La già martoriata capitale dello Yemen Sana’a si è svegliata questa mattina sotto un fitto bombardamento da parte dei caccia della cosiddetta ‘coalizione araba’ a guida saudita che ormai da mesi martella le città del paese nel tentativo di cacciare i ribelli houthi e di rimettere in sella il governo fantoccio guidato dal presidente Abdel Rabbo Mansour Hadi, riparato proprio a Riad dopo che le milizie sciite e i reparti militari fedeli all’ex presidente Abdullah Saleh si erano impossessati l’anno scorso di gran parte del paese. Secondo fonti locali le bombe sganciate dai caccia hanno colpito tra gli altri obiettivi anche la sede dei servizi di Sicurezza e l’Accademia di polizia, utilizzata dagli insorti come quartier generale.
Ma quasi sei mesi di bombardamenti spesso indiscriminati, dalle navi al largo delle coste yemenite e soprattutto dal cielo non hanno ridotto la resistenza delle milizie ribelli causando invece un numero molto alto di morti tra i civili – il conteggio ufficiale parla di 4500 vittime – e milioni di profughi interni. E così ieri l’Arabia Saudita, gli Emirati Arabi Uniti, il Bahrein ed il Qatar (con la tolleranza dell’Onu e il sostegno politico e logistico degli Stati Uniti) hanno deciso di dare avvio alla seconda fase del loro piano, l’invasione da parte delle truppe di terra rimandata a lungo perché assai più impegnativa e compromettente della campagna aerea.
Da ieri un migliaio di militari del Qatar hanno cominciato a penetrare in territorio yemenita attestandosi nella provincia di Jawf, accompagnati da circa 200 tra carri armati e veicoli blindati e da 30 elicotteri da guerra Apache, dopo che nei giorni scorsi nel paese era penetrato un primo gruppo di soldati dei paesi del golfo inviati per creare una testa di ponte necessaria all’invasione vera e propria.
Secondo il quotidiano panarabo Al Sharq al Awsat il governo saudita ha schierato a Marib – provincia situata nella parte centro-occidentale dello Yemen – un massiccio contingente di truppe scelte, anche in questo caso dotato di carri armati e armi pesanti. Sarebbe ormai di circa 10 mila soldati il contingente formato dalle truppe inviate dalle petromonarchie del Golfo per piegare la resistenza dei ribelli sciiti, dell’esercito rimasto fedele all’ex presidente e di altre forze locali indisponibili ad accettare il governo di un Hadi chiaramente al servizio della sola comunità sunnita e degli interessi politici, economici e militari dei sauditi.
La scelta di intervenire proprio a Marib e Jawf non sembra per niente casuale, considerato che si tratta di due delle province in cui si concentra buona parte della produzione petrolifera yemenita.
L’aumento del numero di truppe inviate nel paese sarebbe propedeutico al lancio di una massiccia offensiva destinata alla riconquista della capitale Sana’a, che potrebbe costare un enorme bagno di sangue e la distruzione di uno dei centri antichi più importanti di tutta la regione. L’accelerazione dei piani di invasione sarebbe la conseguenza diretta, affermano alcune fonti, dell’uccisione venerdì scorso di 60 soldati – 45 degli Emirati, 10 sauditi e 5 del Bahrein – nel corso di un attacco missilistico messo a segno dai miliziani Houthi. Il 4 settembre i missili Tochka lanciati dai ribelli avevano centrato un deposito di armi innescando esplosioni a catena.
Già domenica una prima rappresaglia ha provocato decine di morti tra i combattenti sciiti, colpiti nei dintorni del complesso presidenziale ma anche nelle basi di Nahdain, di Faji Attan e nelle caserme della capitale. Secondo vari testimoni però le bombe saudite hanno centrato anche una scuola e alcuni ristoranti, uccidendo una ventina di persone tra le quali alcuni studenti. Altri morti la coalizione sunnita li ha fatti domenica al Al Jawf – una ventina – e nella provincia di Baida – ventisette – mentre il giorno precedente due intere famiglie erano state massacrate nella capitale: altre 27 vittime.
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