Menu

Donbass: dall’occupazione nazista ai bombardamenti banderisti

Settantatre anni fa l’Esercito Rosso liberava Vorošilovgrad dall’occupazione nazista. L’agenzia Novorossija, ricordando come le truppe sovietiche entrassero il 14 febbraio 1943 in quella che oggi conosciamo come Lugansk, riportava ieri quanto scritto nelle sue memorie dall’ex feldmaresciallo del Reich Erich von Manstein: “Alla riunione del quartier generale del Gruppo d’armate sud, a Zaporože, Hitler aveva dichiarato che è assolutamente inammissibile lasciare al nemico il Donbass, anche temporaneamente. Se perdessimo questa regione, sarebbe impossibile assicurare le materie prime per la nostra industria di guerra”. Ma, dopo la disfatta di Stalingrado, per i tedeschi era diventato ormai impossibile mantenere le posizioni nel Donbass, nonostante le linee difensive allestite attorno e all’interno di Vorošilovgrad. L’offensiva sovietica cominciò il 5 febbraio, con il fuoco di 70 cannoni dislocati su un fronte di appena 1 chilometro; ma solo il 14 febbraio l’Esercito Rosso riuscì a sfondare l’ultima linea difensiva dei reparti SS dentro la città. A prezzo di diecimila perdite, le truppe sovietiche issarono quel giorno la bandiera rossa sul basamento di quello che era stato il monumento a Lenin, distrutto dai nazisti.

Settanta anni dopo, quante città del Donbass occupate dalle truppe di Kiev e dai battaglioni neonazisti! Quante città dell’Ucraina occidentale hanno visto di nuovo monumenti a Lenin e al soldato sovietico liberatore, distrutti dagli eredi attuali di Stepan Bandera e di quelle SS ucraine inquadrate nelle divisioni naziste, che contribuirono agli eccidi e alle distruzioni perpetrati nei due anni di occupazione nazista e fascista! Una occupazione cui presero parte non solo le truppe del Terzo Reich, non solo battaglioni rumeni, ma anche i reparti italiani dell’Armir. E non la sola Vorošilovgrad subì l’occupazione tedesca. Anche l’altro capoluogo divenuto oggi simbolo della resistenza ai golpisti ucraini, Donetsk (allora Stalino, nome dovuto alla massiccia presenza di industrie metallurgiche: stal’, in russo significa acciaio. La città era sorta meno di due secoli prima col nome di Aleksandrovka e ridenominata Juzovka a fine ‘800, in onore all’ingegnere gallese John Hughes che vi impiantò numerose acciaierie) subì distruzioni e occupazione a opera degli alleati fascisti della Wehrmacht, perdendo due terzi degli abitanti.

Insieme alle altre cittadine entrate da quasi due anni nella cronaca di guerra dei bombardamenti ucraini – Debaltsevo, liberata il 3 settembre 1943, Kramatorsk (6 settembre), Slavjansk (liberata una prima volta il 17 febbraio 1943, fu nuovamente occupata dai nazisti e liberata definitivamente il 6 settembre) – anche Stalino-Donetsk fu liberata solo il 5 settembre 1943.

E settantatre anni dopo, la scena si ripete, tragicamente capovolta. La notte scorsa, riferisce l’agenzia Novorosinform, le artiglierie ucraine hanno continuato il martellamento iniziato nella tarda serata di sabato, allorché la periferia della città era rimasta oltre quattro ore sotto il fuoco dei mortai ucraini da 82 e 120 mm; mentre la sera precedente era stato il villaggio di Zajtsevo, nella parte settentrionale di Gorlovka (un’altra delle aree occupate settant’anni fa dall’Armir) ad esser preso di mira. Questo, dopo che dal 14 gennaio scorso, in seguito agli accordi del Gruppo di contatto, avrebbe dovuto entrare in vigore il “regime del silenzio” delle armi, mai rispettato da Kiev. Sarcasticamente, il corrispondente dell’agenzia, Ruslan Ljapin, si domanda oggi se ciò costituisca un esempio “di amore perverso per il Donbass alla maniera ucraina” o serva come diversivo per distogliere l’attenzione russa dall’attacco di Ankara alla Siria. Fatto sta che da ieri la periferia settentrionale di Donetsk (in particolare le aree dell’aeroporto e del cosiddetto “Centro Volvo”), il rione Oktjabrskoj e quello di Staromikhajlovka sono sottoposti al fuoco di mortai, lanciagranate automatici, razzi e carri armati. Pare che in quest’ultima posizione, prima di puntare sulle posizioni delle milizie, le artiglierie ucraine abbiano ingaggiato un fuoco incrociato con propri reparti dislocati nell’area di Krasnogorovka; comunque sia, come risultato sono rimaste incendiate varie abitazioni civili. Colpiti anche i rioni Petrovskij, Trudovskij, Marjnka e Aleksandrovka di Donetsk. Secondo un rappresentante delle milizie, un fuoco così intenso da parte ucraina non si registrava da oltre un anno.

Dall’inizio del 2016, secondo le dichiarazioni del vice comandante di corpo della DNR, Eduard Basurin, il territorio della Repubblica popolare di Donetsk è rimasto più di 600 volte sotto il fuoco delle artiglierie pesanti ucraine. Nel 2015, ha detto Basurin, la DNR è stata colpita 1.800 volte da armi pesanti e carri armati, 1.200 volte con armi varie e 7.500 volte da tiri di mortaio. Basurin ha affermato che Kiev ha interesse a continuare la guerra e perciò continuerà a sabotare gli accordi di Minsk.

Ma, secondo il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, è ovviamente la Russia che intraprende azioni offensive e ciò costringe l’Alleanza a un rafforzamento senza precedenti del proprio fianco orientale. “L’attacco a uno dei membri della Nato verrà visto come attacco a tutta l’alleanza”, ha detto Stoltenberg al termine della riunione dei Ministri degli esteri dei paesi Nato a Bruxelles, lo scorso 12 febbraio. Forse aveva in mente proprio questo l’osservatore militare ucraino, Oleg Ždanov che, parlando al canale tv “Ukr Life”, ha “rivelato” come la marina ucraina avrebbe dovuto bloccare, con l’appoggio Nato, la flotta russa del mar Nero nelle baie di Sebastopoli e opporre resistenza armata lungo le direttrici di Sebastopli, Opuk e Kerč, per impedire “l’annessione russa della Crimea”. “Naturalmente, i russi avrebbero dato battaglia; sarebbero arrivati osservatori, la Nato… la situazione si sarebbe evoluta in tutt’altro modo”, afferma Ždanov. “Se subito, al momento dell’attacco russo” ha detto, “avessimo decretato lo stato d’assedio, se le nostre navi avessero bloccato le baie, impedendo l’accesso alla flotta russa, ci sarebbe stata una escalation e la Russia sarebbe apparsa in pessima luce”, consentendo un rapido intervento delle truppe Nato.

Ecco perché il fronte del Donbass è destinato a rimanere a lungo ancora caldo.

- © Riproduzione possibile DIETRO ESPLICITO CONSENSO della REDAZIONE di CONTROPIANO

Ultima modifica: stampa

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *