenko che con Yanukovich. È stato uno dei principali finanziatori di Maidan ed è quello che ne ha raccolto i frutti sulla poltrona più importante. Eletto trionfalmente nel 2014, la sua posizione si è progressivamente indebolita a causa degli insuccessi nella campagna del Donbass e di un quadro economico generale negativo che pesa sempre di più sugli ucraini. Il Blocco Poroshenko è alla Rada in partito di maggioranza relativa, ed è costituito da vecchie e nuove facce reclutate soprattutto dall’alleanza con Udar, il partito di Vitaly Klitscko, ora sindaco di Kiev. Il presidente-oligarca ha tentato a livello interno di conciliare, senza troppo successo, le forze progressiste filoccidentali con quelle conservatrici filorusse proprio attraverso Klitschko, alle cui spalle starebbero anche un esponente di punta degli oligarchi del vecchio regime, Dmitri Firtash, e altri elementi della vecchia guardia.
DMITRI FIRTASH L’ex compagno di viaggio di Victor Yanukovich rimane uno degli attori principali del vecchio blocco di potere che non ha perso il vizio di mettere il suo zampino nella politica ucraina. Oltre a Klitschko, Firtash sarebbe uno dei finanziatori del Partito radicale di Oleg Lyashko, uno dei cinque che sostengono il governo di Arseni Yatseniuk. Sebbene dal 2014 il suo nome sia scomparso dalla lista dei miliardari di Forbes e il suo patrimonio si conti adesso solo in centinaia di milioni, la sua influenza nei meandri tra Kiev e Donetsk non è certo scomparsa. Ricercato dall’Fbi, è stato arrestato a Vienna nel marzo 2014 alla vigilia del referendum in Crimea, poi rilasciato su cauzione, e l’azione è stata interpretata come un avvertimento indiretto al Cremlino, al quale Firtash è sempre stato molto vicino. Ancora oggi è considerato uno degli oligarchi più orientati verso la Russia, partendo dal fatto che il suo DF Group si occupa di gas e ha il suo baricentro nelle zone del sudest ucraino. Nonostante la sua vicinanza al regime di Yanukovich, per ora Firtash non ha dovuto subire grandi rappresaglie a livello politico e gli oligarchi passati dall’opposizione al governo hanno mantenuto un profilo non troppo belligerante, consentendo agli avversari di continuare senza troppi patemi il proprio business. Lo stesso destino di Dmitry Firtash ha seguito Rinat Akhmetov, la cui parabola discendente ha però come contrappeso un vantaggio incolmabile accumulato nel corso di due decenni.
RINAT AKHMETOV Nonostante secondo Forbes il suo patrimonio personale si sia asciugato di 4,2 miliardi di dollari in un anno (11,2 nel 2014 contro i 15,4 del 2013), Rinat Akhmetov rimane l’uomo più ricco del paese. Ora non il più potente, visto che la sconfitta di Yanukovich è stata anche la sua. Sempre molto vicino all’ex presidente, sponsor principale del Partito delle regioni, l’oligarca di Donetsk è stato accusato dai nuovi arrivati al potere di aver sobillato il Donbass e finanziato i separatiti, almeno nella fase inziale, prima che l’insurrezione nei centri industriali del sudest si trasformasse in guerra aperta. Il conflitto ha arrecato notevoli perdite al suo gruppo SMC, soprattutto attraverso le holding energetiche (Dtek, Metinvest), proprio perché l’attività di produzione nei settori del carbone e dell’acciaio è concentrata nell’oblast di Donestk. A livello politico Akhmetov è stato messo a margine e ora, dopo la dissoluzione del Partito delle regioni, è vicino agli eredi di Yanukovich coagulatisi nel Blocco d’opposizione guidato da Yuri Boiko, ex ministro dell’energia. Al momento il partito è l’unico all’opposizione, dato che gli altri cinque presenti in parlamento sostengono il governo di Yatseniuk, ma in caso di un rimescolamento di carte, se la pax oligarchica al momento in vigore andasse a rotoli, Akhmetov e il Blocco potrebbero rientrare in gioco tessendo nuove alleanze. Diversi sono stati infatti i segnali dell’apertura di una guerra interna tra Akmetov e quello che è considerato il suo rivale maggiore, e anche in realtà di Poroshenko, ossia Igor Kolomoisky.
IGOR KOLOMOISKY È il nuovo padrone del sudest ucraino e mira in sostanza ad estendere il controllo sul resto del paese, marginalizzando sempre di più gli altri oligarchi. Mentre Akhmetov rimane politicamente confinato nel Donbass, Igor Kolomoisky ha già esteso il suo raggio d’azione, anche attraverso alleati fidati come Igor Palitsa, oligarca di media stazza finito a fare il governatore nella regione di Odessa. Quarto uomo più ricco d’Ucraina (secondo Forbes 1,8 miliardi di dollari nel 2014, appena dietro il suo socio in affari Henadiy Boholyubov, al terzo posto e meno esposto mediaticamente), Kolomoisky è dal marzo 2014 governatore della regione di Dnipropetrovsk, che confina direttamente con il Donbass. Nominato dall’allora presidente ad interim Olexandr Turchynov, Kolomoisky è il principale sponsor di Arseni Yatseniuk e del Fronte popolare ed è anche il finanziatore di diversi battaglioni di volontari che combattono nel sudest. Messo a lato durante il quadriennio di Yanukovich alla Bankova, è tornato da protagonista e con voglia di rivincita, soprattutto nei confronti di Akmetov e di Firtash, e ha già messo in atto tentativi per rilevare parte dei loro asset anche l’aiuto di un parlamento in cui arrivano le sue lunghe leve. Kolomoisky gioca a tutto campo, spaziando dai governativi di Yatseniuk alla nuova opposizione radicale costituita dagli estremisti di Pravy Sektor (settore di destra) e dai comandanti dei battaglioni entrati lo scorso ottobre in parlamento. Le voci della creazione di un nuovo centro di comando parallelo a quello del ministero della Difesa a Dnipropetrovsk, gestito proprio dai fedelissimi di Kolomoisky, sono state per ora smentite, ma se la situazione nel Donbass dovesse peggiorare non è da escludere che anche a livello militare il partito della guerra oligarchico entri definitivamente in collisione con i moderati di Poroshenko.
VIKTOR PINCHUK (E GLI ALTRI) Ci sono altri oligarchi che hanno sempre avuto un basso profilo e si sono tenuti lontani negli ultimi anni dai riflettori della politica. Il primo di questi è Viktor Pinchuk, al numero due della classifica di Forbes con un patrimonio personale di 3 miliardi di dollari nel 2014. Le sue fortune le ha fatte negli anni novanta grazie a suo genero, l’ex presidente Leondid Kuchma, per dieci anni (1994-2004) principale burattinaio in Ucraina. Che i grandi vecchi e le loro connection non siano mai sparite, lo dimostra il fatto che Kuchma è il rappresentate di Kiev nel gruppo di contatto con Mosca e i separatisti che si occupa delle trattative di pace nel Donbass. Pinchuk, trasformatosi in un paio di lustri da falco in colomba, è rimasto alla finestra nel duello del recente passato e del presente, lasciando agli altri il compito di scannarsi, strategia che gli ha consentito di superare senza patemi i momenti ogni crisi interna. Come lui, altri oligarchi minori che, se hanno fatto recentemente capolino al fianco di uno o dell’altro, si sono poi ritirati dalle faide dirette: dalla parte di Kolomoisky ad esempio Sergei Taruta, alleato di Yulia Tymoshenko ai tempi della rivoluzione arancione e per qualche mese del 2014 governatore di Donetsk, poi sostituito dal generale Olexandr Kikhtenko; oppure dalla parte di Akhmetov Sergei Tigipko, ministro sotto Yanukovich, e Vadim Novinsky (al quinto posto secondo Forbes con 1,4 miliardi di dollari nel 2014), eletto deputato in ottobre nelle liste del Blocco d’opposizione.
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