Di fronte ai progressi della campagna militare contro i jihadisti in Siria condotta dai lealisti, dalla Russia e dalle forze dell’asse sciita che sostengono il governo di Damasco, le potenze regionali sunnite hanno deciso di muovere le proprie pedine, a rischio di far deflagrare l’intero Medio Oriente.
Nel fine settimane Turchia e Arabia Saudita hanno dato infatti il via ai preparativi per un massiccio intervento di terra delle proprie truppe in Siria, a partire dal dispiegamento di caccia sauditi in territorio turco: Ankara ha dato all’aeronautica militare di Riad il via libera ad utilizzare la base aerea di Incirlik, vicino al confine con la Siria.
Il ministro degli Esteri turco, Mevlyut Cavusoglu, ha spiegato che “la Turchia e l’Arabia Saudita potrebbero lanciare un’operazione terra. L’Arabia Saudita ha detto che se è necessario possono anche mandare truppe». In realtà nella località del sud della Turchia sono già arrivati alcuni caccia sauditi accompagnati da ‘personale militare’.
Adel al-Jubei, il ministro degli Esteri saudita, ha dichiarato che “l’intervento russo a fianco del regime di Damasco non aiuterà Bashar al-Assad a rimanere in sella”.
Ovviamente le due potenze sunnite hanno giustificato l’escalation con l’intenzione di dare il proprio contributo “alla lotta contro l’Isis” ma appare più che chiaro che l’intervento militare di Turchia e Arabia Sauditi mira a impedire la sconfitta delle organizzazioni jihadiste foraggiate e sostenute dai padrini di Riad ed Ankara ora alle prese con l’offensiva lealista che sembra ad un passo dalla liberazione di Aleppo.
A confermare le reali intenzioni delle maggiori potenze dell’asse sunnita, se ce ne fosse stato bisogno, è stato il segretario di stato statunitense John Kerry che in un’intervista ha spiegato: «Se il presidente siriano Assad non terrà fede agli impegni presi e l’Iran e la Russia non lo obbligheranno a fare quanto hanno promesso, la comunità internazionale non starà certamente ferma a guardare come degli scemi: è possibile che ci saranno truppe di terra aggiuntive».
Kerry ha confermato che Washington continuerà a lavorare perché entri in vigore la tregua prevista dall’accordo di Monaco il prossimo 19 febbraio, ma ha lasciato chiaramente intendere che anche gli Stati Uniti stanno pensando ad un possibile intervento di terra in Siria. Un grosso azzardo, dal punto di vista delle possibili conseguenze interne ed esterne, che però l’amministrazione Obama sembra disposta a sostenere non solo per bloccare la riconquista di vasti territori siriani da parte delle truppe governative e degli alleati iraniani e libanesi, ma anche per frenare le pretese geopolitiche e territoriali accampate da Riad ed Ankara, che mirano esplicitamente a occupare i territori a maggioranza sunnita della Siria per farne propri protettorati cristallizzando per via militare uno scenario pesantemente balcanizzato creato grazie ad anni di destabilizzazione ed ingerenze nel paese.
Intanto, in attesa di intervenire contro l’esercito siriano – il che potrebbe innescare uno scontro diretto con le forze russe e iraniane presenti nel paese – le forze armate turche hanno intensificato i bombardamenti contro le postazioni delle Unità di Protezione Popolare – le Ypg – nel nord della Siria, allo scopo di indebolire la tenaglia che sta stringendo Daesh, Al Nusra e le altre sigle della galassia fondamentalista da sud e da nord-est. E forse di lasciare campo libero ad una offensiva di terra che i generali turchi preparano da anni.
I sempre più consistenti attacchi da parte della Turchia contro i curdi mettono per l’ennesima volta in difficoltà gli Stati Uniti ed evidenziano il cul de sac in cui Washington si è cacciata. Washington è alleata di Turchia ed Arabia Saudita, che però combattono le forze che si oppongono alle forze jihadiste in Siria ed Iraq; ma al tempo stesso gli Stati Uniti sostengono le milizie curde siriane, dopo aver visto il cosiddetto ‘Esercito Siriano Libero’ sciogliersi come neve al sole dopo averlo inondato di armi e soldi, per la maggior parte dirottati verso le organizzazioni fondamentaliste che Washington – seppur senza grande convinzione ed efficacia – combatte. Obama e Kerry sembrano intenzionati a continuare il negoziato con Russia e Iran, ma è evidente che un intervento delle potenze sunnite in Siria manderebbe tutto all’aria. Insomma una situazione che tende allo scontro militare diretto con gli Stati Uniti in una posizione davvero scomoda e altalenante.
Ieri la Casa Bianca ha rimproverato Ankara ed ha chiesto alla Turchia, insieme a Francia e Germania, di sospendere i bombardamenti sulle Ypg curde, ma il premier islamista Davutoglu ha risposto che non ci sarà nessuna interruzione dei raid contro i ‘terroristi’. Che secondo le notizie riportate finora avrebbero causato la morte di parecchie decine di civili e di combattenti delle milizie popolari curde, alcuni dei quali uccisi nel bombardamento della base militare di Menagh, a nord di Aleppo, strappata dalle Ypg ai qaedisti di al Nusra qualche tempo fa. Ciò mentre, stando ad una denuncia arrivata sia da fonti curde che del governo di Damasco, un centinaio di militari e di mercenari turchi sarebbero entrati in territorio siriano a bordo di 12 pick up pesantemente armati.
Di fronte all’attivismo di Turchia e Arabia Saudita è giunta ieri la dura presa di posizione da parte di Teheran: «Non consentiremo certamente che la situazione in Siria evolva in linea con la volontà dei Paesi ribelli. Prenderemo le misure necessarie a tempo debito», ha detto il generale di brigata Masoud Jazayeri, vice del capo di Stato maggiore delle forze armate iraniane.
Anche all’interno degli ambienti filogovernativi turchi comincia a emergere qualche dubbio sulla linea suicida perseguita da Erdogan e Davutoglu. «Se le nostre truppe entreranno (in Siria) faranno il gioco della Russia e di Bashar Assad che accuseranno la Turchia di essere un occupante e il Paese dovrà necessariamente scontrarsi con la coalizione russo-siriana» avvertiva nei giorni scorsi Emre Akoz, l’editorialista di Sabah, quotidiano che sostiene l’Akp.
“Ma probabilmente mai prima d’ora” – segnala invece efficacemente il Washington Post – “i pericoli o le complicazioni di ciò che equivale ad una mini guerra mondiale sono stati così evidenti come nella battaglia in corso per il controllo di Aleppo”.
Da parte sua, ai governi occidentali che chiedono a Mosca di interrompere i bombardamenti contro “le opposizioni legittime e moderate” in Siria, il governo russo risponde che proseguirà i raid aerei anche nella provincia di Aleppo nonostante l’accordo di cessare il fuoco in Siria. “Noi combattiamo contro gruppi terroristici, Isis, al Nusra e altri, legati ad al Qaida. I bombardamenti su obiettivi dei gruppi terroristici continueranno in ogni caso, anche se si arriverà ad un accordo per il cessate il fuoco in Siria” ha affermato il vice ministro degli Esteri russo Gennadi Gatilov che poi ha aggiunto: “Il cessate il fuoco riguarderà coloro che sono davvero interessati all’avvio del processo di dialogo e non i terroristi”.
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