Domani c’è l’appuntamento chiave, la riunione dell’Eurogruppo, ovvero dei ministri delle finanze dei paesi dell’Eurozona. Ma non ci sono segnali di fumata bianca, semmai tutto fa pensare il contrario.
Da un lato tutti i rappresentanti delle “istituzioni” (Ue, Bce, Fmi) continuano a ripetere che “la palla è in campo greco, i ministri finanziari domani a Lussemburgo faranno il punto della situazione del negoziato e il ministro greco illustrerà le sue valutazioni”.
Quel ministro neanche nominato, Yanis Varoufakis, ha già anticipato che la Grecia ha fatto fin troppe proposte di compromesso, anche rinunciando ad alcune “linee rosse” fissate dal programma di Syriza, ma non avendo trovato nessuna disponibilità a venirsi incontro domani non presenterà nessuna nuova proposta. L’ultima è quella finale: prendere o lasciare.
Lo stesso Tsipras, dipinto dai media controllati dal capitale multinazionale come “più morbido” (ma lo scandalo dei giornalisti prezzolati dal Fmi chiarisce bene come funzioni la “comunicazione” al tempo della Troika), incontrando il cancelliere austriaco, Werner Faymann, è stato addirittura più tranchant: se i creditori insistono con le loro richieste “esagerate”, che prevedono l’aumento dell’Iva su medicinali ed energia elettrica, “il governo e il Parlamento greco si opporranno in nome del Paese e i leader europei dovranno accettare di pagare il prezzo delle conseguenze di cui non beneficerà nessuno in Europa”. La Grecia è insomma pronta a “un grande ‘no’ su cattivo accordo”.
A stupire è stata semmai la reazione del suo interlocutore (l’Austria è paese di lingua tedesca, dalla linea spesso indistinguibile da quella stabilita a Berlino): “Sto dalla parte del popolo greco a cui, in questo momento di diffiocltà, vengono proposte molte cose deleterie per la società”.
L’ultima pressione sul governo Syriza è stata esercitata dalla Banca Centrale di Atene – ormai considerata una filiale nazionale della Bce – che ha pubblicato il suo consueto, ma allarmatissimo rapporto, secondo cui un accordo tra la Grecia e i creditori «è della massima importanza», altrimenti «ci sarà una crisi incontrollabile», che «segnerebbe l’inizio di un percorso doloroso che porterebbe inizialmente al default sul debito e alla fine all’uscita dalla zona euro e molto probabilmente dall’Unione europea».
Di tutti gli scenari tracciabili in questa eventualità – basta guardare quel che scrive Martin Wolf nell’articolo che riportiamo qui sotto, o quel che scriveva Wolfgang Munchau ieri – la banca centrale ha scelto di illustrare soltanto il peggiore. Segno chiaro di una scelta di campo antigovernativa e, secondo tutti i sondaggi, anche antipopolare, praticamente esplicita.
Infatti vengono enfaticamente riportate “stime” internazionali precedenti la vittoria di Syriza e chiaramente “gonfiate” per cercare di sostenere il governo di colazione tra i conservatori di Samaras e i “socialisti” del Pasok, poi strabattuti. Alla fine dell’anno scorso, ricorda ricorda il rapporto, «c’erano forti indicazioni del fatto che l’economia greca fosse uscita dalla recessione e stesse ritornando a un tasso di crescita positivo. All’epoca, tute le organizzazioni internazionali prevedevano una crescita del Pil nel 2015 e un’accelerazione nel 2016. Da allora le proiezioni sono state riviste al ribasso, la fiducia si è deteriorata e c’è il rischio di un nuovo ciclo recessivo». RIpetiamo: non si sta parlando di “dati”, ma solo di “previsioni” scritte sulla sabbia…
Di tutt’altra saggezza e indipendenza l’analisi di Martin Wolf, come potete vedere:
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Divorzio dalla Grecia: tanta fretta per farlo, tanto tempo per pentirci
di Martin Wolf
La storia racconta che lo scoppio della prima guerra mondiale fu accolto con fiducia ed esultanza dai popoli europei. Qualcosa di simile sembra stia succedendo dopo anni di crisi economica e turbolenze politiche in Grecia. Sempre più persone sembrano pensare che quando è troppo è troppo. Le opinioni intransigenti espresse su queste pagine dall’economista italiano Francesco Giavazzi sono condivise da molti, nelle alte sfere. Sull’altro versante, il primo ministro greco Alexis Tsipras accusa i creditori della Grecia di «saccheggiare» il suo Paese.
Olivier Blanchard, l’assennato economista capo del Fondo monetario internazionale, segnala che un accordo è possibile. Ma molti cominciano a desiderare che questo nodo venga sciolto. Qualunque gioco i greci stessero pensando di giocare, il loro Governo ormai probabilmente desidera soltanto mettere fine all’umiliazione. Analogamente, qualunque gioco l’Eurogruppo abbia giocato finora, ormai probabilmente vuole solo mettere fine alla frustrazione. Se è così, default, uscita dall’euro e svalutazione potrebbero essere vicini per la Grecia.
L’euforia durerà? Temo di no. Qualcuno, nell’Eurozona, pensa che il caso greco sia unico, ma che il disastro che quei peccatori tanto meritano spingerebbe tutti gli altri a comportarsi meglio. Ma l’unione monetaria a quel punto non sarebbe più irrevocabile. Nuove crisi arriveranno, e quando arriveranno la fiducia nell’unione non sarebbe più assoluta, perché la Grecia ne è uscita. Potrebbe essere necessario mettere in atto il programma di operazioni definitive monetarie (outright monetary transactions) annunciato dalla Bce nel 2012, per calmare le acque. Ma non è detto che basti. Le forze della speculazione, capaci di autoalimentarsi, potrebbero costringere l’Eurozona ad altri divorzi.
Qualcuno sostiene che almeno la Grecia dopo un default e un’uscita dall’euro se la passerebbe molto meglio. Teoricamente è possibile che un default nei confronti dei creditori istituzionali, combinato con l’introduzione di una nuova moneta, una grossa svalutazione (accompagnata da politiche monetarie e di bilancio ragionevoli), il mantenimento di un’economia aperta, riforme strutturali e un miglioramento delle istituzioni, possa segnare una svolta positiva. Molto più probabile è un periodo di caos, e nella peggiore delle ipotesi la deriva verso lo status di «Stato fallito»: se la Grecia fosse in grado di gestire bene un’uscita dall’euro non si sarebbe nemmeno trovata nella situazione odierna.
Ognuna delle due parti farebbe bene a non sottovalutare i rischi. Fondamentale è anche non cedere alla tentazione di usare toni sprezzanti, conseguenza tipica dei nervi sfibrati da negoziazioni infruttuose.
L’incoscienza è una colpa grave, ma grave è la situazione della Grecia. Come fa notare l’economista irlandese Karl Whelan in una sferzante replica all’editoriale di Giavazzi, l’economia ellenica ha subito un tracollo terrificante. Il prodotto interno lordo aggregato, dai livelli massimi al punto più basso, è calato del 27 per cento, mentre la spesa in termini reali nell’economia è diminuita di un terzo. Il saldo di bilancio corretto per gli effetti del ciclo è migliorato del 20 per cento del Pil tra il 2009 e il 2014, e la bilancia delle partite correnti del 16 per cento del Pil tra il 2008 e il 2014.
Il tasso di disoccupazione ha toccato il 28 per cento nel 2013, mentre il numero dei dipendenti pubblici, tra il 2009 e il 2014, è sceso del 30 per cento. Un aggiustamento tanto brutale avrebbe sfilacciato lo scenario politico in qualsiasi Paese.
Se gli europei ora devono trattare con Syriza è proprio a causa di questa catastrofe. Ma anche a causa del rifiuto di svalutare una fetta maggiore del debito nel 2010. Quello fu un errore colossale, reso enormemente più grave dal successivo tracollo dell’economia greca. La verità è che i prestiti delle istituzioni alla Grecia in grandissima parte sono stati fatti per favorire non la collettività, bensì gli irresponsabili creditori privati del Paese ellenico.
Anche i creditori hanno il dovere di essere prudenti. Se sono imprudenti, rischiano di incorrere in grosse perdite. E se i Governi vogliono soccorrerli, devono dire esplicitamente ai loro contribuenti che il conto spetta a loro pagarlo.
La Grecia, tra l’altro, ha già fatto riforme importanti, anche su pensioni e condizioni per le imprese. Fare marcia indietro sarebbe un errore colossale, come sostengono l’Eurogruppo e il Fmi.
Considerando tutto questo, è tragico che una rottura possa avvenire adesso, dopo che la Grecia ha già sofferto così tanto. Non è troppo tardi per raggiungere accordi per promuovere le riforme, ridurre al minimo le ulteriori misure di austerità e rendere gestibile il debito. Sarebbe nell’interesse di lungo termine di tutte le parti. Anche i parametri di questo accordo sono evidenti: un avanzo primario contenuto nel breve termine, una decisione da parte dell’Eurozona di estinguere i crediti di Fmi e Bce, accompagnata da un alleggerimento del debito nel lungo termine e da un impegno forte a riforme strutturali coraggiose da parte delle autorità greche.
Che le piaccia o meno (non le piace, e si può capire), la Banca centrale europea gioca un ruolo chiave. Dovrà decidere quando smettere di trattare i titoli del Governo greco come garanzia contro il sostegno finanziario di emergenza erogato alle banche greche. Se la Grecia non riuscirà a raggiungere un accordo per lo sblocco dei fondi, la Bce probabilmente chiuderà i rubinetti alle banche greche. A questo punto verrebbero imposti controlli sui prelievi, forse accompagnati da un meccanismo per la circolazione di ricevute di deposito, o in prospettiva dall’introduzione caotica di una nuova moneta.
In questo momento, tuttavia, lo scopo dev’essere ancora quello di mantenere il sangue freddo e raggiungere un accordo. Ma appare sempre più improbabile, con il clima di rabbia e recriminazione che si è venuto a creare. Non sarebbe comunque la fine della storia. Gli europei non possono semplicemente prendere e andarsene, come se nulla fosse: che la Grecia rimanga o meno nell’euro, bisognerebbe fare i conti con molti degli stessi problemi. Gli europei dovrebbero comunque riconoscere che gran parte dei loro soldi non tornerà indietro e dovrebbero comunque dare una mano per evitare il collasso della Grecia.
Divorziare da un partner difficile può essere un sollievo. Ma il partner continua a esistere, anche dopo che il matrimonio monetario è finito. La Grecia continuerà a essere strategicamente collocata in Europa, anzi continuerà a rimanere nell’Unione Europea. Né i greci né i loro partner devono pensare che sarà possibile rompere così, dall’oggi al domani. La relazione continuerà, solo che sarà una relazione astiosa. Se, ed è una tragedia, non si riuscirà a evitare questo fato, bisognerà farci i conti: per tanto, tanto tempo.
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(Traduzione di Fabio Galimberti per IlSole24Ore)
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