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Kiev viola gli accordi di Minsk, Washington approva

Le Forze armate ucraine hanno dislocato nell’area di Kramatorsk, a nord di Donetsk (dall’estate 2014 controllata dalle truppe di Kiev) tre batterie missilistiche “Točka-U”. Lo ha reso noto il vice Ministro della difesa della Repubblica Popolare di Donetsk, Eduard Basurin, sulla base di informazioni del controspionaggio militare della DNR. Basurin, mentre ha rilevato che Kramatorsk si trova a 70 chilometri dalla linea di demarcazione tra le forze governative e quelle delle milizie popolari, ha detto anche che questo non è l’unico caso di dislocazione di armi pesanti nel Donbass da parte di Kiev e ciò avviene sullo sfondo delle dichiarazioni del presidente Porošenko secondo cui egli intende condurre trattative solo con un “Donbass ucraino”.

Affermazioni che non sembrano propriamente in linea con gli accordi di Minsk del febbraio scorso (d’altronde, nei giorni scorsi Kiev ha informato ufficialmente i propri “partner europei” dell’avvicinamento delle artiglierie pesanti alla linea di demarcazione, in violazione di quegli accordi) sullo status speciale da attribuire al Donbass.

Affermazioni che appare anche difficile non collegare alla notizia odierna sulle dimissioni dall’incarico della rappresentante speciale Osce per l’Ucraina, la svizzera Heidi Tagliavini: vari osservatori associano la decisione della Tagliavini proprio con l’aperta violazione, da parte di Kiev, lo scorso 3 giugno, degli accordi di Minsk e il conseguente nuovo inasprimento del conflitto nel Donbass. In riferimento alla decisione della Tagliavini, il plenipotenziario della Repubblica Popolare di Lugansk al cosiddetto “Gruppo di contatto” (il gruppo di lavoro per l’attuazione degli accordi di Minsk che riunisce rappresentanti di Kiev, Mosca, Repubbliche Popolari e Osce), Vladislav Dejnego, ha espresso l’augurio che ciò non debba comunque influire sui colloqui di Minsk e ha escluso che le dimissioni, a suo parere, possano ricondursi agli scarsi risultati ottenuti nel corso dell’ultima tornata di colloqui, lo scorso 2 giugno.

Altri osservatori puntano invece l’indice proprio sull’incontro di martedì scorso, durante il quale le parti non si erano trovate d’accordo né sull’ulteriore scambio di prigionieri, né sull’amnistia per i miliziani, né sulle modifiche da apportare alla Costituzione ucraina (riguardo lo status del Donbass: autonomia, “decentralizzazione”: comunque, assicurazione di diritti certi nei confronti del potere centrale), né sulla indizione di elezioni locali nel Donbass. Una fonte vicina al Gruppo di contatto ha dichiarato a Interfax che Tagliavini, dopo aver rinviato il prossimo incontro al 16 giugno, in ragione della posizione ultimativa mostrata dai rappresentanti di Kiev il 2 giugno, avrebbe preso la decisione delle dimissioni.

Ed è così che il falco-premier Arsenij Jatsenjuk, in coppia con il Ministro delle finanze, la (ucraina)-americana-ucraina Natalja Jaresko decide di volare negli USA in cerca di ulteriori sostegni finanziari alla politica aggressiva di Kiev nel Donbass. Oltre che con esponenti del Congresso, il duo ha in programma incontri con esponenti del FMI, con la comunità ucraina, intervenendo poi al forum del Comitato ebreo-americano. Sarà interessante vedere se la comunità ebraica americana accoglierà favorevolmente un premier che si regge al governo grazie ai battaglioni neonazisti, che innalza a feste nazionali le date di nascita sia del collaborazionista Ostap Bandera, sia del suo esercito filonazista, che collaborò con le SS allo sterminio di centinaia di migliaia di soldati sovietici, di cittadini ucraini, ebrei e polacchi, o se invece prevarranno gli interessi attuali delle lobby finanziarie-industriali di sostegno alla politica di Kiev.

In ogni caso, a Mosca si guarda con preoccupazione all’assottigliarsi e al diminuire delle opportunità di realizzazione degli accordi di Minsk, in seguito all’inasprimento della situazione nel Donbass e all’aperta violazione del cessate il fuoco, registrati questa settimana. Lo ha dichiarato il portavoce presidenziale Dmitrij Peskov, rispondendo in tal modo alla domanda postagli da alcuni media, se siano ancora attuali le parole pronunciate alcuni giorni fa da Vladimir Putin nel corso dell’intervista al Corriere della Sera (apparsa oggi sul quotidiano milanese), secondo cui con la realizzazione degli accordi di Minsk si erano potute interrompere le azioni di guerra più attive nel sudest dell’Ucraina e si erano allontanate le artiglierie pesanti.

In questo senso, anche il presidente del Parlamento della DNR, Andrej Purghìn ha detto che il riaccendersi del conflitto è il risultato della mancanza di volontà, da parte di Kiev, di condurre un concreto dialogo politico con le Repubbliche Popolari di Donetsk e di Lugansk; “In mancanza di un processo politico” ha detto Purghìn, “si ha naturalmente un peggioramento della situazione militare. Se il cessate il fuoco non è sostenuto dal dialogo politico, se i tempi di questo dialogo non sono soddisfacenti, se i politici tacciono, allora, prima o poi, a parlare sono i cannoni”.

Ma, come ormai da alcuni giorni, cioè dai primi bombardamenti ucraini su Marjnka e Krasnogorovka, stanno ripetendo vari osservatori, il piano di chi ha riacceso le micce non prevede dialogo politico. O, almeno, lo prevede in tutt’altra direzione. E’ così che nella tarda serata di venerdì, secondo quanto riportato da Interfax, Porošenko si è intrattenuto al telefono sia con Barack Obama che con Angela Merkel, per “coordinare” le posizioni da assumere riguardo le sanzioni antirusse alla vigilia del G7 di domenica e lunedì in Baviera, in vista anche probabilmente di una non univoca direzione di marcia tra Washington e alcune capitali europee. In particolare, la Merkel ha parlato in questi giorni della intenzione tedesca di discutere, al vertice del G7, della cooperazione con la Russia, esclusa dal “G8” per la sua reazione al golpe filoccidentale e all’aggressione armata ucraina al Donbass, ma che può tornare sempre utile quando le cose si mettono male per Kiev, oppure quando sul tappeto sono le questioni mediorientali o libiche, come ha ammesso il Ministro degli esteri tedesco Frank-Walter Steinmeier.

E ancora in vista del vertice G7, secondo fonti di informazione statunitensi, riportate da Ria-Novosti, il capo del Pentagono, Ashton Carter, avrebbe condotto il 5 giugno a una riunione segreta a Stoccarda, con la partecipazione di diplomatici e militari americani in Europa, dedicata specificamente al tema “Russia”, al suo “contenimento”, alle sanzioni contro Mosca, all’ulteriore aiuto militare ad alcuni paesi europei, al finanziamento di “sfere non tradizionali”, quali la cibersicurezza. Secondo Carter, le sanzioni non sono in fondo così efficaci “per costringere Putin a mutare il suo corso” e gli USA dovranno ricorrere “ad altre risorse”, riconoscendo la “aggressività” di Mosca.

Mentre il presidente Porošenko, nella conferenza stampa odierna al termine dei colloqui con il premier canadese Stephen Harper, ha dichiarato, bontà sua, che al momento Kiev non persegue il dislocamento di sistemi missilistici occidentali in Ucraina e, per contro, istruttori canadesi giungeranno a breve nel paese per l’addestramento dei militari ucraini, vedremo nei prossimi giorni se il “gioco delle parti” tra le due sponde dell’Atlantico, che sta continuando anche al G7, porterà a un ulteriore peggioramento della situazione nel sudest dell’Ucraina o a un ritorno alla discussione politica.

 

 

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