Il romanzo Volkswagen è solo all’inizio. Le ultime notizie sono sparate sui media per nascondere la paura – generalizzata – che tutto il settore auto possa entrare in una spirale distruttiva e incontrollabile, con ovvie ricadute sulle già scarse prospettive di “crescita” globale. Ma anche per impedire che il discredito di una delle principali multinazionali del pianeta possa scoperchiare i meccanismi di funzionamento dell’Unione Europea ancor più di quanto non abbiano fatto sei mesi di devastanti “trattative” tra la Troika e la Grecia.
Accanto ad editoriali preoccupati, infatti, si affiancano articoli quasi tutti dedicati a “confinare” il contagio al solo gruppo Porsche-Vw, sorvolando sulle sempre più insistenti “voci” che allargano a molte altre case automobilistiche la macchia del sospetto.
L’elenco è lungo, ma anche indicativo. “Le concessionarie Vw sono da tre giorni senza più clienti”, “potrebbe partire una guerra dei prezzi – al ribasso – innescata da Vw che avrà bisogno di difendere le proprie quote di mercato, anche a costo di vendere per qualche mese in perdita”, “2,1 milioni di modelli Audi coinvolti”, ecc. La notizia più concreta arriva però dalla Svizzera – non certo un paese anti-tedesco – che ha vietato temporaneamente la vendita di tutti i modelli diesel della casa di Wolfsburg, che dal canto suo ha scritto ai concessionari del gruppo ordinando sostanzialmente la stessa cosa: bloccare le vandite dei diesel Euro 5 in attesa di decisioni dalla sede centrale. Peggio ancora: un fondo pensione statunitense, fin qui azionista di minoranza in Vw, starebbe per intentare causa alla casa di Wolfsburg perché lo scandalo farebbe parte di un piano fraudolento ai danni degli investitori. I quali aavrebbero messo i lro soldi solo perché la del gruppo valutazione era gonfiata dalle menzogne raccontate negli Usa sui test delle emissioni.Detto fra noi, se è questa la motivazione, si meritano di perderci quanto investito. E’ o no “il rischio di impresa”, quello di puntare sul cavallo sbagliato o dopato?
I numeri sono decisamente importanti: un milione di auto solo in Italia, undici milioni in tutto il mondo. Richiamare questa marea nelle officine autorizzate, anche solo per sostituire – in modo ovviamente gratuito – il software incriminato (che cambia i settaggi della centralina al momento del test, in modo da rispettare i parametri indicati dalle normative Ue o di altri paesi), è un costo rilevante. Soprattutto non risolve il problema: quelle auto inquinano comunque molto più del dichiarato, ma in primo luogo sono diventate illegali per la normale circolazione. Il cambio di software, insomma, non modifica in misura sostanziale le emissioni reali, a meno di non esser talmente radicale da modificare prestazioni e consumi dell’auto.
Il danno per Vw deriva dal congelamento delle vendite, dal dover mettere riparo ai motori sui modelli ancora non venduti, dalla class action che le associazioni dei consumatori stanno avviando in tutti i paesi, dalla svalutazione inesorabile che il marchio sta subendo (e che coinvolge Audi, Porsche, Seat, Skoda, e in misura assai minore le ultralusso Bugatti e Lamborghini, oltre ai veicoli industriali Scania), dai problemi finanziari e borsistici che potrebbero addirittura travolgerla. Per gli automobilisti che avevano fatto affidamento sull’ottima fama del marchio, invece, c’è il rischio di vedersi appiedare dalle autorità del proprio paese o comunque di subire una svalutazione dell’usato di dimensioni paurose.
Ma secondo noi la non-notizia centrale è un’altra, che pure campeggia sulle prime pagine di questi giorni: “L’Europa sapeva”.
Intanto ci sembra necessario dis-ambiguare la frase: l’Europa, intesa come popolazioni del Vecchio Continente, infatti, non sapeva un bel nulla, anzi si fidava moltissimo della “tedesca” per definizione (a proposito: che fine hanno fatto gli spot Opel con la Schiffer incentrati appunto sul tormentone “è una tedesca”?).
L’Unione Europea, ovvero l’insieme di istituzioni legali e illegali (come l’Eurogruppo) che condividono la governance sovranazionale sull’area, sapeva ovviamente tutto. Perché il gruppo dirigente della multinazionale Porsche-Vw è uno dei principali capisaldi della struttura di comando della Ue. Struttura che non va identificata affatto con il cosiddetto parlamento di Strasburgo e quasi neppure con la Commissione presieduta da Juncker, ma appunto con l’insieme di gruppi finanziario-industriali multinazionali che determinano le scelte di politica economica – dall’imposizione delle privatizzazioni che consentono ottimi acquisti a prezzi di saldo fino alle “riforme del mercato del lavoro” che azzerano il potere contrattuale dei dipendenti, passando per la definizione di un numero impressionante di “prescrizioni” interessate (un esempio per tutti: legalizzare ovunque la produzione di formaggio con latte in polvere) – attraverso un consolidato, totalizzante e legalizzato sistema di lobbing.
L’Unione Europea sapeva tutto così bene da prescrivere sistemi di test “consigliati” dalla lobby dell’auto, in cui Vw ha un ruolo di assoluto rilievo. E sapeva benissimo cosa faceva quando affidava a società finanziate dalle stesse case automobilistiche il compito di “verificare” la corrispondenza dei modelli messi in commercio con le “normative antinquinamento”. Di fatto, nonostante si moltiplicassero da alcuni anni le denunce di laboratori indipendenti sul crescente scarto tra emissioni dichiarate e quelle effettive, la Ue ha affidato alle case automobilistiche il compito di autocontrollarsi in piena libertà. Proprio mentre, nello stesso periodo, andava costruendo un sistema di centralizzazione delle politiche economiche e fiscali nazionali nelle mani della Troika (Commissione Ue, Bce e Fmi).
Cosa significa? Che le imprese multinazionali fanno e disfano le “regole europee” a proprio piacimento, mentre gli Stati – e quindi tutte le istituzioni della democrazia rappresentativa effettiva – sono ormai ingabbiati in un gorgo di trattati che li espropriano di ogni decisione economicamente e socialmente rilevante (Fiscal Compact, Six Pack, Two Pack).
L’inversione totale tra sfera pubblica e interessi privati non potrebbe essere più chiara. E devastante.
Questo è quel che deve restare nell’ombra e a questo devono pensare i media. Va da sé, ma è utile ribadirlo: questo schema di potere non è “riformabile dal basso”, magari tramite un governo moderatamente progressista che si insedia in un paese un po’ meno debole della Grecia. Questo schema può solo essere distrutto.
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