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Il de profundis del nazigolpismo majdanista

L’ex deputato della Rada ucraina Il’ja Kiva è stato freddato nel tardo pomeriggio del 6 dicembre all’interno del parco esclusivo del “Velich Country Club” del villaggio di Suponevo (distretto di Odintsovo, una ventina di km a ovest di Mosca), nel cui albergo viveva da oltre due mesi.

Nella mattina stessa del 6 dicembre, sul proprio canale Telegram, Kiva aveva lanciato l’ennesimo appello contro il regime di Zelenskij: «Per Zelenskij sarebbe meglio metter fine ora alla vita col suicidio, come hanno sempre fatto gli sconfitti, per portare con sé ogni problema e chiudere la questione. Ma egli è troppo narcisista per passi simili».

Il fatto che Kiva, dopo aver lasciato l’Ucraina alla volta della Spagna, si fosse infine ritrovato in Russia e avesse dato voce a svariate sortite antimajdaniste, non cancella il suo passato di squadrista e aggressore del Donbass, quando, ad esempio, sotto le insegne di quel “Pravyj sektor” guidato da Dmitrij Jaroš, nel 2014, con una sessantina di squadristi ucraini, dava l’assalto al municipio di Kranoarmejsk, su cui, a quel momento, già sventolava la bandiera della DNR.

Nell’occasione, Kiva non dimenticava di ringraziare i “benefattori” Igor Kolomojskij e Gennadij Korban (patron del nazionalista UKROP), senza il cui sostegno «non avremmo assolto il compito».

I servizi segreti di Kiev hanno prontamente rivendicato l’omicidio del “traditore” passato al nemico.

Se nel 2013 Kiva si era candidato alle municipali di Kiev come «combattente contro il fascismo» il cui nonno si era guadagnato in guerra il titolo di Eroe dell’Unione Sovietica, già nel 2014 si faceva fotografare in mimetica nell’allora “Operazione anti-terrorismo” (l’aggressione al Donbass lanciata da Petro Porošenko), a capo del battaglione “Poltavshchina” e nel 2015 esortava a prendere a fucilate gli autobus con cittadini del Donbass: «questi viaggiatori della DNR, amanti dei referendum e delle sfilate coi prigionieri ucraini».

Insieme ai nazionalisti del Medžlis dei tatari di Crimea, aveva quindi organizzato il blocco energetico della Crimea. Promosso poi tenente-colonnello della milizia, era diventato “consigliere” del Ministro degli interni Arsen Avakov.

Tra le sue uscite, le lodi ai nazisti di “Azov”, «combattenti per la purezza della nazione ucraina», le sfuriate contro «la peste russa», contro quella «pseudonazione» di uomini che «non possono non uccidere, perché il russo è per sua natura un barbaro»…. fino alla “conversione” del 2017 quando, a capo del ‘Partito socialista’, prometteva il «terrore rosso contro l’oligarchia ucraina».

Poi nel 2019 entrava nella compagine “Piattaforma d’opposizione – Per la vita» di Jurij Bojko e Viktor Medvedchuk, in Ucraina considerata filo-russa, con cui Kiva condivideva vari “ripensamenti” sul majdan; fino a che, nell’ottobre 2021 non fece pubblicamente gli auguri di compleanno a Vladimir Putin, definendolo «grande dirigente», cosa che gli costò l’avvio di un procedimento penale per “tradimento della patria”.

Appena lo scorso 13 novembre, il tribunale di L’vov aveva condannato Kiva in contumacia a 14 anni di galera: quanto accaduto il 6 dicembre, commenta Denis Davydov sull’Agenzia REGNUM, non è altro che l’esecuzione della condanna “con altri mezzi”.

Commentando il caso dell’assassinio di Il’ja Kiva, un altro ex deputato ucraino, Oleg Tsarev (lui stesso, vittima di un attentato dei servizi (SBU) di Kiev nello scorso ottobre; se l’era cavata con varie ferite e diversi giorni in rianimazione) ha dichiarato che Kiva era cosciente del fatto che i servizi gli dessero la caccia, che il suo nome figurasse nella lista dei “liquidandi” compilata dal Servizio militare e vistata da Vladimir Zelenskij.

È un elenco segreto, dice Tsarev: ma non segretissimo e Kiva aveva scelto come dimora quel villaggio chiuso, tutto pieno di videosorveglianza… pensava di essere al sicuro.

Ma, afferma Tsarev, intervistato da Svobodnaja Pressa, SBU opera in modo abbastanza efficiente; tutti i call center ucraini, che in Russia sono principalmente associati a frodi telefoniche, sono controllati dal SBU, che proprio attraverso i call center individua persone facilmente suggestionabili che, dietro denaro, possono compiere questo o quel gesto: lanciare una “molotov” contro il distretto militare, dare fuoco a un relè ferroviario, o semplicemente prelevare una cosa da un posto e nasconderla in un altro.

I servizi ucraini, dice ancora Tsarev, operano attivamente sui social network russi, dove individuano gli scontenti della Operazione speciale in Ucraina o chi addirittura simpatizza con le attuali autorità ucraine: si cerca di reclutare anche questi per determinati compiti. Promettendo somme allettanti, i killer si trovano anche in Russia.

I budget sono dignitosi, ma è risaputo che «solo una piccola parte va all’esecutore, mentre la maggior parte va agli ufficiali del SBU che conducono la data operazione e che dunque hanno sufficienti motivazioni, oltre a nuove spalline, medaglie e ringraziamenti. Gli esecutori non sono che materiale di consumo, che viene immediatamente dimenticato», nel migliore dei casi.

Alla domanda su come si possa reprimere l’attività terroristica ucraina in Russia, Tsarev afferma che «si deve in qualche modo rispondere. Oggi essi non hanno paura, mentre gliela si dovrebbe incutere. La legge sul SBU, approvata nel 2015, proclama che “il SBU è tenuto a eliminare i nemici dell’Ucraina”. Il fatto è che i veri nemici dell’Ucraina sono tutti a Kiev. Molte persone famose, soprattutto nei media, sono minacciate; e tutto questo continuerà fino a quando non risponderemo colpo su colpo».

Ma, nella “democratica” Ucraina della crescente lotta a coltello tra ras che, posti di fronte all’evidenza della disfatta militare, presentano qualche “ordine del giorno al gran consiglio”, per l’incapacità del “capo” a dirigere la guerra.

Nell’Ucraina ‘europeista’ in cui il “capo del fascismo” si prepara a una fuga non proprio “artigianale”, come quella tentata a suo tempo dal bandito travestito da soldato tedesco, bensì probabilmente su un comodo jet della CIA, con destinazione Florida, in una villa da venti milioni di dollari, per lui e famiglia.

Nell’Ucraina per cui tante lacrime ha versato il PD; nell’Ucraina degli assassinii di ogni “traditore”, qui, il fattore “nuovo” prospettato da alcune frange revansciste tedesche è quello di rimandare a casa le migliaia e migliaia di ucraini – se ne sono accumulati tanti da formare “20 Divisioni” – stabilitisi in Germania.

Il problema però, osserva la russa Vzgljad, non è solo che politici come Roderich Kiesewetter (CDU) hanno perso la memoria storica: ancora una volta, il problema è negli USA e in tutti coloro che si fanno portatori degli interessi yankee.

Va da sé che qualcuno a Berlino ha dimenticato la fine fatta non solo da “Tiger” e “Panther” spediti ottant’anni fa sul fronte orientale, ma anche quella delle divisioni messe insieme con nazionalisti e banderisti ucraini al servizio della Wehrmacht.

Così, dopo aver spedito i “Leopard” (anche quelli catturati dai russi), il colonnello a riposo Roderich Kiesewetter ricorda che nei paesi UE ci sono oltre 600.000 ucraini fuggiti dalla mobilitazione, di cui 220.000 in Germania, e che potrebbero tornare in Ucraina per esser inquadrati in un paio di decine di Divisioni.

Convenzionalmente, si ritiene che, almeno fino al 2022, le élite tedesche valutassero positivamente la cooperazione con la Russia, mentre i russofobi si concentravano più che altro nel Partito dei Verdi, la cui copresidente, la Ministra degli esteri Annalena Bärbock, si è affermata come «un concentrato di malintesi, da non essere preso sul serio».

E invece, Kiesewetter si scontrava regolarmente con i colleghi di partito della CDU sulla questione russa: aveva definito il “North Stream 2” un “progetto politico”: un’opinione che, nel 2021, era a dir poco “non di moda” nel partito di Angela Merkel, ricalcando invece il tipico approccio USA di lobby a favore del GNL americano.

Poi, dopo il febbraio 2022, Kiesewetter ha preteso che si indagasse sulle attività dei precedenti governi che avessero brigato per «creare deliberatamente la dipendenza energetica dalla Russia»; per poi arrivare a paragonare le azioni russe in Ucraina a quelle delle truppe tedesche, chiedendo di «insegnare alla Russia a perdere, come la Germania aveva perso nel 1945».

Casualmente, Kiesewetter si era “scordato” che la Russia, a differenza della Germania del 1945, è una potenza nucleare: una dimenticanza molto pericolosa da parte di un ufficiale superiore della Bundeswehr.

D’altronde, Roderich Kiesewetter ha prestato la maggior parte del proprio servizio al QG NATO a Bruxelles, dopo aver studiato all’Università statale del Texas, ad Austin. Ma, soprattutto, è legato a molte organizzazioni “globaliste” – per la verità, più britanniche che americane: la Deutsch-Britische Gesellschaft, o il Centro analisi European Leadership Network.

La faccenda però più sospetta per un tedesco, ricorda Vzgljad, rimane il suo atteggiamento durante lo scandalo tra Berlino e la NSA USA, per le intercettazioni delle élite tedesche, inclusa Angela Merkel: adducendo impegni su altri temi, si era improvvisamente dimesso dalla commissione parlamentare di indagine sullo spionaggio USA.

Agli assassinii e ad simili “linci” è ormai affidato il de profundis del nazigolpismo majdanista.

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