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Kiev-Ankara: eroi comuni in camicia bruna

C’è un comune denominatore ideologico che si eleva sulla base di interessi convergenti e che, soprattutto negli ultimissimi tempi, è venuto ad avvicinare i golpisti al governo a Kiev agli uomini forti di Ankara. Le mire sono quelle degli interessi di potenza (ma, ovviamente, non solo della “propria potenza nazionale”, bensì al servizio di disegni strategici più vasti) nell’area del mar Nero e, più in generale, dell’Europa sudorientale, da cui Mosca deve essere tenuta il più lontano possibile e, perciò stesso, accerchiata e minacciata con basi e dislocamenti d’arma sempre più prossimi ai suoi confini.
La comune dottrina è quella delle croci uncinate sempre più spavaldamente sventolate, nell’indifferenza più assoluta delle “democrazie” occidentali. I mezzi, di cui con sempre maggiore frequenza si dà notizia, sono i gruppi di terroristi e di sabotatori che ricevono o forniscono aiuto reciproco ora in territorio ucraino, ora in quello turco.
Dunque, il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan è tornato ancora una volta sul tema a lui caro della forma di governo della Germania hitleriana, come quella secondo lui più confacente alla Turchia attuale. Come se già ora la Turchia, a parere di molti osservatori, non somigliasse a una dittatura nazista, ecco che, secondo Erdogan, occorrerebbe l’attribuzione di pieni poteri esecutivi al capo dello stato e la trasformazione del paese in una repubblica presidenziale. Per far questo, per prendere cioè a esempio di efficiente sistema presidenziale quello della Germania degli anni ’30, il primo passo è, secondo Erdogan, por mano a una modifica della Costituzione. Al Ministero degli esteri russo, nel commentare le dichiarazioni di Erdogan, si sono limitati a dichiarare che esse rendono più chiari molti aspetti della politica attuale di Ankara.
A pochissima distanza di tempo, ieri sera a Kiev qualche migliaio di attivisti dei battaglioni neonazisti ucraini inscenavano una fiaccolata, per celebrare la data di nascita, il 1 gennaio 1909, dell’ideologo dei filonazisti ucraini, Stepan Bandera, capo di quell’UPA-OUN che collaborò con le SS tedesche nel perpetrare le stragi di soldati sovietici, civili ucraini, polacchi, ebrei e rom durante l’occupazione nazista delle regioni occidentali dell’Urss. Nel 2010 l’ex presidente ucraino Viktor Juščenko averva attribuito a Bandera il titolo – poi abolito da Viktor Janukovič – di eroe dell’Ucraina. Lo scorso anno, il presidente Petro Porošenko dichiarò il 1 gennaio festa nazionale, in onore della nascita di Bandera e sembra che ora le autorità di Kiev intendano ridenominare con il nome di Bandera la famosa fabbrica di aerei “Antonov”.
Così, mentre vengono alla luce gli “scambi di favore” tra terroristi Isis, loro protettori turchi e autorità ucraine; mentre si utilizza il territorio ucraino quale retrovia per i terroristi islamisti; mentre i neonazisti ucraini non fanno mistero dei loro legami con le bande terroristiche caucasiche, attive fonti di reclutamento per le formazioni islamiste mediorientali; mentre il mejlis dei tatari di Crimea fedeli a Kiev parla apertamente del sostegno turco (evidentemente a livello di forze armate regolari) per la formazione di battaglioni destinati alla “riconquista della Crimea”, ecco che il comando delle milizie della DNR denuncia il concentramento nell’area di Mariupol di sabotatori di lingua araba e turca.
Ma tutto questo non scuote minimamente la fede euroatlantica nella missione “democratica” dei moderni presidenti in camicia bruna, chiamati a svolgere ben altri compiti nell’arena internazionale. Comune la loro ideologia di riferimento, comune la missione affidata loro dalla Nato a est e sud dei confini russi, comuni i mezzi di terrorismo di stato contro la propria popolazione all’interno e contro la sicurezza esterna degli altri popoli. Il resto sembra non contare, anche se, per dirla col Mefistofele goethiano, “si finisce sempre col dipendere dalle creature fatte da noi”. 

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