Nuovo record di consensi in ottobre per Vladimir Putin. Secondo l’ufficiale VTsIOM la percentuale di russi che si dichiarano soddisfatti del suo operato ha raggiunto quasi il 90%: per l’esattezza, l’89,9%, contro l’89,1% del giugno scorso. Secondo la rilevazione, una spinta significativa alla crescita di consensi è venuta dall’intervento in Siria – tema su cui Putin si è soffermato anche ieri, nel proprio intervento al “Forum Valdaj”, conclusosi a Soči, a due passi dalla Crimea – e gli esperti del VTsIOM rilevano come l’appoggio al presidente si mantenga stabilmente al di sopra del 80% da un anno e mezzo a questa parte, a partire cioè dalla riunione della Crimea e di Sebastopoli alla Russia. Fino al marzo 2014 infatti i consensi erano di circa il 76% (58,8% a inizio 2012) e già in aprile, cioè dopo la Crimea, erano saliti al 82,2% e a maggio al 86,2%. Sembra dunque di poter dire che sia la politica estera, quella che porta maggiore popolarità a Putin: i cittadini russi sentono cioè che il loro paese ha riacquistato un ruolo di primo piano sulla scena mondiale e tratta oggi con le maggiori potenze da un livello che non è più quel basso scalino di quindici anni fa.
In politica interna, intanto, le statistiche rilevano una diminuzione del 4,3% dei redditi reali a settembre, rispetto allo stesso periodo del 2014. Secondo Interfax, che riprende una nota del Rosstat, il Comitato federale di statistica, anche in agosto la diminuzione era stata del 5,3%, del 2% a luglio, 6,3% a maggio, partendo da uno 0,7% di gennaio: tutti i dati fanno riferimento al corrispondente mese di un anno fa e la media per i primi nove mesi del 2015 è dunque di una diminuzione del 3,3% rispetto al 2014. Già allora i redditi reali erano scesi dello 0,7% rispetto a un anno prima, quando, al contrario, avevano registrato un aumento del 4% sul 2013; questo, nonostante i redditi nominali fossero cresciuti, a settembre, del 8,2%, attestandosi su una media procapite di 29.300 rubli mensili. Così, anche per i salari nominali medi mensili, cresciuti del 4,5% sul 2014, mentre quelli reali hanno subito una perdita del 9%. Ed è ancora il VTsIOM che registra i timori della popolazione riguardo a possibilità di riduzione dei salari o addirittura di perdita del posto di lavoro. Se le preoccupazioni si sono fatte più acute dopo la pausa estiva, è pur vero però che registrano punte più basse rispetto a inizio anno. Il mese scorso temeva una riduzione degli stipendio o ritardi nel loro pagamento, rispettivamente il 36% e il 31% degli intervistati, contro il 40% e 37% di gennaio.
Tali timori si registrano sullo sfondo delle discussioni sempre più frequenti, in Russia, su un tema a noi molto vicino: l’innalzamento dell’età pensionabile. Il più energico paladino della “riforma”, già da diversi mesi, è il Ministro dello sviluppo economico Aleksej Uljukaev, che giudica inevitabile e da attuare quanto prima l’elevamento a 63 anni per uomini e donne. Il Ministro delle finanze Anton Siluanov chiede invece l’innalzamento a 65 anni. Come da copione, ambedue legano i propri progetti, da approvare preferibilmente prima del 2018, alle necessità del bilancio e a quelle, della finanza, di poter pianificare i relativi investimenti.
Intanto, i due consigliano di cominciare a “preparare moralmente” i cittadini, “in particolare quelli di età vicina alla pensione”. Così che il premier Dmitrij Medvedev ha sentito il bisogno di sostenere “moralmente” la stragrande maggioranza dei russi, assicurando che l’aumento dell’età pensionabile non riguarda (per ora) la maggior parte dei cittadini, ma solo i funzionari statali, per i quali è già stato approvato un progetto di legge che prevede l’innalzamento graduale, per gli impiegati civili dello stato, da 15 a 20 anni dello stage minimo di servizio e, corrispondentemente, l’età pensionabile a 65 anni.
E come nelle più sperimentate sequenze di casa nostra, il sonetto sulle pensioni è accompagnato dal ritmo dell’elevamento dell’età media dei russi: anche se, per la verità, il dato si riferisce alla sola Mosca, in cui la vita media, dal 2010 a oggi, pare cresciuta da 74 a 77 anni. Ne ha dato notizia il sindaco della capitale, Sergej Sobianin, attribuendo il merito del dato, senz’altro positivo, in gran parte alle strutture sanitarie cittadine e ai più larghi finanziamenti loro destinati da parte della municipalità.
Ma il Partito Comunista di Gennadij Zjuganov tiene a ricordare come le spese messe in bilancio per il 2013-2015 a favore della sanità siano ridotte dal 4,4% al 2,7%, insieme a quelle per l’istruzione che passano dal 4,8% al 4,1%. Ed è sempre il PC a insistere sulle dichiarazioni governative, mai attuate, di puntare a una diversificazione dell’economia, per renderla meno dipendente dall’export di risorse naturali, considerando che circa il 70% delle entrate di bilancio viene da gas e petrolio. E sono ancora loro, i comunisti, che tornano alla carica sui 90 miliardi di $ che la Russia, invece di investire nella propria economia, continua a tenere fermi nelle casse degli Stati Uniti; il PC mette l’accento, in particolare, sui pericoli della perdita di una somma non certo misera investita in titoli del Tesoro statunitense, pericoli che potrebbero aggravarsi per un inasprimento dei rapporti tra Mosca e Washington.
A parere del portavoce del gruppo “Kalita-Finance”, Aleksej Vjazovskij, in caso di inasprimento delle sanzioni occidentali, “si potrebbe ripetere lo scenario iraniano, allorché gli Stati Uniti congelarono tutte le attività della Banca Centrale iraniana e, anche in Europa, gli investimenti rimasero congelati per decenni. Per quanto ne so, lo stesso governo russo è consapevole di un simile rischio, del tutto reale”. Secondo i comunisti russi, il “blocco liberale” dei Ministri economici si attiene alla “consolidata ideologia” che non prevede lo sviluppo industriale del paese. Per investire nell’industria nazionale, continua Vjazovskij, “si dovrebbero emettere più rubli e condurre una politica creditizia autonoma. Il Ministero delle Finanze dovrebbe creare punti di crescita del capitale sovrano. Ad esempio, obbligazioni sulle infrastrutture, in cui si potrebbe investire. Ma non si fa nulla di tutto ciò”.
E così i comunisti chiamano a sfiduciare la politica interna del Governo, mentre non mancano di apprezzare quella estera del Presidente, quasi a echeggiare il virgiliano “tutti sanno qual è il bene del popolo, ma sottovoce lo dicono”.
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