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12 dicembre 1993: la Russia adotta la Costituzione eltsiniana

Si è ricordata ieri in Russia la Giornata della Costituzione: quella voluta da Boris Eltsin e adottata il 12 dicembre 1993 in seguito a un referendum nel corso del quale circa 32 milioni di russi (su 107 milioni: poco più del 54% di aventi diritto al voto si recò alle urne e di questi il 58% votò a favore) dissero sì al progetto presidenziale. Dal 1994 al 2004 il 12 dicembre è stato giorno festivo; con l’adozione del nuovo Codice del lavoro, il 1 gennaio 2005, la data è semplicemente ricordata. Dal 1993 a oggi sono stati adottati una quindicina di atti di modifica della Costituzione, riguardanti sostanzialmente l’elenco dei cosiddetti Soggetti federali (l’ultimo, ad esempio, dopo l’inclusione di Crimea e Sebastopoli nella Federazione Russa) e l’innalzamento da 4 a 6 anni della carica presidenziale e da 4 a 5 anni della Duma.

Come si arrivò alla Costituzione tuttora in vigore? La commissione interpartitica insediata nel 1990 per elaborare la nuova legge fondamentale russa, che sostituisse l’ultima Costituzione dell’Unione Sovietica – quella cosiddetta “brežneviana”, del 1977, che già nel suo primo articolo dava un colpo di spugna allo “Stato socialista degli operai e dei contadini” della Costituzione del 1936, ridenominandolo “Stato socialista di tutto il popolo” – per tre anni non riuscì ad accordarsi su un testo accettabile da tutte le componenti della nuova Russia. Così che, a partire dalla metà del 1993, cominciò a riproporsi l’assioma marxista secondo cui “tra due poteri uguali, decide la forza”. In giugno Boris Eltsin accusò il Soviet supremo di “voler prolungare artificialmente i propri poteri, ritardando la morte della vecchia Costituzione brežneviana”; in agosto Boris Nikolaevič cominciò a parlare di “martellamento delle artiglierie” in vista dell’attacco finale al Congresso dei deputati del popolo, riottoso ad accordarsi su un testo costituzionale che avrebbe sancito la sua scomparsa. Finché si arrivò alle fatidiche giornate di inizio ottobre, con il bombardamento del Soviet supremo a opera di reparti di carristi russi “pagati a cottimo” e con la presenza, ormai non più smentita, di brigate Nato e reparti speciali israeliani che sparavano contro la facciata posteriore dell’edificio.

La Costituzione del 12 dicembre non è che la “istituzionalizzazione” dei cosiddetti “malvagi anni ’90” cui, secondo l’ufficiale VTsIOM, il 53% dei russi associa criminalità, decadenza, povertà, corruzione, impunità. Pochissime persone ricordano quel periodo con riferimento ai concetti “cardine del liberalismo” quali democrazia, libertà, possibilità illimitate e moltissimi hanno difficoltà ad associarvi qualcosa di positivo. Percentuali tra l’1 e il 2% degli intervistati parlano di cambio di regime, nuovo sviluppo del paese e dell’imprenditoria privata, valori democratici e libertà. Al contrario, percentuali vicine al 30% legano gli anni ’90 al crollo dell’Urss, criminalità dilagante, tracollo economico, chiusura di fabbriche, default del 1992 e 1998.

Come scriveva ieri RT, la “nuova legge fondamentale del paese consegnò al passato molte costanti della struttura dello Stato sovietico, in particolare il dettato sul sistema economico unitario basato sulla proprietà statale”. Quello che non si dice oggi e che era chiaramente affermato 22 anni fa, è che i rapporti tra Presidente e Parlamento, che avevano portato al golpe eltsiniano del 1993, da allora sono strutturati in modo tale che, in particolare la Camera bassa, la Duma, è praticamente impotente di fronte al Presidente. Ad esempio, nella nomina del primo ministro, è sufficiente che la Duma (art. 111) rifiuti per tre volte la candidatura proposta dal Presidente, perché quest’ultimo la sciolga e indica nuove elezioni. Inoltre, tutta una serie di questioni importanti sono di competenza esclusiva della Camera alta (art. 102), il Consiglio della Federazione, formato da esponenti dei soggetti federali (Repubbliche, autonomie, ecc.), in rappresentanza degli organi rappresentativo ed esecutivo del potere statale: in pratica, emissari presidenziali. E, naturalmente, a fondamento materiale dei “Principi dell’ordinamento costituzionale”, gli artt. 8 e 9 garantiscono “la libera circolazione delle merci, dei servizi e delle risorse finanziarie, il sostegno della concorrenza, il libero svolgimento delle attività economiche”, riconoscendo “nello stesso modo la proprietà privata, la proprietà statale e municipale e le altre forme di proprietà”, anche sulla terra.

Nel parlare di questo 12 dicembre, Sovetskaja Rossija scrive di una “Costituzione incapace di operare”, contrapponendo tale dizione all’altra, apparsa di recente, di una “Costituzione disoccupata”. Mentre si dice che “il paese non è più in ginocchio”, scrive l’organo ufficioso dei comunisti, si svendono la terra e le ultime imprese statali, si chiudono gli Istituti superiori di istruzione e gli ospedali. Nel paese mancano drammaticamente risorse e si tagliano i programmi sociali, ma il Bilancio 2016 prevede investimenti nella Banca asiatica di infrastrutture e si continuano ad acquistare obbligazioni statali USA. Sul piano internazionale, Sovetskaja Rossija nota come il comma 4 dell’art. 15 (“Se da un trattato internazionale stipulato dalla Federazione Russa sono poste delle regole diverse da quelle previste dalla legge, allora si applicano le regole del trattato internazionale”) nasconda molto più di quanto non dica. Tanto più che “noi non sappiamo”, scrive il giornale, cosa sottoscrivano i nostri leader negli incontri segreti informali, quelli “senza cravatta”: accordi che si trasformano in “condanne definitive pronunciate all’estero” e a cui deve sottostare ogni nuovo partito che eventualmente sostituisca al potere quello che ha sottoscritto l’accordo. Dunque, la Russia non è uno Stato sovrano, ma un meccanismo a metà occupato, creato dagli USA e diretto dal FMI.

Secondo notizie documentate, riportate sempre su Sovetskaja Rossija a inizio 2013, “nell’estate 1990, su richiesta del G7, quattro organismi – Fondo Monetario Internazionale, Banca Mondiale e Banca Europea per la Ricostruzione e lo Sviluppo, Organizzazione per la Collaborazione e lo Sviluppo Economici – misero a punto i dettagli per il passaggio dell’economia sovietica ai rapporti di mercato e i criteri per “l’aiuto economico” dell’Occidente, che prevedevano lo smembramento dell’Urss e la creazione della CSI”. I consiglieri statunitensi scelsero i futuri oligarchi e divisero tra loro la proprietà sovietica e post-sovietica, a condizione che tutte le imprese privatizzate passassero automaticamente sotto giurisdizione straniera: Francia, USA, Germania, Cipro, ecc.”. E’ così che venne messo a punto anche il comma 4 dell’art.15 della Costituzione e il “nostro “Stato” non è nulla più che una costruzione del capitale straniero approntata appositamente per realizzare i propri interessi sul nostro territorio”. L’accademico Jurij Kovalčuk ricorda come già nel 1987, in piena epoca gorbačëviana, su “raccomandazione” del FMI, il CC del PCUS e il Consiglio dei Ministri dell’Urss adottassero risoluzioni “storiche” per la liberalizzazione dell’economia. Insomma, osserva Sovetskaja Rossija, “l’integrazione nell’economia mondiale si è risolta per la Russia nello status di appendice fornitrice di materie prime e mercato di smercio di beni di qualità scadente da tutto il mondo”.

Ancora Jurij Kovalčuk, nel dicembre 2012 ricordava, a vent’anni di distanza, la previsione fatta dalla Banca Mondiale nel 1992, allorché la Russia entrava nel FMI, secondo cui “in questo secolo i russi in quanto nazione titolare scompariranno dal territorio della Russia” e si chiedeva: “Come spariranno? Come i negri dall’Africa, gli USA porteranno i “Negri bianchi” dalla Russia per farli lavorare nella Silicon valley?”. Kovalčuk non faceva che riprendere alcune rivelazioni fatte nell’agosto precedente sul quotidiano “Novyj Peterburg” da un deputato non certo di second’ordine, membro del Consiglio direttivo di Russia Unita, il partito sorto appositamente per sostenere Vladimir Putin, Evghenij Fëdorov. La cosiddetta “privatizzazione alla Čubajs” rivelava Fëdorov alla maniera dell’uovo di Colombo, “non è che un mito. L’intero sesto piano dell’edificio di “Rosimuščestvo”, in cui lavorava Čubajs, era occupato dai consiglieri USA”. Non solo metaforicamente.

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