Mentre un consistente numero di paesi aderenti all’Unione Europea chiedono a gran voce alle istituzioni comunitarie che i prodotti israeliani realizzati nelle colonie occupate illegalmente nei territori palestinesi siano etichettati in modo da poterli riconoscere –permettendo così ai consumatori di sceglierne altri – una buona notizia arriva dal fronte della campagna per il Boicottaggio, il Disinvestimento e le Sanzioni che continua a produrre danni economici non indifferenti all’economia di guerra israeliana.
La notizia è di quelle che entusiasmano chi spesso deve accontentarsi di piccoli segnali positivi, a volte solo simbolici, da quando l’iniziativa è partita a Bilbao (Paese Basco) nel novembre del 2008. Infatti la multinazionale francese Veolia ha confermato, pochi giorni fa, la cessione di tutti i suoi investimenti in Israele e nei territori occupati palestinesi a un consorzio con sede legale a Los Angeles, l’Oaktree Capital Management. Una decisione drastica adottata in conseguenza delle fortissime perdite causate alla multinazionale dalla sempre più capillare campagna internazionale di sostegno al boicottaggio delle imprese che investono in Israele.
La Veolia ha dismesso i suoi consistenti investimenti nei settori del trattamento delle acque reflue, dei trasporti (compresi gli autobus riservati solo ai coloni ebrei e proibiti ai palestinesi), delle discariche (come quella di Tovlan dove vengono scaricati rifiuti prodotti in territorio israeliano e negli insediamenti), dell’energia, mantenendo soltanto la parte riguardante la metropolitana leggera che collega le colonie ebraiche in Cisgiordania e Gerusalemme. Il che ha portato gli attivisti della campagna Bds ad annunciare che la campagna contro Veolia proseguirà.
“Il movimento BDS ha mostrato che chiunque scelga di invertire nella colonizzazione israeliana dei territori palestinesi deve pagare un prezzo politico” ha dichiarato Mahmud Nawayaa, coordinatore generale del Comitato Nazionale Palestinese del BDS. “Una delle più importanti imprese europee si è vista obbligata a rinunciare al business che possedeva in israele e che violava le leggi internazionali” ha detto Nawayaa, spiegando che “la campagna di boicottaggio ha causato alla multinazionale francese la perdita di molti milioni di dollari” sia in Europa sia negli Stati Uniti e nel mondo arabo. Non solo a causa del decremento delle vendite dei propri prodotti, ma anche a causa della sospensione di numerosi contratti con aziende che li hanno rifiutati per timore di ritorsioni da parte delle associazioni e dei consumatori.
Ad esempio dieci comuni dell’Irlanda e della Gran Bretagna hanno rifiutato contratti con Veolia in vari settori e 25 imprese locali – tra le quali quelle di Londra, Stoccolma e Boston – non hanno rinnovato i contratti con la multinazionale francese perché essa aveva investito nelle colonie israeliane in Palestina. Molti operatori finanziari, comprese la Banca olandese ASN e la Quaker Friends Fiduciary Corporation, hanno disinvestito dalla Veolia per il suo ruolo nelle colonie, mentre altre banche importanti e il fondo pensioni svedese hanno emesso dichiarazioni pubbliche di condanna della Veolia per lo stesso motivo.
Ora la campagna BDS spera che il dietrofront di Veolia venga seguito da decisioni analoghe da parte di altri grandi aziende internazionali, il che costituirebbe un forte segnale nei confronti delle classi dirigenti di Israele che temono il crescente isolamento internazionale.
Un isolamento che Tel Aviv tenta di contrastare attraverso il varo di leggi che puniscono coloro che in patria e all’estero sono attivi nelle campagne di boicottaggio. Una legge approvata alla Knesset nel 2011 e finora sospesa, autorizza ogni cittadino israeliano a denunciare tutti coloro che si pronuncino a favore del Bds, prevedendo in caso di condanna pesanti sanzioni economiche. Una sentenza del Tribunale Supremo israeliano, che ha recentemente rigettato gli appelli presentati da numerose realtà contro la “Legge sul Boicottaggio”, rende tra l’altro competenti tutte le corti del paese a intervenire contro i fautori del Bds sia in territorio israeliano sia nei territori “sotto il controllo di Israele”, ovvero la Palestina occupata. La Corte Suprema ha censurato un solo paragrafo della legge, che stabiliva la persecuzione del danno punitivo che segue all’invito al boicottaggio, senza la prova di un danno effettivo. La maggioranza dei giudici che compongono l’organismo legislativo ha sostenuto che l’invito al boicottaggio rappresenta nientemeno che una forma di terrorismo politico che si oppone al vero fine della libertà di espressione, e che dunque lo Stato ha il diritto di difendersi.
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