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“Rivoluzione reazionaria” in Arabia Saudita. Tutto il potere ai falchi

Ad appena quattro mesi dalla sua ascesa al trono, il re saudita Salman ha compiuto una vera e propria “rivoluzione” ai vertici del regno, destinata ad incidere sui futuri equilibri politici di tutto il Medio Oriente.
Ieri Salman ha sollevato dal loro incarico ben 18 esponenti di punta della gerarchia del Paese: un clamoroso cambio di rotta e di controtendenza rispetto alle decisioni e alla strada intrapresa dall’ex sovrano Abdullah che segna la presa di controllo dei punti chiave del potere da parte della cosiddetta “terza generazione” di principi, tutti appartenenti o legati all’ala della famiglia reale nota come “al Sudyeiri”.
Si tratta dei sette figli del fondatore del regno Abdul Aziz al Saud nati dal matrimonio con Hussah bint Ahmed al Sudyeiri: un vero e proprio “super clan” restio a promuovere riforme democratiche anche minime ritenute “incompatibili” con una società musulmana e soprattutto con le aspirazioni del paese ad estendere il suo controllo su tutta la regione. Presumibilmente, la nuova cupola incentiverà invece il processo di modernizzazione tecnologica del paese già intrapreso dalla precedente generazione di leader e funzionale alle aspirazioni dell’Arabia Saudita a diventare una potenza regionale – e non solo regionale – incontrastata.
L’attuale sovrano Salman è uno dei sette fratelli “Sudyeiri”; gli altri sono i principi Turky, Abdul Rahman e Ahmed oltre i defunti Fahad, Nayef e Sultan. Oggi Salman ha sollevato dall’incarico il principe ereditario – il fratellastro Moqren bin Abdul Aziz bin Saud – e l’ha sostituito con il ministro dell’Interno Mohammed bin Nayef. Il sovrano ha inoltre nominato il figlio, Mohammed bin Salman, come secondo in linea per il trono cedendogli anche la sua carica di ministro della Difesa. I due Mohammed fanno appunto parte della nuova generazione ed appartengono entrambi all’ala Sudyeiri.
“Abbiamo deciso di soddisfare il desiderio espresso da sua altezza di essere sollevato dalla posizione di principe della corona”, è stata la spiegazione ufficiale della rimozione di Moqren. Di fatti è la prima volta nella storia del regno che un erede al trono designato viene “rimosso”. Una decisione senza precedenti se si pensa che “principe ereditario non può essere rimosso né sostituito in nessun caso e da nessuna autorità” recita l’atto ufficiale della nomina fatta lo scorso 23 gennaio dopo un voto favorevole di due terzi dei membri di un’apposita consulta che di fatto è stata esautorata e smentita.
Moqren, 69 anni, è il più giovane figlio del defunto re Abdullah dalla sua moglie yemenita; a rimanere in un posto “delicato” è rimasto il fratello, principe Miteb, il quale ha mantenuto l’ incarico di ministro della Guardia nazionale.
Il 55enne Mohammed bin Nayef diventa così la seconda personalità del regno dopo suo zio Salman. E’ descritto come un campione della lotta contro Al Qaeda, che ha contribuito a indebolire nel regno. E’ cresciuto all’ombra di suo padre, il principe Nayef, dal quale, dopo la sua morte nel 2012 ha ereditato il ministero dell’Interno. Il suo curriculum comprende una formazione specializzata nella lotta al terrorismo prevista dalla CIA e conseguita in una scuola d’intelligence a Taif.
E’ nella veste di vice ministro dell’Interno però che, Mohammed, tra il 2003 e il 2006, ha guidato una spietata caccia ai jihadisti di Al Qaeda neutralizzando di fatto la rete di Osama bin Laden che era sfuggita al controllo della monarchia wahabita e che ne metteva in pericolo la stabilità (il principe, il 28 agosto 2009, scampò ad un attacco suicida rivendicato proprio da al Qaeda). Un po’ come sta facendo oggi la nuova potenza fondamentalista regionale, lo Stato Islamico, che accentua sempre più la propria sfida nei confronti degli ex padrini e protettori di Riad che non hanno avuto scrupoli nell’utilizzarla come testa d’ariete contro i paesi nemici ma che ora ne temono l’espansione all’interno dell’Arabia Saudita e delle altre petromonarchie.
Martedì scorso proprio il ministero guidato da Mohammed ha annunciato l’arresto di 93 terroristi e lo smantellamento di diverse cellule dell’Is che avevano pianificato numerosi attacchi, tra cui uno contro l’ambasciata degli Stati Uniti nella capitale Riad.
Mohammed ha inoltre coordinato la campagna militare aereo-navale lanciata all’inizio di questo mese da una coalizione sunnita (che comprende le petromonarchie riunite nel Consiglio di Cooperazione del Golfo ma anche l’Egitto) guidata dal suo Paese contro gli Houthi, le milizie sciite che hanno esautorato il presidente “legittimo”, Abed Rabbo Mansour Hadi, e il governo fantoccio di Sana’a, da tempo nell’orbita proprio di Riad.
La strategia della nuova elite saudita sembra mirare a un ridimensionamento del potere e dell’influenza dell’Isis e di Al Qaeda – almeno nella misura in cui queste rappresentino una minaccia per l’egemonia saudita e la stabilità della gerarchia wahabita – e soprattutto ad accentuare l’offensiva in tutta la regione contro i paesi del cosiddetto asse sciita. Di fatto rappresentando una spina nel fianco per l’amministrazione statunitense che mira a una ricomposizione con l’Iran proprio per controbilanciare l’ascesa dell’asse sunnita e la minaccia costituita dal dilagare – anche per responsabilità della tolleranza iniziale di Washington – delle milizie jihadiste. 
Migliore sembra essere invece il rapporto tra i nuovi padroni di Riad e le ali più reazionarie del Partito Repubblicano statunitense, e anche gli agganci con i settori più conservatori dell’establishment di Washington non mancano. Non è un caso che a dare man forte a Mohammed a livello internazionale ci sarà l’ambasciatore saudita negli Usa Adel al Jubeir, nominato ministro degli Esteri (il primo in assoluto a non appartenere alla famiglia reale).
Al Jubaeir, sostenitore convinto della guerra in Yemen contro gli sciiti, della destabilizzazione della Siria e del Libano a vantaggio delle forze sunnite e dello scontro duro con l’Iran, ha rimpiazzato dopo ben 40 anni il principe Saud al Faisal che “aveva chiesto di essere sollevato dall’incarico per le sue condizioni di salute”.

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