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Stati Uniti: ragazza nera aggredita da poliziotto bianco, video incastra l’aggressore

Un video shock sta facendo il giro del mondo in queste ore. Ben Fields, agente di polizia bianco, entra in una classe di una scuola di Columbia, la Spring Valley, in South Carolina. Chiamato da un insegnante, intima ad una ragazza afroamericana di lasciare la classe in quanto “disturba gli altri alunni”. Quando lei si rifiuta e rimane a sedere, lui le si avvicina e con incredibile violenza prima l’afferra per il collo, poi la tira per un braccio, infine la butta per terra e la trascina sul pavimento per ammanettarla. La ragazza è stata infine arrestata insieme ad un suo compagno di classe, che ha tentato di difenderla dall’incredibile ma non inusuale aggressione, mentre un altro alunno riprendeva l’assurda scena con il suo telefonino. Poco dopo, ci tengono a sottolineare i media statunitensi – sia mai che qualcuno pensasse che gli Stati Uniti sono uno stato di polizia e per giunta razzista” – i due sono stati rilasciati. Ma la violenza, insensata, esagerata, ai danni di una ragazzina rimane. E anche la denuncia per resistenza all’arresto.

Dopo la diffusione del video – provvidenziale, altrimenti non ci sarebbe stato nessun ‘caso’ e nessuna polemica avrebbe obbligato le autorità a fare qualcosa nei confronti dell’agente picchiatore, o almeno a far finta di prendere provvedimenti – lo sceriffo di Columbia ha annunciato di aver aperto una ‘inchiesta interna’ sull’accaduto e nel frattempo ha deciso di sospendere Fields, poliziotto che nel suo curriculum conta altre denunce per aggressioni realizzate nel corso di altri arresti e che naturalmente finora erano cadute nel vuoto. L’ultima, risalente al 26 ottobre, non può però essere lasciata cadere; il video non lo permette.
Nel 2013 Fields era stato ad esempio denunciato da Ashton James Reese, uno studente, perché «prendeva di mira in modo ingiusto e frequente gli studenti afro-americani, accusandoli di far parte dei bande e portare avanti attività criminali». Reese era stato espulso da Spring Valley perché Fields lo aveva accusato di aver preso parte a «una grossa lotta tra bande» criminali, cosa che il ragazzo ha sempre negato.
Il numero di aggressioni ingiustificate e violente da parte di esponenti delle forze dell’ordine contro cittadini inermi, in particolare afroamericani e appartenenti alle altre minoranze, è così alto che negli Stati Uniti hanno inventato una app – si chiama Mobile Justice – che consente di filmare i soprusi degli agenti e di allertare immediatamente una rete di utenti che hanno scaricato lo stesso programma sul loro cellulare. La speranza, per ora remota, è che la condivisione immediata delle notizie sul luogo e sull’identità degli aggressori fermi la violenza razzista degli uomini in divisa, visto che postare i video su youtube non basta.
A promuovere la diffusione della app in questione è stata la “Associazione per i diritti civili degli americani”, l’ACLU, fondata nel 1920 e che attualmente conta mezzo milione di associati. Il software dell’ACLU incorpora un vademecum per imparare a conoscere ed esercitare i propri diritti in caso d’arresto, ma soprattutto, quando qualcuno cerca di bloccare le riprese, se tocca il telefonino o cerca di spegnerlo, invia quanto registrato fino a quel momento agli avvocati dell’ACLU affinché se ne possano servire per inoltrare querela o presentarla come prova in un eventuale processo. 
“Il diritto dei cittadini di registrare gli interventi di polizia è un diritto costituzionale, un fatto di check and balances. L’app crea un registrazione indipendente di quello che accade, una registrazione scevra da accuse di manipolazione, falsa testimonianza o perdita di memoria” spiega un portavoce della Aclu, che poi aggiunge: “La polizia ordina costantemente di smettere di filmare in questi casi. E noi abbiamo affrontato così il problema”. Anche perché spesso coloro che hanno realizzato i filmati di denuncia che hanno incastrato alcuni agenti sono stati pesantemente minacciati dalla polizia e accusati di incitare alla violenza e all’odio razziale.


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