Ali Al Aswad, ex deputato di opposizione nel regno del Bahrein, attualmente rifugiato a Londra per ragioni di sicurezza, ha partecipato a Roma il 12 dicembre al convegno La causa, organizzato dall’associazione Amici del Libano in Italia e da varie sigle del movimento. A margine, abbiamo rivolto ad Ali Al Aswad alcune domande.
Repressa manu militari, con i carri armati dell’Arabia Saudita, la rivolta pacifica di piazza della Perla a Manama ha goduto nei media mainstream di una risonanza ben inferiore a quella riservata alle rivoluzioni in Egitto e Tunisia, e alla falsa primavera in Libia. Eppure, è stata davvero di massa….
Sì, davvero! E non solo a Manama ma in ogni angolo del paese. Chi era presente – anche alcuni italiani, ndr – lo sa bene. Fino all’ultimo dei villaggi, persone di ogni età e di ogni ceto si riversarono in strada, per giorni e giorni, prima dell’arrivo dei carri armati del Consiglio di cooperazione del Golfo, per l’operazione “Scudo nel deserto” capitanata dai sauditi. La manifestazione più imponente vide in strada 350mila persone: come se in Italia manifestassero in oltre trenta milioni…visto che i bahreiniti sono meno di 600mila.
Quelle del 2011 erano rivendicazioni della grande maggioranza sciita, contro una monarchia sunnita?
No, non solo. C’erano anche sunniti in piazza. E’ un gioco facile quello di contrapporre i due gruppi religiosi musulmani. Magari per evocare l’interferenza iraniana. Ma il popolo contestava una famiglia reale al potere da sempre, un primo ministro – lo sheikh Khalifa bin Salman al Khalifa, ndr – che è stato nominato nel 1971, un sistema che nega tanti diritti. Non solo il diritto alla rappresentanza, alla partecipazione, al dissenso (mi considerano un nemico della patria se oso criticare gli al Khalifa in qualche intervista) ma anche i diritti socio-economici. Ci sono tanti poveri nel mio paese, certo soprattutto sciiti, esclusi ad esempio da occupazioni governative. E’ vero che in Bahrein si trovano centinaia di migliaia di asiatici, ma è per salari da fame. E non vuol dire, come avviene in altri paesi del Golfo, che i cittadini del Bahrein non vogliano lavorare.
Dopo la repressione nella primavera 2011, cos’è successo?
Dopo il periodo di legge marziale, fra il 16 marzo e il 13 maggio, con una operazione di “pulizia” che arrivò a demolire moschee sciite, tutto è continuato come prima. Nel regno del Bahrein si continua a opprimere il popolo, violando la libertà di espressione, di religione, di stampa, discriminando sul lavoro in vari settori. I prigionieri politici sono tremila. Molti attivisti sono all’estero. Tanto che c’è chi vorrebbe una resistenza meno pacifica, in diversi là ci dicono: “Ma non vedete che con le buone maniere non si ottiene nulla?” L’Onu è venuta a indagare sulle violazioni, il suo inviato Cherif Bassiouni ha stilato un lungo rapporto, con raccomandazioni mai applicate; perfino il presidente Obama una volta ha detto “dovete avviare il dialogo”, ma poi tutto viene ridotto a una contrapposizione fra sciiti e sunniti…a danno dei primi. Alle ultime elezioni, solo il 30% degli aventi diritto è andato a votare, per boicottare un sistema elettorale che sovra-rappresenta i lealisti.
Perché il silenzio internazionale sul Bahrein, e qual è la posizione dell’Italia?
Intanto là c’è la V flotta degli Stati uniti, e dietro di loro Arabia saudita e paesi del Golfo che non vogliono certo la democrazia. Un diplomatico italiano ha confessato, privatamente, a un attivista dell’opposizione: «Sappiamo benissimo della repressione e della mancanza di diritti in Bahrein, ma l’Europa non vuole disappoint, urtare, i sauditi». Questo la dice lunga. Ci sono tuttavia cose inspiegabili. Per esempio, mi chiedo perché Italia e Spagna non abbiano sostenuto, pochi mesi fa, il pronunciamento di 33 Stati fra i quali perfino Gran Bretagna e Stati uniti, che alla trentesima sessione del Consiglio per i diritti umani dell’Onu a Ginevra, per impulso della Svizzera, hanno denunciato “l’ampiezza delle violazioni dei diritti umani in Bahrein, il ripetuto ricorso alla tortura, l’uso eccessivo e indiscriminato della forza, le restrizioni alla libertà di opinione, espressione e riunione”. Hanno aderito a questa mozione perfino gli inglesi, che pure appoggiano in genere completamente gli al Khalifa, fornendo anche formazione in campo militare. In generale, peraltro, mi pare che per quanto riguarda il mio paese la diplomazia di Roma agisca sempre al traino di quella di Londra. Dove sta la vostra indipendenza? Spero di poter sollevare il caso alla fine di gennaio, quando tornerò in Italia per incontrare politici e media…
Cosa pensano i bahreiniti dei bombardamenti in Yemen?
E’ una grande tragedia…ovviamente c’è una solidarietà, ma in Bahrein anche scrivere un twitter che dice “Siamo solidali con il popolo dello Yemen” ti porta diritto nei guai. Gli al Khalifa fanno quel che i Saud vogliono. Del resto, siamo anche economicamente dipendenti: i sauditi coprono buona parte del nostro fabbisogno petrolifero.
L’opposizione in Bahrein continua la sua lotta, pacifica: cosa chiedete?
Siamo impegnati nella proposta di un vero dialogo, chiediamo la liberazione dei numerosi prigionieri politici, l’applicazione di accordi conclusi a Ginevra e mai rispettati, una costituzione scritta, e la fine del regime degli al Khalifa. Il Medioriente deve diventare un ambito democratico e sano dove tutti i popoli si autodeterminano e partecipano, lontano dal pensiero fondamentalista e dal relativo terrorismo.
* http://www.sibialiria.org/wordpress/?p=3096
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