Mancano ormai pochi giorni alle elezioni anticipate del primo di novembre e il presidente islamista Erdogan torna a strumentalizzare la strage di Ankara nel tentativo di convincere gli elettori indecisi a votare per il suo Akp.
Finora la strategia della tensione attuata dal regime – gli attentati di Suruc, Diyarbakir e Ankara per un totale di quasi 200 morti, tutti appartenenti alla sinistra e ai movimenti curdi – la vasta campagna militare scatenata contro la guerriglia del Pkk in patria e in Iraq e l’ondata di arresti contro l’Hdp e l’estrema sinistra turca sembrano aver pagato, ma solo in parte. Infatti gli ultimi sondaggi mostrano una leggera crescita del partito liberista e islamista (Giustizia e Sviluppo) dato al 42-44%, ma non sufficiente a garantirgli quella maggioranza assoluta dei seggi perduta lo scorso 7 giugno. Sul fronte opposto tutti i rilevamenti danno il Partito Democratico dei Popoli sopra la soglia di sbarramento del 10%, intorno al 12. Inoltre ben tre sondaggi mostrano un aumento dei socialdemocratici nazionalisti del Chp e un lieve calo dei nazionalisti di estrema destra dell’Mhp, possibili alleati degli islamisti.
Nel tentativo di sbloccare la situazione, dopo qualche giorno di relativo silenzio Erdogan è intervenuto di nuovo spiegando che i responsabili del doppio attentato di Ankara, che lo scorso 10 ottobre è costato la vita a più di 100 manifestanti, apparterrebbero a quello che il ‘sultano’ ha definito un “collettivo del terrore”. “Dicono che l’abbia fatto l’Isis, o come vogliamo chiamarlo. Ma è un atto di terrorismo del tutto collettivo. Qui ci sono l’Isis, il Pkk, il Mukhabarat (il servizio segreto siriano), il Pyd” (il movimento curdo siriano). Tutti loro hanno pianificato insieme quest’anno” ha detto il presidente turco nel corso di un convegno tentando di far credere all’opinione pubblica spaventata dall’instabilità politica ed economica, oltre che dalle bombe e dai continui scontri con la guerriglia curda, che nemici giurati come la guerriglia del Pkk e del Pyd, il governo siriano e lo Stato Islamico siano tutti allegramente in combutta contro Ankara.
Peccato che finora del massacro gli inquirenti abbiano formalmente incolpato solo due elementi contigui allo Stato Islamico, uno dei quali sarebbe il fratello di un altro kamikaze islamista che a luglio uccise 33 giovani curdi e turchi che da Suruc si apprestavano ad andare a Kobane per partecipare alla ricostruzione della città assediata e distrutta dai jihadisti da sempre tollerati e sostenuti dal governo e dai servizi segreti turchi. Peccato anche che nessuno degli atti ostili e degli attentati compiuti dallo Stato Islamico – o dall’intelligence di Ankara, come sospettano in molti – abbia preso di mira le sedi, i dirigenti o le manifestazioni del partito di governo, ma solo i nemici di Erdogan.
Da segnalare tra l’altro che un procuratore di Ankara è stato costretto ad aprire un’inchiesta sul ministro degli Interni Selami Altinok e su diversi dirigenti statali per ”negligenza”. Il responsabile degli Interni, insieme al governatore di Ankara Mehmet Kiliclar, al capo della polizia di Ankara Kadri Kartal, al capo del dipartimento di intelligence e ad altri funzionari pubblici sono accusati di non aver fatto quanto in loro potere per prevenire ed impedire il massacro di decine di manifestanti nella capitale del paese. L’inchiesta segue una denuncia dell’Associazione degli avvocati, ma in base alla legge il pubblico ministero non può condurre indagini dirette su dipendenti pubblici per motivi di sicurezza (!).
Intanto, proprio in previsione del voto del primo novembre, il regime ha indurito la censura nei confronti dei media d’opposizione nel tentativo di imbavagliare del tutto quelli ostili al ‘sultano’. Alcuni giorni fa l’operatore statale unico per la comunicazione satellitare del paese, Turksat, ha trasmesso ai suoi network l’avviso di interrompere entro un mese le trasmissioni di ben 7 canali televisivi considerati ostili all’Akp e al presidente Erdogan, pena l’interruzione dei loro contratti. Una mossa che segue il blocco imposto agli stessi canali ‘indesiderati’ da una delle principali piattaforme televisive satellitari turche, la Digiturk. Non si tratta certo di tv di sinistra o legate alla comunità curda, già oggetto in passato di una feroce campagna censoria senza che la cosa creasse particolare scandalo, ma di emittenti legate alla confraternita islamica ma ostile al presidente capitanata dall’imam Fethullah Gulen, ex padrino di Erdogan ma da alcuni anni protagonista di un brutale scontro di potere con l’Akp. A ricevere l’ordine di oscuramento sono i canali tv Bugun, Kanalturk, S.Haber, Samanyolu, Mehtap, Irmak e quello di intrattenimento per bambini Yumurcak. La rimozione era stata ordinata dall’ufficio del procuratore di Ankara in base al sospetto che sostenessero un’organizzazione terroristica, quale è considerata dal governo di Ankara la rete di Gulen che possiede nel paese numerosi media, scuole e università private, supermercati ed altre imprese di vario genere.
Già due settimane fa il direttore del quotidiano d’opposizione Zaman – anch’esso riconducibile alla confraternita Hizmet guidata dal predicatore Gulen – era stato raggiunto da un mandato d’arresto a causa di un tweet giudicato offensivo nei confronti del presidente. La stessa accusa che ieri ha portato all’arresto di un quindicenne a Bunyan. Lo studente è stato arrestato dalla polizia in un internet point e portato in commissariato, dove è stato accusato di “attentato all’immagine del presidente” sulla base dell’articolo 299 del codice penale turco che prevede fino a quattro anni di carcere.
Il regime è impegnato non solo a chiudere la bocca alla stampa ostile e a coloro che utilizzano i social network per criticare l’operato del presidente e del suo partito. Nei giorni scorsi Tahir Elci, il direttore dell’ordine degli avvocati del foro di Diyarbakir, la più popolosa città del paese a maggioranza curda, è stato arrestato con l’accusa di “apologia di terrorismo” per aver fatto propaganda a favore della guerriglia del Pkk. L’avvocato è stato condotto a Istanbul dove è stato a lungo interrogato dall’antiterrorismo e poi rimesso in libertà dopo che i giudici non hanno avallato la richiesta di detenzione. L’uomo è stato quindi scarcerato ma sotto controllo giudiziario, il che gli impedisce di lasciare la Turchia.
Intanto gli scontri tra la guerriglia curda e le forze militari di Ankara continuano. A Diyarbakir due soldati di Ankara sono rimasti uccisi in un attacco al mezzo blindato sul quale viaggiavano nel corso di una vasta operazione militare contro i militanti del movimento di liberazione curdo.
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