Non conosce tregua l’opera di fascistizzazione della cultura e dell’ideologia ufficiali in Ucraina dopo la presa del potere dei partiti nazionalisti. Il Consiglio municipale di Kiev ha approvato a larga maggioranza il progetto di “museo dell’occupazione sovietica”, e le autorità della capitale ucraina stanno valutando tre possibili siti, tra cui l’ampio spazio che circonda il monumento alla Madre Patria realizzato proprio durante l’epoca sovietica.
Il museo dovrebbe accogliere in particolare monumenti e simboli dell’Urss che verranno progressivamente eliminati dagli spazi pubblici in seguito all’approvazione nell’aprile scorso delle leggi sulla de-sovietizzazione del Paese.
Non si tratterebbe di fatto del primo museo di questo genere a Kiev – un piccolo “museo dell’occupazione sovietica” gestito dall’organizzazione “umanitaria” Memorial esiste dal 2007, ma non riceve fondi statali e la sua apertura provocò l’irritazione di Mosca, che la definì “un insulto” – ma gli ideatori del progetto intendono rafforzare la campagna anticomunista con nuovi simboli. Simboli spacciati come parte di un recupero dell’identità nazionale ucraina che in realtà rappresentano una rivalutazione di un passato oscuro e criminale, basato su ideologie scioviniste ed escludenti nei confronti delle popolazioni di lingua russa maggioritarie nell’est del paese e di quelle appartenenti alle altre minoranze che vivono invece nell’ovest.
A chiarire il clima di repressione e terrore che si è instaurato nell’Ucraina post-maidan e post-golpe la dichiarazione del Ministro della Giustizia ucraino di Kiev, Pavel Petrenko, che alle agenzie di stampa ha detto: “Ho firmato tre decreti, che riconoscono che il Partito Comunista d’Ucraina nella sua attività non è conforme alla legge sulla de-comunistizzazione. La conseguenza giuridica di ciò è che questa forza politica e altri due partiti politici comunisti non possono essere soggetti al processo elettorale e partecipare alle elezioni presidenziali e alle elezioni locali “.
“Questo è veramente un momento storico”, ha detto il segretario del Consiglio di sicurezza di Kiev, Oleksandr Turcinov.
L’iter avviato immediatamente dopo il colpo di stato del febbraio dello scorso anno dalle nuove autorità contro la presenza nel paese di forze politiche comuniste e antifasciste sembra quindi avviarsi non verso la messa fuori legge tout court del Pcu e di altre formazioni – che striderebbe con l’ingresso di Kiev allo spazio politico ed economico dell’Unione Europea – ma verso la loro esclusione totale dalle competizioni elettorali e dalla vita pubblica. Condizione che di fatto esiste già e che ha impedito ai comunisti e ai socialisti di entrare nel parlamento di Kiev dove invece prima del golpe il gruppo del Pcu era tra i più numerosi avendo ottenuto il 13% dei consensi. Che sono diventati neanche il 4% alle ultime competizioni tenutesi dopo la conquista del potere da parte degli ultranazionalisti alla quale al Pcu è stato sì permesso di partecipare, ma senza visibilità sui media, senza agibilità politica, con la maggior parte delle sue sedi chiuse, in un clima di criminalizzazione, arresti e continue aggressioni.
«In seguito all’approvazione delle leggi di decomunistizzazione – ha spiegato il ministro Petrenko – è stata formata una commissione che ha passato un mese a controllare i tre partiti comunisti in Ucraina», cioè il Partito Comunista d’Ucraina, il Partito Comunista Rinnovato e il Partito Comunista dei Lavoratori e dei Contadini. «In base alle conclusioni della commissione – ha proseguito l’esponente del regime – ho firmato i tre decreti confermando che le attività, la denominazione, i simboli, gli statuti e i programmi dei partiti comunisti non rispondevano ai requisiti della parte 2 dell’articolo 3 della legge “Sulla condanna dei regimi totalitari comunista e nazionalsocialista in Ucraina e il divieto di propaganda dei loro simboli”».
Una legge che teoricamente mette al bando i comunisti equiparandoli ai nazisti, in un paese dove leader di formazioni apertamente fasciste ricoprono importanti incarichi di governo…
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