La tensione tra Mosca e Ankara resta alta, e lo scontro tra i due paesi innescato dall’abbattimento del caccia russo sui cieli della Siria da parte delle forze armate turche non accenna a rientrare. Ogni giorno l’escalation economica, diplomatica e militare tra i due paesi segna un nuovo passo.
Tanto che la Russia sembra decisa, dopo aver allacciato i primi rapporti diretti con la sinistra curda dopo l’inizio del proprio intervento militare diretto in Siria, a stringere relazioni ulteriori tanto con le Ypg in Siria che con l’Hdp in Turchia. E questo proprio mentre l’esercito turco sta compiendo una strage nei territori curdi del sud-est dell’Anatolia, dove in pochi giorni si contano almeno 130 vittime. Non solo guerriglieri del Pkk ma in molti casi manifestanti, civili, addirittura passanti e bambini, falciati dalle pallottole dei cecchini o dai bombardamenti dei quartieri ribelli con elicotteri e artiglieria.
E’ in questo contesto che il leader del Partito Democratico dei Popoli, Selahattin Demirtas, ha annunciato ad una tv di Diyarbakir che mercoledì volerà a Mosca per incontrare il ministro degli esteri Sergej Lavrov. Una vera e propria provocazione per il regime di Ankara, anche perché Demirtas è stato invitato dal governo russo allo scopo di “appianare i contrasti tra Turchia e Federazione Russa”, visto che il governo islamista di Erdogan continua ad essere ostile a Mosca.
“L’escalation di tensioni con la Russia imporrà un costo molto pesante alla Turchia”, ha detto il dirigente dell’Hdp Nazmi Gur, aggiungendo che la Turchia “si sta impantanando da sola in un problema proprio con uno dei suoi principali vicini”, e che tale situazione non farà che peggiorare altre questioni, come l’evoluzione della crisi siriana, concludendo che “non sono le crisi ciò di cui i cittadini hanno bisogno”, quindi l’iniziativa di Demirtas “contribuirà ad ammorbidire le relazioni” tra i due paesi. Al centro dei colloqui tra Demirtas e Lavrov – e anche questo suona come un’aperta delegittimazione nei confronti dell’Akp al potere – ci saranno anche le sanzioni economiche che Mosca ha imposto alla Turchia in tema di energia, esportazioni e turismo dopo l’abbattimento del Sukhoi nei cieli siriani.
Proprio quando Demirtas rendeva noto che domani andrà a Mosca, il Ministero delle Costruzioni russo annunciava la riduzione forzata delle attività delle compagnie turche del settore a partire da gennaio. In alcuni settori esse verranno sostituite da imprese russe. Una mossa che non solo colpisce l’economia turca, ma che mira a mettere gli imprenditori di Ankara contro il proprio governo.
Demirtas ha annunciato che entro il 2016 una sede del partito – dai turchi considerato una estensione della guerriglia del Pkk – verrà aperta a Mosca, così come in altri grandi città europee, tra cui Londra e Parigi: «Decine, centinaia, migliaia di turchi fanno affari in Russia, studiano o lavorano lì. Vogliamo usare il nostro potere per aiutarli a risolvere questi problemi», ha spiegato Demirtas. E questo mentre nelle ultime settimane la Russia ha deciso di far saltare i numerosi incontri previsti tra dirigenti e funzionari dei due paesi, compreso un meeting tra Putin ed Erdogan.
Non stupisce che il premier islamista turco Ahmet Davutoglu si sia esplicitamente scagliato contro la visita di domani del leader curdo nella capitale russa. “Possono andare dove vogliono ma ci si chiede perché la gente dell’Hdp si rechi ora in Russia, Paese con il quale c’è una crisi in corso, e non l’hanno fatto due mesi fa”, ha dichiarato il capo del governo durante il discorso settimanale ai deputati del partito governativo Akp in parlamento. “Hanno preso l’abitudine di cooperare con tutti quelli che hanno un conflitto con la Turchia”, ha aggiunto Davutoglu.
L’apertura di una interlocuzione politica tra il governo russo e l’Hdp curdo procede in contemporanea con la recente decisione di rafforzare il sostegno militare alle milizie curde siriane, gemellate con il Partito dei Lavoratori del Kurdistan nei confronti del quale le forze armate turche hanno dalla scorsa estate lanciato una vasta offensiva sia in territorio turco che iracheno (e non sono mancati bombardamenti di artiglieria contro le Ypg in Rojava). Nei giorni scorsi un portavoce ufficiale delle Unità di Protezione del Popolo, parlando da Qamishli (Siria del Nord) ha minacciato la Turchia di colpire qualsiasi aereo o elicottero che si azzardi a violare lo spazio aereo nella regione abitata e controllata dai curdi. Nel frattempo l’aviazione militare russa ha coperto con bombardamenti aerei alcune offensive contro le milizie islamiste da parte delle Ypg e delle Forze Democratiche Siriane, coalizione creata dai curdi insieme ad alcune milizie locali formate da altre etnie. E ciò nonostante il fatto che le Ypg stiano ricevendo ampio sostegno militare e logistico, oltre che copertura aerea, anche da parte delle forze armate statunitensi.
Oltre a contendere a Washington la relazione con le milizie curde, forza laica finora più ostile alle organizzazioni jihadiste che al regime di Assad nei confronti del quale esiste da anni una sorta di patto di non aggressione, Mosca mira a bloccare il progetto turco di invadere il nord della Siria per imporvi un protettorato. Obiettivo che ovviamente vede i curdi concordi, preoccupati che l’ingresso di truppe turche nel proprio territorio favorisca i jihadisti dello Stato Islamico e di al Nusra e interrompa la continuità territoriale tra i diversi cantoni del Rojava.
Ed infatti già a settembre l’inviato del presidente russo Vladimir Putin in Medio Oriente, Mikhail Bogdanov, aveva incontrato a Parigi Saleh Muslim, il leader del Partito di Unità Democratica (PYD), la maggiore forza curda in Siria. Poi il 2 ottobre è stato ancora Bogdanov a ricevere a Mosca Asia Osman, una dei principali comandanti militari delle forze curde a Kobane. E poi il 23 ottobre è stato Putin in persona a sollecitare il PYD a “unire le forze” con le truppe del presidente siriano Assad contro le milizie islamiste.
Al progressivo avvicinamento tra i curdi e Russia la Nato – che pure sostiene le Ypg contro i jihadisti in Siria – ha risposto nei giorni scorsi annunciando l’invio di caccia e navi da guerra per rafforzare le difese della Turchia contro eventuali minacce esterne, ovviamente con esplicito riferimento al contenzioso con la Russia. Il segretario generale dell’Alleanza Atlantica, il norvegese Jens Stoltenberg, ha spiegato che la Nato valuterà quali mezzi inviare, sottolineando che si tratta di un provvedimento di carattere difensivo, «misure a protezione della Turchia in considerazione della situazione volatile nella regione». Si parla per ora di ricognitori Awacs che Stoltenberg ha descritto come “mezzi di polizia aerea”, e di navi da guerra fornite dalla Germania e dalla Danimarca.
L’intenzione della Nato è blindare il confine tra Turchia e Siria. Una mossa che sicuramente rafforza Ankara dopo che la Russia ha risposto alle provocazioni militari turche in Siria schierando a nord di Damasco alcune batterie missilistiche di difesa antiaerea. Ma certo la presenza di mezzi della Nato nella zona calda di confine potrebbe anche costituire un freno alle intemperanze di Ankara che rischiano di far deflagrare un conflitto aperto con Mosca proprio mentre sia l’Ue che gli Stati Uniti trattano con Putin sul contrasto all’Isis.
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