Non si può dire che ieri Madrid, Barcellona e altre città dello Stato Spagnolo non abbiano vissuto un momento storico di cambiamento rispetto al passato sul fronte politico. Grazie ai risultati delle elezioni amministrative dello scorso 24 maggio, nelle principali città del Regno si sono affermate coalizioni di centrosinistra e sinistra che hanno scalzato i consueti partiti che si erano spartiti il potere, all’interno di un’alternanza blindata e soffocante, fin dall’autoriforma del franchismo. Popolari e socialisti non sono spariti dai consigli comunali e dalle assemblee regionali. Anzi, spesso si sono piazzati in testa pur perdendo quantità ragguardevoli di voti sulla spinta della rabbia di ampi settori della popolazione che si sono astenuti oppure hanno votato altre liste con l’intenzione di punire i partiti che hanno applicato le misure di austerity e i tagli ordinati dalla troika e dalle banche senza preoccuparsi delle tremende conseguenze sociali di queste politiche da massacro sociale. E ad avvantaggiarsene sono state le coalizioni formate da Podemos insieme a liste locali espressione di alcuni pezzi dei movimenti degli ‘indignados’ e che in molti casi hanno imbarcato anche i tradizionali partiti di sinistra. Con risultato che da ieri pomeriggio molte delle città dove si è votato hanno eletto sindaci di centrosinistra o addirittura di sinistra, espressione innegabile di una volontà di cambiamento e a volte anche di rottura con il passato, anche se quasi ovunque lo storico risultato è stato ottenuto grazie ai voti dei consiglieri di un odiato Partito Socialista che è così rientrato dalla finestra dopo esser stato messo alla porta da molti dei suoi elettori. Lo scenario spagnolo, per quanto di discontinuità rispetto agli anni scorsi, non assomiglia a quello greco, dove la fortuna di Syriza almeno fino ad ora si è costruita anche a partire dal categorico rifiuto di collaborare in alcun modo con i socialisti del Pasok, responsabili del catastrofico stato in cui versa buona parte della popolazione ellenica (anche se pezzi consistenti di quel partito sono entrati a far parte negli ultimi tre anni della formazione guidata da Tsipras).
Ieri e oggi i media iberici danno ampio risalto alla proclamazione a Madrid di Manuela Carmena, candidata di Ahora Madrid – alleanza tra Podemos, movimenti sociali e partiti ecologisti e di sinistra – che pur arrivando seconda alle elezioni del 24 maggio è riuscita a cacciare la destra reazionaria del PP dall’alcaldia della capitale dopo ben 24 anni. Ma solo grazie al sostegno dei socialisti che in cambio dell’inclusione di alcuni “indipendenti” vicini al Psoe all’interno della nuova giunta hanno deciso di sostenere l’ex magistrata 71enne, comunista ai tempi della dittatura di Franco, poi vicina ad Izquierda Unida ma in buone relazioni con alcuni pezzi grossi del Psoe. Manuela Carmena ha ottenuto la maggioranza assoluta in consiglio comunale grazie ai 20 voti dei consiglieri di Ahora Madrid e ai 9 socialisti che garantiranno l’appoggio esterno.
In contemporanea a Barcellona veniva designata la più giovane Ada Colau, a lungo animatrice del coordinamento contro gli sfratti (Pah) e candidata di Barcelona en Comù, alleanza tra Podemos e vari partiti di sinistra e centrosinistra locali: Iniciativa per Catalunya Verds, Esquerra Unida i Alternativa, Equo, Procés Constituent. La battagliera 41enne ha ottenuto i 21 voti necessari a governare (in consiglio municipale conta 41 eletti) ricevendo il sostegno degli 11 consiglieri di Barcelona en Comù, dei 5 di Esquerra Republicana de Catalunya, dei 4 socialisti e anche di uno dei 3 eletti della Cup, la coalizione della sinistra indipendentista catalana. Gli altri due hanno annullato il proprio voto scrivendo sulla scheda messaggi di solidarietà con i lavoratori di Movistar e con alcuni attivisti antifascisti processati dalla magistratura.
Colau è la prima donna a ricoprire la carica di sindaco di Barcellona nella storia della città, sostituendo il regionalista di centrodestra Xavier Trias di Convergenza e Unione. La neosindaca ha promesso un piano contro le diseguaglianze, che fermi gli sfratti, riduca i prezzi dell’energia elettrica e conceda un reddito minimo di 600 euro ai cittadini senza lavoro. Come Carmena a Madrid, Colau ha promesso anche di portare il proprio stipendio a 2.200 euro al mese, contro i 140.000 euro annui percepiti dal sindaco uscente.
Grande emozione più a nord, a Pamplona, dove per la prima volta dopo tempo immemore l’estrema destra locale rappresentata dall’Unione del Popolo Navarro è stata sconfitta e a sedere sullo scranno di sindaco è Joseba Asiron, un insegnante espressione della coalizione della sinistra indipendentista Eh Bildu sostenuto anche dai consiglieri di Geroa Bai (espressione del Partito Nazionalista Basco), della lista civica Aranzadi (Podemos) e da quella di Izquierda Unida. Qui i socialisti hanno deciso di non sostenere l’estromissione della destra dal comune per non mischiarsi a quelli che la stampa reazionaria locale e spagnola definisce gli ‘amici dell’ETA’. Non è andata altrettanto bene nelle altre province basche, dove la sconfitta della sinistra indipendentista – che negli ultimi anni si è limitata ad un preteso ‘buon governo’, impossibile e insufficiente in tempi di crisi ed austerity – ha aperto la strada ad un ottimo risultato del Pnv (regionalisti di centrodestra) che governerà da solo o in alleanza con i socialisti.
A guardare la mappa del Regno oggi è difficile non notare come, anche se a geometrie variabili, nelle principali città si siano insediate giunte formate dalle liste civiche espressione di Podemos, dalla Sinistra Unita, dai socialisti, da partiti nazionalisti di sinistra o centrosinistra e da liste civiche formate da spezzoni dei movimenti sociali. Solo considerando i capoluoghi di provincia, le alleanza di centrosinistra-sinistra amministrano ora 27 città, tra le quali ci sono le dieci più popolose tra le prime 12, per un totale di 10.6 milioni di abitanti. Il Partito Popolare continuerà a governare in 18 capoluoghi, il più importante dei quali è Malaga, in Andalusia, per un totale di 3 milioni di abitanti. Uno scenario inedito, sicuramente. Il PP ha ricevuto in molti casi l’ostracismo di Ciutadanos, il partito di centro (anche se si ammanta di un lessico ‘anticasta’ scimmiottando Podemos) che si è imposto alle elezioni amministrative come ago della bilancia e bacino di recupero dei voti in fuga dai due poli dello storico bipartitismo spagnolo. Spesso gli eletti di C’s hanno varato alleanze con il Psoe, permettendo ai socialisti di guadagnare il sindaco in alcune città. Ma in generale il partito di Albert Rivera – nato 9 anni fa a Barcellona come forza nazionalista spagnola di carattere liberista – si tiene le mani libere, e nella regione di Madrid così come in altre località ha realizzato un patto con i popolari, mentre in Andalusia ha deciso di sostenere la candidata socialista, Susana Diaz, sbloccando la situazione che era in stallo dopo le elezioni regionali del marzo scorso. A proposito di regioni alleanza tra C’s e i socialisti anche in Castilla La Mancha e in Estremadura.
Novità probabilmente inaspettata a Valencia, la terza città del Regno e feudo storico della destra popolare. Il sindaco sarà invece Joan Ribó di Compromis (alleanza locale formata da Izquierda Unida, ecologista e nazionalisti catalani di sinistra) mentre la Comunitat Valenciana – anch’essa bastione per decenni del PP – sarà guidata dal socialista Ximo Puig.
Importanti città come Zaragoza (Aragona), A Coruña (Galizia) e Cádiz (Andalusia) saranno governate da alleanze locali formate da liste civiche, Podemos e partiti di sinistra e centrosinistra.
Ora bisognerà capire se le ampie e eterogenee alleanze che hanno estromesso il PP dal potere locale promettendo discontinuità sul piano economico e politico rispetto all’austerità, alle privatizzazioni e ai tagli sapranno reggere alla prova dei fatti e saranno in grado di mantenere le promesse. In Catalogna si vota in autunno per il rinnovo del parlamento autonomo – nei fatti sarà un referendum sull’indipendenza – e poche settimane dopo sarà la volta delle elezioni generali. E tutti i partiti sono quindi già impegnati in una campagna elettorale che si annuncia molto lunga e complessa, il che non potrà non influire sulle inedite e frastagliate esperienze di governo locale.
Mentre il PP vive la rivolta dei dirigenti di seconda fila contro Rajoy e il suo quartier generale, accusati di aver portato il partito allo squasso, anche all’interno di Podemos il dibattito si è fatto acceso, con una parte del partito che accusa il leader Pablo Iglesias di aver accentrato eccessivamente il controllo escludendo i militanti dalla partecipazione e dalle decisioni più importanti. Dal canto suo la leadership di Podemos sta cercando di non perdere la sua verginità politica per potersi presentare alle prossime elezioni in una posizione di forza contro PP e Psoe, ma certo quanto accadrà nelle città dove i suoi esponenti governano insieme alle sinistre e con il sostegno dei socialisti non potrà non avere conseguenze sul voto autunnale. Dentro Izquierda Unida, invece, il dibattito dopo la sconfitta – anche se a macchia di leopardo – del 24 maggio si è fatto ancora più lacerante che in passato: alcune correnti accusano il partito di immobilismo e chiedono un maggiore coinvolgimento nelle alleanze con Podemos e i nazionalisti progressisti, mentre altri pezzi invocano un ritorno all’iniziativa politica sulla base del recupero dell’indipendenza organizzativa proprio in concorrenza con il partito di Iglesias.
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