Continuano le polemiche tra Teheran e Riad dopo che ieri il governo dell’Iran ha accusato l’aviazione militare saudita di aver bombardato la sua ambasciata nello Yemen, paese sottoposto a una massiccia campagna militare da parte delle petromonarchie e parzialmente occupata dalle truppe della ‘Nato sunnita’. Secondo il portavoce del Ministero degli Esteri di Teheran i caccia sauditi avrebbero colpito la rappresentanza diplomatica, causando anche alcuni feriti tra gli addetti, in maniera deliberata. «Questa azione deliberata dell’Arabia saudita rappresenta una violazione di tutte le convenzioni internazionali per proteggere le missioni diplomatiche e il governo saudita è responsabile dei danni causati e della situazione dei membri del personale rimasto ferito», ha denunciato Ansari.
Ma mentre alcuni corrispondenti a Sana’a affermano che non ci sono segni visibili del bombardamento sull’edificio della rappresentanza diplomatica iraniana nella capitale yemenita, il regime saudita ha smentito risolutamente le accuse di Teheran: «Nessuna operazione è stata compiuta intorno all’ambasciata o nelle sue vicinanze», recitava un comunicato emesso ieri dal governo saudita citato dal network al Arabiya. Ma poi le stesse autorità saudite hanno ammesse che alcuni raid sono stati effettivamente condotti nella capitale yemenita, ma colpendo dei lanciamissili dei ribelli sciiti. Poco dopo anche il governo iraniano ha aggiustato il tiro, spiegando che i colpi sparati dai caccia sauditi non avrebbero centrato l’edificio che ospita l’ambasciata ma lo avrebbero comunque sfiorato ferendo alcune guardie di sicurezza che erano all’esterno. Il vice ministro di Teheran ha comunque annunciato che presto un rapporto dettagliato su quanto accaduto sarà consegnato alle Nazioni Unite.
Quale che sia stata la dinamica del fatto, è indubbio che negli ultimi giorni i bombardieri sauditi e delle altre petromonarchie hanno nettamente intensificato i distruttivi raid contro le postazioni dei ribelli Houthi e contro le città del paese – in particolare Taiz e Sana’a – aumentando ulteriormente il già tragico conteggio delle vittime.
Nel frattempo il governo iraniano ha annunciato la messa al bando di tutti i prodotti sauditi o provenienti dall’Arabia Saudita, in segno di ritorsione per le continue provocazioni da parte di Riad all’interno di una escalation formalmente avviata dall’esecuzione dell’imam saudita al Nimr e di altri cinque esponenti della minoranza sciita ma che in realtà affonda le radici nell’opposto schieramento delle due potenze regionali rispetto alla questione siriana e non solo.
Intanto la frattura si estende e ora anche la Somalia ha deciso di interrompere le relazioni diplomatiche con l’Iran dopo che Kuwait, Emirati Arabi Uniti, Qatar, Bahrein, Gibuti e Sudan hanno deciso mosse analoghe o comunque il ritiro degli ambasciatori e il raffreddamento delle relazioni con Teheran.
Intanto dopo il governo iracheno – preoccupato che lo scontro frontale tra sciiti e sunniti possa indebolire la lotta contro Daesh o addirittura scatenare la guerra civile tra le due comunità all’interno di uno stato assai indebolito a causa dell’invasione e dell’occupazione occidentale del decennio scorso – anche quello cinese si è proposto come mediatore tra le due potenze regionali. Pechino ha inviato nei giorni scorsi un proprio rappresentante, il viceministro degli esteri Zhang Ming, in Arabia saudita allo scopo di provare a placare le tensioni con il paese guida del fronte sciita. Nei prossimi giorni Ming volerà anche a Teheran ha confermato la portavoce della diplomazia cinese, Hua Chunying. “Speriamo che la situazione in Medio oriente possa muoversi in direzione di un miglioramento”, ha detto Hua ai giornalisti. “Auspichiamo che tutte le parti possano restare calme ed esercitare moderazione, risolvendo in maniera appropriata la questione attraverso il dialogo e la consultazione”.
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