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Blair insiste: “in Libia più caos se non fossimo intervenuti”

“L’intervento militare occidentale per deporre il dittatore libico Muhammar Gheddafi nel 2011 potrebbe avere risparmiato al paese un caos ancora più devastante dell’attuale” e questo nonostante il bagno di sangue in corso che sta in queste ore registrando l’ennesimo tentativo dell’Isis di incrementare il suo controllo su ampie aree del paese nordafricano. 
E’ la indifendibile posizione manifestata dall’ex primo ministro britannico, il laburista Tony Blair. L’ex premier, comparendo dinanzi alla commissione Esteri del Parlamento di Londra, ha spiegato: “Non si può negare che attualmente la Libia sia in uno stato di evidente instabilità e di caos che hanno provocato enormi problemi in tutta la regione. Ci sono gruppi come i Boko Haram che si sono rafforzati grazie alle armi e ai guerriglieri provenienti dalla Libia. Tutto questo è vero, ma non credo che, alla fine, il regime di Gheddafi avrebbe potuto comunque sopravvivere”.
A quanti sostengono che leader autoritari come Gheddafi o Saddam Hussein, tutto sommato, abbiano a lungo contribuito a mantenere una certa stabilità nella regione – e che la loro rimozione abbia dato la stura all’affermazione di forze ancora più estremiste e oltretutto improntate all’estremismo religioso – Blair ha risposto che sono i popoli che alla fine decidono di ribellarsi, come dimostrato dalle cosiddette “primavere arabe”. Tacendo naturalmente sull’opera di sistematica destabilizzazione compiuta dai governi occidentali, da quello turco e da quelli delle petromonarchie, che per anni hanno finanziato, armato e sobillato piccole realtà islamiste radicali allo scopo di utilizzarle contro i regimi invisi, e causando così l’affermazione di organizzazioni jihadiste come al Nusra o lo Stato Islamico che ora le stesse potenze affermano di essere costrette a combattere con le armi.
“Oggi la Libia costituisce un reale problema di sicurezza internazionale. Un problema di sicurezza anche per noi, ritengo” ha detto Blair. “Ma non penso che si possa affermare che sarebbe stato meglio se non fossimo intervenuti. Perché allora bisogna mettere nel conto anche come tutto sarebbe andato se Gheddafi avesse potuto continuare a difendersi a tutti i costi. Guardando oggi alla Siria, dove non siamo intervenuti, ci accorgiamo che è persino peggio”, ha concluso l’ex premier britannico.
Un discorso senza capo né coda, indifendibile sotto tutti i punti di vista, che suona come un’autogiustificazione e dell’operato del suo governo e di quelli che hanno guidato le potenze occidentali negli ultimi anni. Un’autoassoluzione da parte degli apprendisti stregoni dell’imperialismo che lascia basiti.
Così come quando, alcune settimane fa, l’ex primo ministro britannico ‘chiese scusa’ per l’invasione dell’Iraq. Alla fine di ottobre, infatti, Tony Blair, in un’intervista rilasciata alla Cnn statunitense, affermò che vi sono degli “elementi di verità” (bonta sua!) nel dire che l’ascesa dell’Isis è stata anche una conseguenza della guerra scatenata in Iraq nel 2003 dagli Usa di George W. Bush con il sostegno chiave della Gran Bretagna. Il politico ha chiesto anche scusa per aver ‘abboccato’ alla storiella delle presunte armi di distruzione di massa in possesso di Saddam Hussein, dando però la colpa alle informazioni d’intelligence “sbagliate”. Il mea culpa di Blair però fu tutto fuorché sincero e completo. E le affermazioni delle ultime ore sulla Libia lo confermano. Infatti già allora l’ex leader laburista ammise l’esistenza di una correlazione tra l’invasione del territorio iracheno e il successivo avvento del cosiddetto Stato Islamico del califfo al-Baghdadi, ma aggiunse poi che “è difficile chiedere scusa” per aver eliminato Saddam Hussein. Inoltre, si difese Blair, non si può sapere quale impatto sull’Iraq avrebbe avuto “la Primavera Araba cominciata nel 2011″ se la guerra del 2003 non ci fosse stata, e ancora che “l’Isis di fatto ha acquistato importanza da una base più siriana che irachena”.

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