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Isis in fuga dalla Siria, i raid russi cambiano lo scenario

In qualsiasi guerra la prima vittima è la verità. Qualsiasi notizia va dunque presa con le pinze, perché è arduo – per tutti coloro che non stanno sul terreno o nella sala comandi di un esercito – sapere con qualche precisione quel che sta accadendo.

Ma una cosa sola sembra certa, a quasi una settimana dall’inizio dell’intervento russo in appoggio di Assad: la situazione sul campo è molto cambiata.

Ogni ora arrivano segnalazioni di nuovi raid del Mig e dei Sukhoi sulle basi jihadiste, sia appartenenti all’Isis che alle altre formazioni fin qui sostenute da Usa, Unione Europea, Turchia, Qatar, Arabia Saudita in funzione anti-Assad e anti-iraniana (Al Nusra, affiliata ad Al Qaeda, Ahrar Al Sham, ecc).

Il ministero della difesa di Mosca ha comunicato che l’aviazione russa ha colpito almeno 3 strutture del sedicente Stato islamico nella zona di Homs, e ha distrutto 2 depositi di armi. In particolare l’offensiva sembra essersi concentrata sulla provincia di Idlib, confinante con la Turchia e considerata uno dei principali canali di passaggio di jihadisti stranieri e rifornimenti per le strtutture combattenti di diverse milizie, Isis compresa. Ma Idlib è anche la provincia più a ridosso della costa nord della Siria, dove c’è sia la base navale di Tartus che l’aeroporto di Latakia, entrambi centri operativi dei militari russi.

Innumerevoli, infine, le segnalazioni di depositi di armi, comandi, strutture di addestramento, ecc, distrutti dai bombardamenti.

Sembra dunque chiara la strategia in questa prima fase: eliminare le sacche anti-Assad che spezzano la continuità del territorio sotto il controllo dei governativi siriani, e intanto colpire pesantemente le basi strategiche dell’Isis, territorialmente più distanti.

Lo stesso portavoce ha reso noto che «Circa 600 militanti dell’Isis hanno abbandonato le loro posizioni per tentare di fuggire in Europa», quindi passando attraverso la Turchia, fin qui retroterra molto ospitale per i jihadisti delle varie sette. Altre fonti parlano di 3.000 combattenti che avrebbero invece valicato il confine desertico della Giordania, il che implica a breve un coinvolgimento – sia pure indiretto – della monarchia giordana nel conflitto.

Va sottolineato che, contrariamente al solito, questo notizie provenienti dai russi non sono affatto smentite dai comandi militari occidentali. Al massimo, come nei giorni scorsi, gli occidentali lamentano il fatto che vengono colpite anche le milizie jihadiste dal loro formate e protette, anziché soltanto l’Isis.

Agli occhi di un osservatore esterno, sembra dunque che in pochi giorni di intervento aereo russo siano stati ottenuti risultati mai visti in oltre un anno di bombardamenti dichiarati da Usa e alleati occidentali contro l’Isis. La cui unica risposta degna di nota non è neppure militare, ma puramente simbolica: la distruzione dell’Arco di Trionfo nella città romana di Palmira, ancora sotto il loro controllo.

Senza cadere nei deliri apologetici dei tifosi di Putin, ci sembra di poter dire che la diversa efficacia sia dovuta – come accennato indirettamente da numerosi analisti esperti di Medio Oriente – a una maggiore chiarezza e semplicità di obiettivi da parte russa. I quali voglio mantenere al potere in Siria gli alauiti, non necessariamente con alla guida Assad, in modo da conservare sia una presenza militare nel Mediterraneo che un ruolo decisivo in Medio Oriente.

Mentre gli Usa, sul piano diplomatico come – quindi – sul piano militare, sembrano aver fin qui tentato di mantenere vivo il caos, cambiando alleanze e priorità in modo da non far mai emergere una soluzione stabile, che avebbe ben presto potuto diventare da loro indipendente. Non potevano del resto schierarsi più apertamente con l’Islam sunnita, con al centro i sauditi, perché da lì è nato (sollecitato inizialmente dagli stessi Usa in funzione antisovietica) il jihadismo che da alcuni decenni si rivolge ormai anche contro l’imperialismo occidentale. Né potevano farlo con gli sciiti, quasi sempre catalogati come “terroristi” o “finanziatori del terrorismo”, neanche ora che hanno raggiunto un sospettoso accordo con Teheran dopo quasi 40 anni di guerra non dichiarata.

Ed è sul piano politico che cose stanno diventando decisamente più chiare. L’alleanza tra Russia, Iran, Assad e Iraq è ormai apertamente rivendicata da tutti questi soggetti. E nelle ultime ore anche l’Egitto dei militari al potere ha deciso di considerare “positivo e utile” l’intervento russo.

Finendo così per isolare, tra i musulmani “moderati”, il presidente turco Erdogan, che invece continua a definirlo “inaccettabile”, visto che distrugge buona parte delle ambizioni turche a ritrovare un ruolo egemonico nell’area.

Anche la lunga intervista concessa da Assad alla televisione di stato iraniana porta nuovi elementi in qualche misura favorevoli per chi dice di voler trovare una soluzione politica alla lunga crisi siriana. Pur mostrandosi estremamente consapevole della ritrovata forza militare sul terreno, infatti, Assad ha per la prima volta parlato di una sua possibile uscita di scena: «Se ciò potesse essere di aiuto, non esiterei a dimettermi».

Non ci sono invece per ora conferme ufficiali sulla presenza in Siria di navi da guerra o di sottomarini nucleari cinesi, il cui presunto arrivo è stato invece amplificato nei giorni scorsi da un certo numero di siti ‘eurasiatisti’.

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