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Grecia-Ue, due passi nel delirio. Rifiutata la bozza di Atene

Ultim’ora. L’Unione europea ha respinto senza mezzi termini l’ultima proposta di accordo presentata ieri dalla Grecia. La comunicazione ufficiale è arrivata dal portavoce del commissario Ue presidente della Commissione Jean Claude Juncker, dopo esser stato informato dal commissario agli Affari economici, Pierre Moscovici. Il quale, dopo la valutazione tecnica effettuata dal suo staff, ha stabilito che le proposte greche “non riflettono gli scambi avuti il premier Alexis Tsipras nei giorni scorsi”.

Il portavoce di Juncker ha quindi chiarito: “Per questa spinta finale ai negoziati la Commissione Ue ritiene che la palla sia nel campo della Grecia, che deve dare seguito alle discussioni Tsipras-Juncker della scorsa settimana”.

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Difficile dar conto qutidianamente dell’evoluzione di una “trattativa” che anche i più ottimisti descrivono ormai come un dialogo tra sordi. Le ultime novità sembrano una ripetizione stanca delle puntate precedenti: “i creditori” (la Troika, ovvero Ue, Bce, Fmi) hanno presentato un loro piano-fotocopia di quelli già noti; Atene ha aggiornato con tre paginette il documento da 47 certelle che la conroparte aveva già sonoramente bocciato.

Oggi Tsipras vedrà direttamente Angela Merkel e Francois Hollande, ma le premesse (stilate dai funzionari tecnici della Commissione) non lasciano varchi per una mediazione vera, di quelle che – come si dice – permettono a tutti di “salvare la faccia”.

Inutile dire che neanche il nuovo “upgrade” della proposta ellenica è piaciuto alla controparte; che ha fatto trapelare tutta la sua “delusione”. Più precisamente, un anonimo funzionario di Bruxelles, contattato da IlSole24Ore, è arrivato a dire che «La Grecia ha esagerato; il governo Tsipras non sembra essersi reso conto della gravità, della complessità della situazione finanziaria in cui versa il suo paese. È chiaro che con il suo comportamento durante le trattative in questi ultimi giorni Atene sta perdendo il suo più fedele alleato: la Commissione europea». Si potrebbe eccepire che di “alleati fedeli come la Ue” se ne trovano in tutti gli angiporti, con il coltello in tasca. Ma ci sembra davvero singolare che un burocrate esperto solo di calcoli si possa permettere di dar lezioni di “consapevolezza” a un governo votato da un popolo che ha potuto sperimentare fino in fondo la gravità della propria posizione…

Ma è proprio questo il problema che causa la “sordità” reciproca: da un lato, un gruppo ristretto di funzionari esperti di finanza e allevati alle scuole ordoliberiste teutoniche, che si affida ciecamente alla validità di teorie economiche alquanto strampalate, dall’altra un governo riformista che ha ricevuto un mandato chiaro dall’elettorato: metter fine all’austerità rimanendo però nell’Unione Europea. Sul fallimento delle “ricette” che la Grecia ha dovuto sperimentare non ci possono essere più dubbi: i “piani” approvati da Papandreou e Samaras, esecutori quasi fedeli dei diktat Ue, hanno portato il debito pubblico ellenico dal 128 al 178%. Col popolo alla fame grazie alle “riforme strutturali” e al taglio della spesa pubblica.

Un breve sguardo alle “proposte contrapposte”, presentate da Atene e dai “creditori”, non lascia spazio a vie di mezzo. L’unico punto in cui le distanze sono minime è quello dell'”avanzo primario” da dover realizzzare quest’anno e nei prossimi tre; per il resto la distanza è un abisso.  Sulle pensioni, per esempio, che la Troika vorrebbe tagliate in misura consistente, in modo da ceare un “risparmio” quantificato in un -1% del Pil nel prossimo anno (una ventina di miliardi in cifra assoluta, non fatevi distrarre dalle percentuali); mentre Syriza vuol ridisegnare il sistema mantenendo (o aumentando) i livelli minimi di previdenza.

Idem per quanto riguarda il mercato del lavoro, dove il governo ellenico vuole reintrodurre la contrattazione collettiva e aumentare il salario minimo; una bestemmia vera e propria, agli occhi dei tecnocrati europei. Lo stesso dicasi per l’aumento dell’Iva, che Bruxelles vorrebbe veder salire anche sui farmaci e sulle poche attività produttrici di reddito (turismo), oltre che eliminando le esenzioni per quanto vivono nelle isole (ce ne sono 1.000 abitate).

Una pregevole analisi comparsa su Econopoly, a firma di Alessandro Guerani, centra il punto essenziale:

Tutti sanno che la Grecia non sarà mai in grado di restituire il pesantissimo debito estero che ha, con una NIIP(Net international investment position) pari al 122% del PIL a fine 2014. Che si faccia un haircut, cioè lo si tagli, o che lo si congeli a tassi prossimi allo zero, è anche questa una differenza più politica che pratica. Non c’è speranza che i creditori vedano indietro quei soldi. Mai.

E allora perché la Troika – che lo dovrebbe sapere meglio di tutti – insiste su questa linea genocida e fallimentare? Perché alcuni soggetti (imprese multinazionali e paesi europei) ci possono guadagnare anche molto; e poi perché non sanno proporre altro.

Ma c’è un passaggio importante dell’analisi che ci riguarda da vicino, come altro membro dei Piigs:

la Grecia è SEMPRE, con la dracma, con l’euro, coi Colonelli, con la democrazia, con la destra e con la sinistra, SEMPRE stata dipendente da trasferimenti dall’estero per potere reggere. Che fossero i prestiti Usa ai tempi della Guerra Fredda, le rimesse degli emigrati o i prestiti delle banche dell’Eurozona.

Qui entrano in ballo i problemi creati dalla geostrategia al tempo della divisione del mondo in due. La Grecia – come l’Italia e la Spagna, soprattutto – sono stati paesi largamente sussidiati dagli Usa e dai paesi europei più ricchi perché fondamentali nello schema della “guerra fredda”. Tutti “fronte sud” e/o “fronte est” della Nato, che non dovevano finire nella sfera di influenza sovietica.

Ma economie assistite si sviluppano male, poco, deformate dal clientelismo e dalla corruzione sistemica. L’Italia possedeva storicamente una propria struttura industriale, soprattutto di proprietà pubblica, e quindi aveva qualche margine in più dei cugini mediterranei. Ma la Grecia non è mai andata oltre la presenza preponderante di 600 armatori navali, un po’ di turismo, pesca, agricoltura.

I flussi di prestiti piovuti al tempo dell’adesione alla Ue e poi all’euro hanno tamponato per qualche anno questa “competitività impossibile”, sostituendo i flussi a fondo perduto del periodo precedente. Non appena si è pretesa la restituzione, complice l’esplosione della crisi nel 2008, tutto è crollato. Un po’ cinico dare la colpa solo ai greci, per quei 70 anni alle spalle…

Lo stallo nella trattativa è dunque “strutturale”, perché il governo ellenico non ha alcuna possibilità di “cedere” senza immediatamente scomparire (Syriza non poterebbe reggere la botta, come partito-contenitore).

Paradossalmente ma non troppo, secondo l’analisi di Guerani, l’unica soluzione che potrebbe salvare capra e cavoli (fine o congelamento dell’austerità, permanenza nella Ue e nell’euro) è tutto sommato quella inizialmente proposta dalla stessa Grecia:

congelare, rinegoziare i debiti pregressi, cercare di fare arrivare nuovi capitali per investimenti (tipo il piano di Varoufakis tramite la BEI) che piano piano rendano davvero competitiva l’economia greca mantenendo comunque un controllo sui redditi e sul fisco molto migliore che nel passato.

Perché non si può fare? Sarebbe l’opposto delle “regole” scritte nei trattati (Fiscal Compact, Six Pack, Two Pack, ecc). Se si accetta di fare eccezione per Atene, ogni altro paese in difficoltà si sentirà autorizzato a chiedere uno strappo alle regole. Sarebbe la fine dell’Unione Europea e anche della moneta unica.

Quindi non restano che le soluzioni “traumatiche”. Quelle che tutti dicono di non volere…

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