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Catalogna indipendente. Se non ora, presto

Mai come ieri la popolazione catalana si era mobilitata negli ultimi decenni per un’elezione. Neanche quando, alla fine del franchismo, si trattò di votare la nuova Costituzione spagnola, quella stessa che nega il diritto delle nazionalità senza stato di costruire un futuro indipendente da quello di Madrid. In alcuni seggi ieri, affollati fin dal mattino presto, sono finite le schede per votare tanta era alta l’affluenza che alla fine della giornata ha toccato quota 77%, dieci punti in più rispetto alle ultime regionali del 2012 e la più alta nella storia delle votazioni catalane.
Alla fine della contesa, il variegato fronte indipendentista ha ottenuto la maggioranza assoluta dei seggi nel Parlament di Barcellona, 72 su 135, permettendo così al governatore uscente Artur Mas di cantare vittoria: maggioranza indipendentista raggiunta in quello che tutti, ma proprio tutti, hanno vissuto non come un mero appuntamento amministrativo ma come un surrogato sostitutivo di quel plebiscito sulla separazione che il governo e le autorità spagnole hanno impedito. Nel fronte unionista qualcuno ha fatto notare che alle scorse elezioni i nazionalisti di Convergenza e Unione e i repubblicani di Esquerra, che si erano presentati alle autonomiche con liste separate, avevano ottenuto 71 seggi, più i tre degli antagonisti della Cup. In totale 74 rappresentanti quindi, due in più di ieri. Ma dal 2012 ad oggi di acqua sotto i ponti ne è passata molta: allora Convergenza e Unione non aveva ancora abbracciato esplicitamente la parola d’ordine de “l’indipendenza qui ed ora”, tanto che quando lo ha fatto ha dovuto subire l’uscita dalla coalizione dei democristiani di Unione Democratica che hanno sottratto a Mas alcuni voti pur non riuscendo alla fine ad entrare al Parlament.
Inoltre il partito di Artur Mas ha saputo sfruttare abilmente il voto di ieri per rilegittimare la propria leadership nel campo catalanista dopo una stagione contrassegnata da scandali per corruzione e malgoverno e dopo una legislatura portata avanti all’insegna di una dura politica liberista e rigorista, di austerity, tagli, privatizzazioni e repressione dei movimenti sociali. La lista unitaria con i socialdemocratici di Erc e vari esponenti dell’associazionismo trasversale indipendentista ha messo in secondo piano le responsabilità sul piano amministrativo ed economico dell’ex governatore, puntando alla polarizzazione dell’elettorato sulla questione dell’indipendenza. Avendo convinto la sinistra indipendentista moderata a confluire nella lista unica Junts pel Si probabilmente Mas ha sacrificato il risultato elettorale – seppur in minima parte – pur di riconquistare il ruolo di leader del fronte sovranista.
Un ruolo che il risultato di ieri della sinistra indipendentista e anticapitalista della Cup – Unità Popolare – ha esplicitamente messo in discussione con un esaltante 8% e 10 seggi (contro i 3 del 2012) che dicono che in Catalogna esiste un consistente schieramento popolare che non solo è a favore della creazione di una Repubblica Catalana ma che intende la lotta per l’indipendenza come parte e condizione per una più ampia battaglia contro l’austerità, contro l’economia capitalista, contro l’Unione Europea, la permanenza all’interno dell’Euro e della Nato. Se guardando ai seggi il fronte sovranista è rimasto più o meno sulle sue posizioni, all’interno dello schieramento indipendentista si è assistito ieri ad un aumento esponenziale del voto radicale e antagonista (sul fronte sociale oltre che nazionale) a detrimento delle posizioni moderate di Mas e dello stesso Oriol Junqueras, capofila di Esquerra Republicana. In totale un 48% che non è ancora la maggioranza assoluta dei voti ma che la sfiora.
Sul fronte opposto da notare una sostanziale tenuta dei socialisti del Psc e il vero e proprio boom dei liberal-unionisti di Ciutadans. I primi ottengono 16 seggi (12.7%) contro i 20 di tre anni fa; un ridimensionamento netto, certo, di uno dei due pilastri del sistema bipartitico spagnolo, ma non il crollo e la scomparsa che in molti si auguravano sull’onda di quanto già avvenuto in Grecia con il Pasok in una situazione per certi versi simile. I ‘cittadini’ di Albert Rivera hanno sperimentato invece un vero e proprio exploit, piazzandosi come seconda forza della Catalogna con ben 25 seggi, 16 in più rispetto al 2012, e il 18% dei voti. La formazione di centrodestra nata proprio in Catalogna nel 2006 per contrastare l’auge indipendentista si candida così, anche sul piano statale, a guidare lo schieramento unionista e di destra, fagocitando i voti persi tanto dal Partito Popolare quanto dai socialisti. Nonostante la mobilitazione di Rajoy e di vari pezzi grossi della destra spagnolista, il PP ottiene solo 11 rappresentanti – otto meno del 2012 – e l’8.46%, finendo solo di poco davanti alla Cup. Un vero e proprio smacco per il premier spagnolo che potrebbe preludere ad un crollo verticale alle prossime elezioni generali previste a fine anno. 
In totale, lo schieramento unionista, cioè nazionalista spagnolo, ottiene 52 seggi contro i 48 che aveva conquistato tre anni fa, e solo grazie alla relativa novità rappresentata da Ciutadans con il suo discorso moderatamente ‘anticasta’ declinato a destra.
Se Mas può essere contestato quando afferma che il popolo catalano ha compattamente votato a favore dell’indipendenza e che ora può iniziare l’iter che porterà entro 18 mesi alla proclamazione della Repubblica Catalana, l’ex governatore ha gioco facile nel comparare i 72 consiglieri indipendentisti con i soli 52 nazionalisti spagnoli. Perché la campagna elettorale ha polarizzato l’opinione pubblica e le scelte elettorali, schiacciando e penalizzando fortemente lo schieramento intermedio, quello ‘federalista’, composto da Podem, da Izquierda Unida, dagli ecosocialisti di Icv e dai verdi di Equo: ieri Catalunya Sí que es Pot (CSQP) ha ottenuto uno striminzito 8.9% dei voti e solo 11 seggi, contro i 13 che nel 2012 aveva conquistato da sola l’alleanza tra le due formazioni della sinistra federalista catalana, EUiA e ICV. Una battuta d’arresto più che evidente non tanto per le due formazioni locali che non hanno mai sciolto il nodo della propria posizione sull’indipendenza – perdendo così molti elettori che hanno scelto di votare anticapitalista e indipendentista, cioè Cup – ma soprattutto per la creatura di Pablo Iglesias, le cui quotazioni anche a livello statale crollano sempre più a picco. 
Il terzo schieramento, quello intermedio federalista e autonomista – formato da CSQP ma anche dai regionalisti di UDC ex alleati di Mas che ieri con il 2.5% non hanno ottenuto seggi – non può essere assimilato, come molti media spagnoli(sti) hanno fatto ieri, al fronte unionista. Anzi. Dentro la sinistra federalista infatti non sono poche le correnti e le sensibilità non indifferenti ad un processo costituente che porti ad un aumento sostanziale della sovranità delle istituzioni catalane, fino anche a una separazione che metta però in primo piano le questioni sociali ed economiche più che quelle identitarie, abilmente strumentalizzate dalla borghesia locale.
Dipenderà da come Artur Mas – contestato ieri mentre votava da un manipolo di fascisti di ‘Vox’ e di militanti del Partito Popolare – si giocherà la partita. C’è chi giura che, anche alla luce del risultato elettorale non così netto, eviterà il muro contro muro con Madrid puntando invece ad una contrattazione con lo Stato Spagnolo che aumenti il grado di autonomia della Comunità Catalana, soprattutto in campo fiscale, in cambio di una rinuncia all’indipendenza. Ma a quel punto la Cup avrà gioco facile nel contestare da posizioni di sinistra e indipendentiste radicali il trasformismo di Mas, mettendo in difficoltà i suoi alleati di ERC e fomentando un rinnovato protagonismo dell’Assemblea Nazionale Catalana e delle altre aggregazioni della “società civile” che negli ultimi anni hanno guidato la crescente mobilitazione indipendentista. E non bisogna dimenticare che dall’altra parte, a remare contro un possibile patto che rinvii l’indipendenza della Catalogna a data da destinarsi c’è sempre l’intransigenza e lo sciovinismo che animano le istituzioni e le forze politiche del campo nazionalista spagnolo.
Intanto, rimane aperto lo scoglio della formazione del nuovo governo regionale: da soli i 62 seggi di Junts pel Si non bastano, e l’appoggio esterno della Cup è condizionato dall’abbandono da parte di Mas e dei suoi delle politiche liberiste e autoritarie fin qui portate avanti. Che l’accordo – assai condizionante per i liberalnazionalisti di CDC – vada in porto è tutto da vedere. 

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