Durerà poco l’euforia dopo l’inattesa vittoria di domenica alla elezioni anticipate nelle quali il partito del premier ha conquistato a sorpresa il 35.5% dei voti nonostante il plateale tradimento delle promesse realizzate in campagna elettorale e degli impegni assunti nel corso dei primi mesi di governo dopo il successo del 25 gennaio.
Ma smentendo le critiche dei suoi detrattori interni e i sondaggi che davano il suo movimento in forte difficoltà dopo la capitolazione di luglio e l’accettazione del Terzo Memorandum, il quarantenne leader della sinistra ellenica può ora tirare un sospiro di sollievo. Anche se a chi conta non è sfuggito che il trionfo di Syriza è dimezzato dal forte calo dell’affluenza alle urne (il partito ha perso ben 300 mila voti, non pochi in un paese di soli 11 milioni di abitanti) e da una generale disillusione che rende assai volatile il consenso nei confronti della ‘sinistra radicale’ così come delle altre formazioni politiche, nessuna esclusa, e della politica in generale.
La vittoria di Syriza è dovuta, va riconosciuto, in buona parte al carisma personale del suo giovane leader che nonostante le varie giravolte politiche e una buona dose di trasformismo è riuscito a catalizzare ancora una volta le speranze di una consistente quota di elettorato – la maggior parte del quale proveniente dal Partito Socialista, abbandonato solo dopo l’applicazione dei piani lacrime e sangue imposti dalla troika – che non sembra affatto disponibile ad imboccare la strada della rottura con l’Unione Europea pur di farla finita con austerità, debito e sacrifici a senso unico.
E così dal ‘no all’austerità’, costi quel che costi, Alexis Tsipras è passato ad un assai più neutro “teniamo duro e gestiamo bene l’austerità”, concentrando tutta l’attenzione sul contrasto dell’evasione fiscale. Di fatto il nuovo governo presieduto dal premier uscente promette di utilizzare una parte dei finanziamenti concessi dall’Ue e dal Fmi – quanti? quali? non si sa – in cambio di una gragnola di misure di austerità per poter investire risorse nel sociale e rilanciare l’economia; e assicura che pur applicando senza eccezioni le misure imposte ad Atene dai creditori l’esecutivo tenterà di spuntare a Frau Merkel una riduzione del debito, quella stessa che non è riuscito a portare a casa nei mesi scorsi. Un programma che non può certo suscitare entusiasmi particolari; a parte la diminuzione di quasi otto punti dell’affluenza alle urne, a segnalare la caduta verticale della passione politica a sinistra l’esiguo numero di sostenitori che domenica sera sono andati ad ascoltare il ‘discorso della vittoria’ di Tsipras; poche centinaia di militanti e giornalisti, contro le quasi 10 mila persone accorse ad esultare la notte del 25 gennaio.
Presentandosi con Panos Kammenos, leader dei nazionalisti di destra di Anel con il quale ha già rinnovato l’accordo per tornare a governare, Tsipras ha sciorinato davanti alla piccola folla alcuni dei messaggi trasversali – la frattura anche semantica con la “radicalità” abbandonata a favore della “responsabilità” è più che esplicita – che utilizza sempre più spesso. “In Europa oggi la Grecia e i greci sono sinonimo di dignità e resistenza” ha detto il premier promettendo di “proseguire la lotta per altri quattro anni”. Salutando una “vittoria del popolo” (di quale? Di quello greco non di certo…) Tsipras ha pronosticato un cammino irto di difficoltà ed ha chiarito che “la ripresa non può venire attraverso la magia, ma attraverso molto lavoro, ostinazione e lotta”. “Syriza ha dimostrato di essere troppo dura per morire”, ha detto ancora Tsipras. “Il popolo greco ci ha dato un chiaro mandato per liberarci del passato”. “Uniamo le nostre bandiere e le nostre forze sotto la bandiera dell’onestà”, ha affermato il vincitore adottando una delle classiche parole d’ordine dei movimenti anticasta postideologici.
Se la piazza ateniese è rimasta fredda, la vittoria di Syriza ha suscitato invece l’esultanza – seppur moderata – dei mercati finanziari, segno che a certi ambienti la ‘stabilità’ garantita da un governo di sinistra che gestirà il massacro sociale va proprio a genio. D’altronde il primo a complimentarsi con il redivivo primo ministro è stato il presidente dell’Eurogruppo, l’arcigno Jeroen Dijsselbloem, il quale ha naturalmente sottolineato di voler vedere presto “un nuovo governo con un forte mandato per proseguire le riforme”. Anche la Germania di Angela Merkel ha voluto subito mettere in chiaro che Tsipras si è vincolato, accettando il Terzo Memorandum, ad applicare per filo e per segno le misure in esso contenute. “Abbiamo una base molto chiara per superare la crisi del debito. Si tratta degli accordi trovati nel quadro del terzo piano di aiuti e questo non è stato firmato con un governo greco ma con la Repubblica ellenica”, ha ricordato Steffen Seibert, portavoce della cancelliera. “Ciò vuol dire che resta integralmente valido, anche dopo una elezione, anche con un nuovo governo”.
Richiami inutili, visto che appena dopo il risultato elettorale la portavoce di Syriza aveva annunciato che «L’accordo con i creditori verrà applicato e i duri negoziati con i creditori continueranno».
Ma le istituzioni politiche e finanziarie europee sanno benissimo di avere, nel rapporto con Atene, il coltello dalla parte del manico. Tsipras ha già ceduto una volta quando era relativamente forte, dimostrando scarsa determinazione nel braccio di ferro con la Troika, ingabbiato com’è dalla sua ideologia europeista che gli impedisce anche solo di considerare possibili soluzioni alternative all’asservimento del paese ai diktat e ai desiderata neocoloniali dell’Unione Europea. Se qualche mese fa Tsipras avrebbe forse potuto chiamare i settori popolari, la base dei partiti di sinistra, i sindacati a raccolta per sostenere un’eventuale schiaffo alla controparte, oggi le sue armi sembrano quanto mai spuntate.
Il che spinge l’Ue a spingere sull’acceleratore e a intimare ad Atene la realizzazione immediata del piano lacrime e sangue firmato da Tsipras pochi giorni dopo un’affermazione dei ‘no’ al referendum di luglio in tal modo completamente rinnegata e ribaltata. Se vuole le prime tranche del prestito da 86 miliardi e se vuole anche solo iniziare a discutere di una ristrutturazione del debito – che la ottenga è un’altra storia – Tsipras deve ottenere dalla sua maggioranza un’obbedienza cieca e l’approvazione senza ostacoli di una pioggia di provvedimenti antipopolari che potrebbero mandare di nuovo in fibrillazione la sua numerosa pattuglia parlamentare. Se è vero che tutti i deputati ribelli sono stati cacciati dal nuovo parlamento (Unità Popolare non ha raggiunto il quorum minimo fermandosi al 2.87%) è anche vero che tra gli eletti ci sono alcuni personaggi che potrebbero non ingoiare tutti e 127 i rospi in arrivo. Eh si, perché le odiose misure imposte dal Terzo Memorandum sono ben 127, senza parlare di quelle concordate durante l’estate e non ancora rese pubbliche per non spaventare l’elettorato e quelle che la Troika ha in cantiere e che tirerà fuori progressivamente ricattando un governo senza alcuna capacità – e soprattutto volontà – di resistenza: dall’aumento dell’età pensionabile all’abolizione dei pensionamenti anticipati, dall’aumento generalizzato dell’Iva alla cancellazione dei sussidi per agricoltori e allevatori, dall’eliminazione delle esenzioni fiscali per le isole al ripristino dei licenziamenti collettivi, fino alla privatizzazione delle rete elettrica, dei porti e dei 14 aeroporti del paese e alla ricapitalizzazione delle banche. Già la prossima settimana nelle case dei greci arriverà la bolletta della nuova tassa sulla casa, la temutissima Enfia, mantenuta dal governo nonostante le promesse di abolirla ed addirittura aumentata rispetto allo scorso anno.
«Ci complimentiamo con il neo-premier – ha detto il portavoce della Commissione Ue – . Ricordiamo con piacere che lui e il suo partito si sono impegnati a fare le riforme. E ci auguriamo che agiscano subito, visto che le cose da fare sono tante e le settimane a disposizione poche».
Già ad ottobre è in programma una verifica dei creditori sulle misure adottate finora da Atene, che se farà la brava otterrà 3 degli 86 miliardi da elargire in tre anni. Entro fine ottobre il governo dovrà mettere in cantiere una finanziaria supplementare per il 2015 per rispettare gli obiettivi di bilancio e approvare il budget preventivo per il 2016. Se non lo farà i rubinetti verrebbero di nuovo chiusi e qualcuno – Wolfgang Shaeuble, ma non solo – potrebbe rimettere sul tappeto la punizione già proposta dopo il referendum, cioè l’espulsione di Atene dall’Eurozona per cinque anni. Una Grexit usata come una clava dai padroni delle filiere dalle conseguenze disastrose e non certo scelta e preparata dal paese per sottrarsi al ricatto dei poteri forti e della gabbia dell’Unione Europea.
Tsipras ha garantito che s’impegnerà per ammorbidire le conseguenze più gravi delle cosiddette “riforme” concordate con la Ue, in modo da mettere al riparo dall’austerità le fasce più deboli. Ma il governo greco non possiede né la determinazione né le risorse per evitare che un nuovo tsunami si abbatta su milioni di greci da anni sull’orlo della povertà. Il che vuol dire che il voto continuista e rassegnato di domenica potrebbe lasciare spazio alla rabbia e alla mobilitazione. Che la ribellione, se ci sarà, venga incanalata e organizzata dalle forze che denunciano i ricatti della troika, i memorandum, l’austerità e il voltafaccia di Tsipras è però tutto da vedere. I neonazisti sono sempre lì, pronti a raccogliere e a strumentalizzare il malcontento al servizio dei poteri forti e contro il capro espiatorio di turno.
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