La guerra saudita contro il popolo yemenita continua a non bucare l’informazione mainstrem. Eppure gli argomenti non mancherebbero. L’ordine di scuderia sembra essere quello di non mettere troppo in cattiva luce le petromonarchie.
La coalizione militare araba sunnita guidata dall’Arabia Saudita, infatti, ha bombardato la sede del Congresso Popolare Generale, cioè il partito dell’ex presidente dello Yemen, ed attualmente alleato dei ribelli sciiti houthi, Ali Abdullah Saleh. Le bombe sganciate dai caccia di Riad hanno ucciso diverse persone tra i dipendenti e le guardie dell’edificio, che si trova nel quartiere di Hadda, nel sud della capitale Sana’a. L’attacco è avvenuto mentre in un’altra zona della città i dirigenti del partito incontravano l’inviato delle Nazioni Unite per lo Yemen, Ismail Ould Cheikh Ahmed, impegnato nell’impossibile missione di ottenere l’inizio di colloqui diretti tra il governo fantoccio strumento del polo islamico guidato dai sauditi e le forze ribelli che a partire dall’inverno scorso hanno occupato gran parte del paese estromettendo il presidente Hadi.
L’inviato dell’Onu era arrivato a Sana’a ieri con l’obiettivo di rilanciare un processo di pace mai decollato – accolto da manifestazioni di massa contro l’Arabia Saudita – e di ottenere una tregua umanitaria nel paese che permetta di assistere centinaia di migliaia di persone ridotte allo stremo per mancanza di cibo, acqua, medicine.
Ma nonostante la sua presenza, la cosiddetta coalizione ha proseguito i bombardamenti, prendendo di mira anche le abitazioni del nipote di Saleh e di alcuni sostenitori degli houthi nella capitale e le postazioni militari dei ribelli nelle città di Amran e Al Mokha. Il 3 luglio ad Aden, seconda città del paese, almeno tredici miliziani houthi e otto combattenti delle milizie fedeli al presidente Abd Rabbo Mansur Hadi, in esilio in Arabia Saudita, sono morti negli aspri combattimenti.
Il massacro avvenuto ad Harez sabato sera, nel nordovest dello Yemen, è stato anche più tremendo. Nell’attacco aereo guidato dai sauditi contro la località nella provincia di Amran infatti sono stati uccisi almeno trenta civili e altri settanti sono stati feriti. A fare strage sono stati alcuni proiettili che hanno colpite un mercato, a quell’ora pieno di persone che dopo la fine del digiuno previsto durante il ramadan avevano raggiunto la zona piena di ristoranti e bar.
“Ero nel mercato e all’improvviso è caduta la prima bomba, poi sono arrivate le altre. Si è riempito di corpi senza vita. Un massacro” ha raccontato alle agenzie di stampa un quindicenne scampato alla strage. Il numero di morti è così alto che il locale obitorio ha dovuto comprare dieci frigoriferi da bar – quelli in cui si conservano i gelati – per ospitare i cadaveri in attesa della sepoltura. Tra i morti anche tre lavoratori etiopi che non sono sopravvissuti al viaggio in ambulanza.
La situazione umanitaria intanto peggiora sempre di più man mano che le città yemenite alla frontiera con l’Arabia Saudita si svuotano dei loro abitanti che cercano scampo e rifugio nelle località del sud del paese, dove cresce l’odio per i paesi – Emirati Arabi, Kuwait, Bahrein, Qatar, Sudan, Egitto, Giordania e Marocco – che grazie anche all’appoggio logistico delle forze armate di Washington realizzano ormai da mesi continui bombardamenti indiscriminati contro la popolazione. Il 1 luglio scorso le Nazioni Unite hanno classificato lo Yemen come una crisi umanitaria di livello 3, la categoria più alta prevista. Il conflitto sta provocando un crollo di tutte le infrastrutture civili presenti nel paese più povero di tutto il Medio Oriente. Secondo gli analisti e gli operatori umanitari ormai il 90% della popolazione ha immediato bisogno di aiuti, quasi tutte le infrastrutture del paese sono distrutte o inagibili a causa dei bombardamenti e quasi tremila persone sono morte. Il blocco marittimo e aereo imposto da Riyadh ha fatto precipitare la situazione, insieme all’embargo sugli aiuti e anche sui medicinali decretato dalla coalizione a guida saudita.
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