Il giovane gestore del sito di bufale razziste Senzacensura.eu sarebbe stato denunciato perché inventava notizie di sana pianta per pompare le visite. Si tratta di un ventenne di Caltanissetta, che ora si ritrova accusato di “istigazione alla discriminazione razziale” perché pubblicava notizie palesemente false di efferati crimini attribuiti a immigrati, di tremendi virus diffusi dagli stranieri, di presunti complotti legati al favoreggiamento dell’immigrazione e così via.
Dopo il provvedimento giudiziario qualcuno ha esultato, anche se in realtà una denuncia non si augura mai a nessuno, soprattutto a un ragazzino chiaramente scemo (non c’è nel dizionario termine migliore per definirlo) oltre che furbo, e che potrebbe ora anche considerare gli sviluppi giudiziari di questa vicenda come una medaglia al valore. Sono in troppi, già in queste ore, a gridare al complotto contro chi fa “vera informazione”. D’altronde il sito in questione era visitatissimo e le bufale palesemente iperboliche rimbalzavano sui social network ad un ritmo vertiginoso, permettendo al denunciato di intascare, grazie alla pubblicità collegata ai click, lauti guadagni. Il razzismo è anche un business, politicamente ed economicamente parlando.
E il punto della questione sta proprio in un popolo (quello che, per comodità, viene chiamato «popolo del web», ma è lo stesso che si incontra al bar o per strada, o ai comizi di Salvini e di altri leader politici) pronto a credere a qualsiasi cazzata purché sia di supporto alle proprie deliranti e allucinate tesi da Quarto Reich.
La colpa, certo, è dei giornali, un bel po’. Soprattutto della stampa mainstream, che ha perso molta credibilità e della quale, spesso e volentieri, è lecito dubitare. Ma la colpa è soprattutto di chi legge, ormai disabituato a farsi domande, a pensare, a esercitare una minima attività di pensiero critico rispetto a tutte le informazioni con cui viene quotidianamente bombardato.
Un esempio: la vicenda del migrante accusato dell’omicidio di Palagonia, in Sicilia. Ancora si sa pochissimo delle indagini, eppure la sentenza appare già emessa. E tanti saluti allo stato di diritto, al buonsenso e a ogni tipo di discussione razionale.
Ecco, la diffusione di notizie false porta all’inevitabile inquinamento delle notizie vere: realtà e finzione si mischiano in un minestrone che a tratti sa di romanzo distopico, tipo Orwell, tipo Bradbury, tipo tanti autori che non pensavano di star scrivendo dei manuali delle istruzioni.
Sarà che ragionare è faticoso, ed è molto più facile urlare una indignazione – che sarebbe, in teoria, un’arma fortissima – diventata ormai uno strumento così abusato da diventare innocuo. O controproducente: sarà che da queste parti si fa sempre il tifo per gli ultimi e per i derelitti, ma sempre più spesso verrebbe da difendere personaggi tipo Alfano, al quale viene addossata dalla Lega (e anche dal Pd, che in fondo vuole le stesse cose, ma in termini più soft) tutta la responsabilità dei disagi e dei problemi che un passaggio epocale, come quello dell’immigrazione in questi anni, porta con sé. Le cose sono due: o Alfano è una sorta di padre eterno che regola i flussi della storia, oppure qualcuno sta esagerando. Nelle contraddizioni che questo discorso apre come ferite, si infilano siti come Senzacensura.eu: la finzione è così simile alla realtà che il verosimile può diventare vero, e, dunque, il falso può diventare realtà. Farebbe bene, a questo punto, rileggersi il profetico Guy Debord: «Nel mondo realmente rovesciato, il vero è un momento del falso», oppure ci si può riguardare uno dei capolavori più sottovalutati di Orson Welles «F come falso».
Il discorso, naturalmente, è più complesso, parte da lontano, e ha responsabilità ben individuabili. Ricordate quando Stella e Rizzo diedero alle stampe «La Casta»? Quanto ha venduto quel libro? E lì, proprio lì, ci sono i semi di quello che sarebbe diventato il populismo italiano: una miscela esplosiva di dati senza spiegazioni, abuso della parola ‘scandalo’ e indignazione a buon mercato, tutto aggravato da politici incapaci di reagire, ma solo di rilanciare («E’ uno scandalo», dice l’elettore. «Sì, è uno scandalo incredibile», risponde il politico cialtrone chiedendogli il voto).
Si diceva bene nel film ‘Boris’: «La Casta è un pacco». Già perché non c’è storia, ma solo numeri, cifre, palloso materiale da commercialisti, spesso robe scartate da inchieste giudiziarie troppo pigre. Fatto sta che «La Casta» ha venduto come il pane. Dei tanti libri scritti, anche meglio, con l’elenco dettagliato e la spiegazione degli scandali reali di magistratura, chiesa e forze dell’ordine, si parla meno, molto meno. Qual è la differenza? Che i politici, almeno, si possono votare, mentre nessuno può scegliersi il proprio prete, il proprio pm o il proprio questore. La crisi della rappresentanza un po’ è colpa di una classe politica di derelitti e imbroglioni, e un po’ di un popolo disattento e autolesionista. Basta guardare uno degli ultimi sondaggi dell’istituto Piepoli sulla fiducia nelle istituzioni. Questi i risultati, in ordine crescente: parlamento italiano (18%), sindacati (25%), parlamento europeo (30%), magistratura (44%), chiesa cattolica (54%), forze dell’ordine (73%). In pratica il modello istituzionale che gli italiani bramano è una via di mezzo tra lo stato pontificio e il Cile di Pinochet.
Siamo sicuri, a questo punto, che in un mondo del genere Senzacensura.eu non sia esattamente l’informazione che meritiamo?
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