Lo scenario – minacce interne e internazionali più che esplicite – che si era verificato esattamente un anno fa in occasione del referendum sull’indipendenza scozzese si sta ripetendo pari pari rispetto alla possibilità che il prossimo 27 settembre le elezioni regionali catalane diano al Parlament di Barcellona una netta maggioranza indipendentista.
Anzi, a dire il vero la virulenza degli attacchi è ancora maggiore rispetto a quelli lanciati un anno fa contro i fautori del ‘si’ nel referendum scozzese, forse perché in questo caso le possibilità che la Catalogna inizi l’iter per la separazione da Madrid sono anche più consistenti rispetto a quanto avvenne a Glasgow e ad Edimburgo (all’epoca gli indipendentisti si fermarono al 45% ma ora promettono di tornare presto alla carica).
In questi giorni, man mano che i sondaggi pronosticano come sicura – si tratterà solo di misurarne l’entità – la vittoria delle due liste indipendentiste (i moderati di Junts pel Si e la sinistra anticapitalista della Cup), le banche, le imprese internazionali e i governi dell’Unione Europea intensificano le proprie minacce nei confronti di una possibile Catalogna indipendente sommando i propri strali a quelli, scontati, delle forze nazionaliste spagnole e di alcuni tra gli ambienti più reazionari dell’esercito di Madrid. Una sfilza di dichiarazioni, minacce, avvertimenti di tipo terroristico rivolte ai catalani allo scopo di diffondere quanta più paura possibile e condizionare così il voto.
Giorni fa le due grandi associazioni del settore bancario spagnolo hanno esplicitamente minacciato, diffondendo una nota congiunta, di ritirarsi dalla Catalogna se sceglierà la via del distacco dallo Stato Spagnolo. La Confederazione Casse di Risparmio (Ceca) e l’Associazione della Banca (Aeb), guidate dai grandi gruppi finanziari che fanno riferimento a La Caixa e al Banco Sabadell, chiedono alle autorità che «venga tutelato l’ordine costituzionale» spagnolo e «l’appartenenza alla zona euro di tutta la Spagna» per «proteggere i depositanti». Ceca e Aeb minacciano di «riconsiderare il loro insediamento» in Catalogna se dopo le elezioni la regione andrà alla secessione. Secondo le due associazioni, «l’esclusione della Catalogna dalla zona euro come conseguenza della rottura unilaterale del quadro costituzionale vigente comporterebbe che tutte le entità bancarie presenti in Catalogna dovrebbero affrontare gravi problemi di insicurezza giuridica».
Toni allarmistici simili li hanno usati anche le varie associazioni imprenditoriali spagnole, ma anche alcune importanti multinazionali straniere che hanno apertamente minacciato di disinvestire dalla Catalogna e di abbandonare il nuovo eventuale stato indipendente.
Alla campagna terroristica dei soggetti economici privati si somma naturalmente quella condotta dalle istituzioni europee e da vari governi chiamati dal premier Rajoy a sostenere una propaganda unionista che invece di tentare di convincere gli indecisi con argomenti in positivo (si tratterebbe di spiegare perché per i catalani è meglio continuare a far parte della Spagna) tende a dare delle conseguenze di un’eventuale affermazione degli indipendentisti una lettura apocalittica.
Sulla questione ha messo bocca, giorni fa, addirittura la Commissione europea secondo la quale «Se una regione cessa di far parte di uno Stato membro, i trattati non si applicheranno più su quel territorio». Una dichiarazione, quella della portavoce Margaritas Schinas, che sottintende che se Barcellona divenisse capitale cesserebbe automaticamente di far parte dell’Unione Europea (eventualità tra l’altro auspicata dalla frangia più radicale dell’indipendentismo, quella della Cup).
Anche Barack Obama, ricevendo un sempre più squalificato Re di Spagna alla Casa Bianca, ha casualmente auspicato una «Spagna forte e unita». La dichiarazione un po’ stitica del presidente statunitense ha seguito di qualche giorno quelle assai più nette proferite da Angela Merkel e da David Cameron.
Alle minacce e ai toni allarmistici il governatore Artur Mas (liberalnazionalista) e il suo socio Oriol Junqueras (leader della formazione socialdemocratica, repubblicana e indipendentista ERC) rispondono tentando di tranquillizzare gli elettori ricordando che la Catalogna ha tutte le carte in regola per divenire uno Stato indipendente senza che ciò provochi disastri o terremoti economici e diplomatici.
L’attuale comunità autonoma conta circa 7 milioni e mezzo di abitanti, molti di più di tanti stati europei attualmente esistenti, e il suo Pil è superiore ad esempio a quello del Portogallo, versando nelle casse di Madrid circa 62 miliardi di euro per riceverne sotto forma di trasferimenti solo 45. Il recupero delle risorse mancanti fa molta presa sull’elettorato nazionalista moderato, mentre la sinistra anticapitalista insiste sulla rottura con Madrid (oltre che con l’Ue e con la Nato) per recuperare quella sovranità che consenta alle classi popolari di determinare una svolta politica ed economica a favore delle politiche sociali sacrificate da anni di austerity applicata, sotto dettatura della Troika e di Bruxelles, sia dal governo centrale di Madrid sia da quello autonomo catalano.
Ma nelle ultime ore ci si è messa anche la Liga spagnola a minacciare i catalani: “Se vi staccate dalla Spagna il Barça non giocherà più nella Liga” ha tuonato il Consiglio superiore dello sport. Sulle conseguenze di una possibile indipendenza della Catalogna è intervenuto il presidente della Liga spagnola, Javier Tebas, il quale ha ricordato che ” il diritto sportivo è molto chiaro: le uniche squadre non spagnole ammesse sono quelle di Andorra”. Non solo il Barça, ma anche l’Espanyol e altre squadre minori finirebbero fuori dai campionati spagnoli, così come i team e gli atleti catalani impegnati in altre disciplina sportive.
Non si tratta soltanto di un ricatto di tipo sportivo, diretto a preoccupare i tifosi dei “blaugrana”; a comprendere i risvolti economici di una simile esclusione sono in molti, soprattutto negli ambienti che contano…
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