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Kiev: Nato e UE possono attendere

Parafrasando a ritroso le parole con cui Lenin, la mattina del 25 ottobre 1917, annunciava l’abbattimento del governo provvisorio e la vittoria della rivoluzione socialista – “La causa per la quale il popolo ha lottato: immediata proposta di pace democratica, abolizione della proprietà fondiaria sulla terra, controllo operaio sulla produzione, formazione di un governo sovietico, questa causa è assicurata” – a Kiev potrebbero oggi proclamare che gli obiettivi reali per cui Dipartimento di stato e battaglioni neonazisti, quasi due anni fa, portarono le gente a majdan Nezaležnosti, cioè l’ingresso dell’Ucraina nella Nato e l’associazione del paese al trattato sul libero scambio con la UE, sono rinviati a data da destinarsi. Se ne riparlerà tra qualche anno. Per quanto riguarda il primo di quegli obiettivi, è stato Porošenko in persona ad annunciarne il differimento, per “cause tecniche”; per il secondo, la cui entrata in vigore sarebbe attesa per il 1 gennaio prossimo, tutto sembra ora affondare nelle profondità marine, al pari delle quotazioni in patria del presidente.

Su quest’ultimo punto, la polacca “Rzeczpospolita”, ripresa da RT, accusa gli olandesi di farsi “oggettivi alleati di Putin”, perché vorrebbero che Kiev dicesse addio al sogno europeo, nonostante l’accordo sul libero scambio sia stato sottoscritto quasi un anno e mezzo fa. In Olanda si annuncia un larghissimo No al previsto referendum sull’associazione ucraina alla UE; referendum che, per quanto solo consultivo, non potrà non influire sui successivi passi de L’Aja nei confronti di Bruxelles. Quantomeno, l’Olanda potrebbe insistere per limitare l’accordo, sottoscritto nel giugno 2014, ma non ancora ratificato da tutti i paesi UE, ai soli aspetti economici, eliminando completamente ogni accenno politico.

Per quanto riguarda lo status a pieno titolo di membro Nato (anche se, di fatto, il paese ne fa già parte), Porošenko ha ieri pronosticato per l’Ucraina il 2020 o il 2021, non disponendo l’esercito di Kiev, al momento, nemmeno del minimo materiale logistico indispensabile ad assicurare il cosiddetto “standard” atlantico. Per ora, Kiev si accontenta di aver stabilito – uno dei primissimi passi dopo il golpe del febbraio 2014 – la nuova dottrina militare, con la “rinuncia alla politica fuori dai blocchi e il ristabilimento del corso strategico verso l’integrazione euroatlantica” e attende la fornitura di vestiario militare… dall’Albania.

Non è chiaro se queste siano le vere cause del balzo di richieste, registrato negli ultimi sei mesi, di scioglimento della Rada e indizione sia di elezioni legislative (dal 34 al 47%) che presidenziali (dal 31 al 43%). Pur se il 44% degli ucraini sarebbe contrario alla caduta di Porošenko, è significativo l’aumento dei favorevoli alla sua sostituzione. Secondo l’indagine dell’ucraina “Rejting”, oggi l’attività del presidente è appoggiata solo dal 22% (era circa il 50% a inizio anno) degli intervistati, mentre il 71% si dichiara scontento; anche se, negli ultimissimi tempi, forse grazie anche al cessate il fuoco nel Donbass, la caduta di consensi sembra arrestatasi e comunque ancora lontana dai picchi negativi dell’ex “mitragliatore ceceno”, il premier Arsenij Jatsenjuk, fermo da mesi al 10%.

Forse anche per questo, per tentare di recuperare punti nel settore sociale a lui più consono – la destra nazionalista e neonazista – l’apparato presidenziale ha proibito alla TV ucraina di mostrare le immagini della stretta di mano, lo scorso 2 ottobre a Parigi, nel corso del vertice a quattro (Merkel, Hollande, Putin e Porošenko) sul Donbass, tra Petro Porošenko e Vladimir Putin. Secondo le dichiarazioni di un ex collaboratore del canale tv “112 Ucraina”, la perquisizione della polizia nei locali dell’emittente, sarebbe dovuta proprio a quella proibizione, decretata addirittura con una sentenza giudiziale lo scorso 16 ottobre.

Sulla stessa linea d’azione di recupero di consensi, pare inquadrarsi anche l’incontro a Washington tra il Ministro degli esteri ucraino Pavel Klimkin e il coordinatore del Dipartimento di stato per la politica delle sanzioni, Daniel Fried, per la messa a punto di una strategia (leggi: convocazione al comando per ricevere ordini) a proposito della Crimea. Secondo crimea-24.com, gli “amici americani” avrebbero assicurato a Klimkin e, per lui, a Porošenko, il pieno sostegno USA per premere sulla UE a proposito delle sanzioni contro Mosca e per il ristabilimento dell’integrità territoriale ucraina, compresa la Crimea, punto sul quale la Germania ha ripetutamente espresso un diverso punto di vista.

Intanto, però, è la DNR ad aver avviato, dal 13 ottobre scorso, sanzioni personali contro i maggiori oligarchi ucraini, a partire dallo stesso Porošenko, insieme a Kolomojskij, Ložkin e Kurčenko (quest’ultimo, rifugiato in Russia, perché accusato a sua volta da Kiev di stare dalla parte della Novorossija) per “organizzazione e finanziamento di aggressione bellica contro la Repubblica popolare di Donetsk, destabilizzazione della situazione politica e socio-economica nella Repubblica”. Ai suddetti magnati sono vietate l’acquisizione di proprietà mobiliari e immobiliari, oltre alle operazioni bancarie e finanziarie, nella DNR; le transazioni già concluse sono considerate nulle. E sulla scia della DNR, anche la Repubblica popolare di Lugansk ha decretato ieri sanzioni nei confronti di Porošenko, dell’ex governatore della regione di Dnepropetrovsk Igor Kolomojskij, del capo dell’amministrazione presidenziale Boris Ložkin, e di Sergej Kurčenko, affaristi in odore di “persecuzione” giudiziaria in vari paesi europei.

Forse per rifarsi del colpo, i “bravi” presidenziali hanno lanciato (nel senso letterale del termine) un avvertimento al segretario del comitato provinciale del PC ucraino a Mariupol, un’area a ridosso del fronte meridionale del Donbass, sparando con un lanciagranate contro la sua abitazione. Le elezioni municipali, fissate per il prossimo 25 ottobre, cadono evidentemente in un momento di sempre maggior sfiducia nei confronti della leadership presidenziale e governativa, tra enormi aumenti tariffari dettati da FMI e Banca Mondiale, rischi di default dello stato e pericolo di passare al freddo buona parte dell’inverno, se la UE non concederà nuovi crediti per pagare il gas russo: dunque, si tenta di scongiurare i timori di batosta elettorale alla classica e sperimentata maniera squadristica. Quantunque il PC ufficiale non mostri particolare attivismo nella lotta contro il regime golpista, cionondimeno i suoi militanti sono continuamente fatti oggetto di sequestri, bastonature e anche assassinii, in particolare dopo la messa al bando ufficiale della “ideologia comunista”, secondo i canoni della più avanzata dialettica democratica euroatlantica.

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