In un contesto caratterizzato da una micidiale e capillare repressione nei confronti di tutte le forme di dissenso la notizia che arriva da Ankara è sicuramente in controtendenza. Infatti i ventisei portavoce del coordinamento “Taksim solidarietà”, che guidò una parte consistente del cosiddetto movimento Occupy Gezi nell’estate del 2013 sono stati assolti da un tribunale di Istanbul. Gli accusati rischiavano tutti pesanti condanne al carcere per presunta appartenenza a una “organizzazione criminale”. Ma i giudici hanno deciso di assolvere la presidente dell’Ordine del Architetti Muccella Yapici, il segretario generale dell’Ordine degli Ingegneri di Istanbul, Ali Cerkezoglu, e altre decine di intellettuali e tecnici che si presero la responsabilità di rappresentare una protesta contro l’esecutivo liberista, islamista e autoritario che portò in piazza milioni di turchi.
Le proteste di Gezi Park iniziarono da un gruppo di ecologisti e di professionisti – architetti, urbanisti, storici – che opponendosi alla costruzione di un centro commerciale e di una moschea si accamparono nel piccolo parco che sorge nel centro di Istanbul, a due passi da Piazza Taksim, impedendo alle ruspe di procedere all’abbattimento degli alberi. La violenta e brutale reazione della polizia scatenò la più massiccia protesta che il paese ricordi negli ultimi decenni, che partendo dall’indignazione per l’uso sproporzionato della forza si trasformò in una rivolta di carattere più generale contro la speculazione edilizia, la corruzione e la gentrificazione delle città, contro l’islamizzazione del Paese, contro la repressione, contro l’ineguale distribuzione delle risorse, il sostegno ai fondamentalisti in Siria. Durante quei giorni la repressione selvaggia operata dalle forze di sicurezza provocò 10 morti e oltre ottomila feriti. La polizia eseguì migliaia di arresti e centinaia di persone furono incriminate con vari capi d’accusa, tra cui quelli di terrorismo e di tentativo di rovesciare il governo, a volte solamente per aver condiviso sui social network delle informazioni riguardanti le mobilitazioni. In carcere finirono anche medici, giornalisti e sindacalisti.
Ma la 33ma Corte di Prima Istanza di Istanbul ha decretato oggi che i 26 portavoce accusati di gravi reati in realtà non ne avevano commesso nessuno. Dopo la sentenza Cerkezoglu ha detto ai cronisti che il processo contro i 26 della Piattaforma “Taksim Solidarietà” era di natura esclusivamente “politica” e non aveva alcuna base legale. Yapici ha invece chiamato le diverse opposizioni al governo turbo-islamista a manifestare il Primo maggio su Piazza Taksim sfidando il ‘tradizionale’ il divieto delle autorità: “il Primo Maggio – ha detto – saremo di nuovo a Taksim”.
Ma l’assoluzione dei portavoce di ‘Occupy Gezi’ non ribalta un clima autoritario e repressivo sempre più cupo. E’ notizia di queste ore che una delle più celebri cantanti pop turche, Sevval Sam, è stata interrogata dalla polizia dopo avere reso omaggio in un video al 15enne Berkin Elvan, colpito nel 2013 da un lacrimogeno sparatogli alla testa da un poliziotto e morto nel 2014 dopo nove mesi di coma. Conosciuta per il suo attivismo, Sevval Sam è stata interrogata dal procuratore di Istanbul nel quadro di un’inchiesta per “istigazione a delinquere”, aperta la settimana scorsa, a carico di decine di artisti che hanno partecipato alla realizzazione del medesimo video. Intitolato “Per la giustizia e per Berkin”, il clip in bianco e nero è stato diffuso nel mese di marzo in occasione del primo anniversario della morte di Berkin Elvan, deceduto nel marzo dello scorso anno dopo 269 giorni di coma. Il video mostra una ragazzina che gioca a nascondino e chiede “dove si trova Berkin Elvan?”. Sevval Sam interviene dicendo: “Io sono Berkin Elvan. Come potete dormire in pace? Dove nascondete il mio assassino?”. “Ho partecipato a questo video al fine di evitare la morte di altri giovani. Non avevo intenzione di provocare nessuno”, ha riferito Sam al procuratore.
Continua anche l’epurazione del regime nei confronti dei magistrati ‘non conformi’. Tre giudici che hanno ordinato il rilascio di un tycoon televisivo e di 74 poliziotti sono stati accusati di essere parte di uno “stato parallelo” che trama per rovesciare il presidente Recep Tayyip Erdogan e sono stati sospesi oggi per decisione dell’esecutivo. Il Consiglio supremo dei giudici e dei procuratori (Hsyk, un organo di controllo della magistratura dominato dal governo) ha sospeso i tre magistrati due giorni dopo la loro decisione di liberare gli imputati che ha provocato una reazione furiosa da parte del governo turco. Il primo ministro Ahmet Davutoglu li ha accusati di aver “ricevuto i loro ordini dalla Pennsylvania”, cioè dallo stato dove da molti anni è ormai di base il predicatore e imprenditore turco Fethullah Gulen, un tempo mentore e alleato di Erdogan ma da qualche anno suo nemico giurato. Erdogan in persone è intervenuto, accusando i magistrati di “usurpare il potere”, mentre la stampa filogovernativa ha definito i giudici “traditori”.
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