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Strage di curdi a Cizre, l’esercito turco assedia e bombarda la città

Ieri un soldato turco è stato ucciso al confine con la Siria da alcuni colpi di arma da fuoco sparati dal versante siriano da alcuni miliziani dello Stato Islamico. Il militare 21enne era di stanza a Reyhanli, nella regione meridionale di Antiochia, ed è morto dopo essere stato trasportato in ospedale.
Eppure la furia delle forze di sicurezza del regime e dei militanti nazionalisti – sia nella versione laica dell’Mhp, sia in quella islamista dell’Akp – continua a rivolgersi ormai da quattro giorni contro le sedi politiche della sinistra curda e contro case, negozi, librerie individuate come obiettivi di un pogrom che non ha eguali nella storia recente della Turchia. Nei giorni scorsi le aggressioni e i linciaggi ai danni degli esponenti del Partito Democratico dei Popoli o di semplici cittadini curdi da parte delle squadracce di nazionalisti e di fascisti hanno provocato decine di morti, anche se il bilancio preciso è molto difficile da fare visto il caos che regna nel paese e il bavaglio imposto ai media indipendenti.
Altrettanto grave è il bilancio del massacro che ormai dura da una settimana a Cizre, città curda di 130 mila abitanti assediata, isolata e bombardata da parte delle forze armate turche. Secondo i conteggi diffusi ieri, almeno 33 persone sarebbero già morte nelle sparatorie scatenate in città dall’esercito e dai corpi speciali della polizia. Per la propaganda del regime la quasi totalità delle vittime sarebbero guerriglieri del Pkk o militanti del suo fronte urbano, ma fonti mediche e lo stesso Hdp sostengono che almeno 20 delle vittime cadute sotto i colpi dell’esercito sono civili. D’altronde è difficile ritenere fondate le veline di Ankara quando gli obitori si riempiono di ragazzini – la vittima più giovane aveva solo 35 giorni di vita – di adolescenti, di donne e di anziani che certo non hanno né l’aspetto né i requisiti per essere considerati dei combattenti. Molti dei corpi delle vittime della repressione, compreso quello di un bambino di otto anni, sono da giorni conservati in alcuni frigoriferi visto che il coprifuoco e il fuoco dei cecchini sulle strade impediscono alle famiglie di portarli in obitorio. Solo ieri sarebbero state otto le vittime, mentre si moltiplicano i casi di abitanti uccisi da infarti o morti a causa di ferite non curate adeguatamente vista l’impossibilità di portarli in ospedale.
L’altro ieri inoltre un massiccio schieramento di polizia ha impedito con la forza a una foltissima delegazione di parlamentari del Partito Democratico dei Popoli di entrare all’interno della città. E ciò nonostante il fatto che del gruppo facessero parte anche i due ministri dell’Hdp del governo di transizione alle elezioni, oltre ai tre portavoce del partito e ben 30 degli 80 deputati della formazione che riunisce la sinistra curda e alcune organizzazione della sinistra turca. Tutti, a bordo di una carovana di autobus e automobili, sono stati fermati a 90 km da Cizre. A quel punto Selahattin Demirtas e gli altri dirigenti dell’Hdp hanno intrapreso una marcia a piedi, accompagnati da alcune migliaia di attivisti del partito che si sono man mano aggiunti alla delegazione. Ma a Idil, a una trentina di chilometri dalla città martire della provincia di Sirnak, ieri la marcia è stata di nuovo bloccata su preciso ordine del primo ministro Ahmet Davutoglu (Akp). Da parte sua Demirtas ha definito Cizre “la nostra Kobane” e poi ha paragonato la situazione della città – dove ormai scarseggiano acqua e cibo e dove tutte le comunicazioni con l’esterno sono bloccate – al blocco della Striscia di Gaza da parte di Israele ed ha promesso di fare “del suo meglio” per spezzare l’assedio. “Possono fermare il nostro convoglio, ma non possono impedirci di camminare”, ha affermato. Ma il ministro degli Interni, Selami Alti­nok, ha ribadito che nella città non si entra e che il coprifuoco resterà in vigore ‘finché sarà necessario’.
L’Hdp si trova in serie difficoltà, additato dal regime come braccio politico della guerriglia curda che continua a infliggere dure perdite alle forze di sicurezza. Negli ultimi mesi il partito è stato colpito in maniera massiccia dagli arresti di massa ordinati dal regime e poi da un’ondata senza precedenti di aggressioni ai propri militanti nelle strade e dalla devastazione delle proprie sedi. E’ assai dubbio che il partito riesca a presentarsi in tutte le circoscrizioni della Turchia per le elezioni del Primo Novembre, ammesso che nel frattempo il regime islamista – con la complicità dei nazionalisti di destra dell’Hdp e grazie alla tolleranza dei repubblicani del Chp – non metta direttamente fuorilegge la formazione politica reduce da un 13% conquistato alle votazioni del 7 giugno.
Mai come negli ultimi giorni la posizione dell’Hdp sembra distanziarsi dalle organizzazioni del movimento di liberazione curdo impegnate in un duro braccio di ferro militare con le forze di sicurezza. Ieri la storica esponente curda e deputata dell’Hdp, Leyla Zana, ha iniziato uno sciopero della fame per perorare la causa di un nuovo cessate il fuoco tra stato e guerriglia. “Mi rivolgo a tutte le parti che hanno una pistola in mano: se non riesco a farmi ascoltare da nessuno, prenderò un’iniziativa per conto mio. Io non mi arrendo quando faccio una promessa. Preferisco morire piuttosto che vedere le persone che muoiono”, ha detto la parlamentare nel corso di in un comizio nella provincia di Sirnak. Eletta in parlamento per la prima volta nel 1991, Leyla Zana “fece scandalo” per aver prestato il suo giuramento in curdo –  lingua il cui uso pubblico era severamente proibito – e fino al 2004 fu imprigionata per un totale di dieci anni dopo che un tribunale turco la giudicò colpevole di “sostegno all’organizzazione terroristica” Pkk. 
Ma gli appelli di Leyla Zana e dello stesso Demirtas sembrano destinati a cadere nel vuoto. Nelle ultime ore una civile è rimasto ucciso e tre poliziotti sono stati feriti a causa di un attacco di militanti del Pkk che hanno aperto il fuoco in un caffè nel centro di Diyarbakir. La vittima è Seyhmus Sanir, un giovane di 22 anni che lavorava come cameriere nel locale.
Stamattina almeno 15 caccia turchi hanno martellato per cinque ore Qandil, Zap e Avashin sulle montagne dell’Iraq del Nord, causando un numero imprecisato di morti. Proprio ieri il regime turco ha reso noto il numero dei (presunti) caduti nelle file del Partito dei Lavoratori del Kurdistan dall’inizio delle massicce operazioni militari governative contro la guerriglia turca, lo scorso 24 luglio. I morti tra i combattenti sarebbero ben 1116 e i feriti circa 900, afferma l’esecutivo di Ankara. Cifre gonfiate probabilmente, affinché il regime possa vantare i suoi successi nel contrasto al ‘terrorismo’, ma che rendono bene l’idea del massacro in corso nella regione.

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