Una schifezza peggiore era difficilmente immaginabile. La Brexit immediata appare evitata solo se non si guarda ai contenuti dell’accordo raggiunto nella tarda serata al Consiglio Europeo e se non si pensa al probabile risultato negativo del referendum inglese che si dovrebbe tenere in giugno. Ma già così sono poste le premesse “legali” per la frammentazione progressiva dell’Unione Europea.
L’apparente paradosso – la storia recente della Ue è fatta di diktat feroci ai singoli paesi membri sulle politiche di bilancio, in nome dell’austerity – si spiega solo con il peso economico e politico della Gran Bretagna, sede della maggiore piazza finanziaria europea e tradizionalmente più legata agli Stati Uniti che nonn al Vecchio Continente, Ma sarà veramente complicato, d’ora in poi, negare a qualsiasi paese (in proporzione al suo peso economico, ovviamente) qualcosa di simile a quello che è stato concesso a Londra.
Il punto simbolicamente più chiaro – ma non il più importante – è la sospensione del diritto al welfare britannico (sanità e sussidio di disoccupazione) per tutti i lavoratori comunitari (italiani, spagnoli, polacchi, ecc). Non per i quattro anni chiesti inizialmente, ma addisirrtura per sette. La formula carogna è quella dei “tre anni rinnovabili” e l’applicazione di questo principio escludente soltanto ai “nuovi” immigrati comunitari in Gran Bretagna. Un meccanismo che noi italiani conosciamo benissimo, perché è stato applicato ai diritti dei lavoratori (pacchetto Treu, legge 30, jobs act) e alle pensioni (tutte le “riforme”, dalla Dini alla Fornero): si crea un doppio standard, poi si comincia a muovere i media contro i “privilegiati” che ancora non sono stati privati di un diritto, infime lo si toglie a tutti.
Ma, dicevamo, non è questo il punto più rilevante. E giustamente il premier conservatore David Cameron può sintetizzare così quel che ha portato a casa: «Ho negoziato un accordo per dare al Regno Unito uno speciale status nella Ue. Lo sosterrò domani al consiglio dei ministri». Per essere ancora più chiaro, davanti ai giornalisti ha ribadito: «La Gran Bretagna non farà mai parte del superstato europeo».
Gli altri punti su cui ha ottenuto tutto quel che voleva sono infatti “costituenti”. «Al momento della prossima revisione dei Trattati» verrà inserito un paragrafo che esenta Londra dal dover aderire a una «ever closer Union» («Unione sempre più stretta», ossia il principio costitutivo, la ragion d’essere dell’Unione Europea fin dal Trattato di Roma, nel 1957). Stabilito questo, le conseguenze sono ad libitum: la Gran Bretagna «non farà mai parte di un esercito europeo», non sarà chiamata a contribuire ad eventuali (certi) salvataggi finanziari, potrà restare indefinitamente fuori dall’euro e dal rispetto degli accordi di Shengen, oltre a mantenere completa autonomia nel settore bancario. Cameron è stato addirittra più diretto e brutale: «Saremo protetti in modo permanente, la supervisione delle nostre banche resta a noi, l’Eurozona non sarà un blocco che può agire contro di noi e non saremo discriminati».
Un’autonomia pressoché completa, che nessuno potrebbe considerare adatta a far considerare Londra come unmembro della Ue. Non basta, però. La Gran Bretagna manterrà un diritto specialissimo di intervenire «nelle decisioni che ci interessano e avremo la possibilità di prendere iniziative». Insomma, potrà condizionare levoluzione dell’Unione Europea senza essere condizionata. Una vera e propria “cessione di sovranità” da parte della Ue senza alcuna contropartita.
La disparità di trattamento è stata così evidente che il bastonatissimo Tsipras ha ritenuto di dover almeno minacciare il veto sull’accordo se la Ue non avesse almeno garantito che non ci saranno cambiamenti sul funzionamento delle frontiere (in pratica: che non siano previste altre sospensioni degli accordi di Shengen. Il timore è infatti di dover ospitare in territorio greco tutti i profughi in arrivo dalla Turchia, senza più valvole di sfogo ai confini con la Macedonia. Gli hanno bonariamente promesso che non vambierà nulla… per una ventina di giorni, fino al prossimo vertice europeo.
Adesso la parola passa al popolo britannico, in grande maggioranza favorevole all’uscita dalla Ue. Cameron, con questo accordo in tasca, potrà «raccomandare di votare per la permanenza» nell’Unione. Lo ha spiegato senza problemi: «A chi dice che un voto per il “no” al referendum sarà un voto per ottenere un accordo migliore dico che “se credi nell’Ue dovresti votare per restarci”»; in fondo ti danno tutta l’autonomia che pretendi…
Ma non è affatto detto che questo basti a far pendere il voto dal lato “europeista”. E lo sanno bene tutti gli squinternati protagonisti della trattativa condotta in porto ieri sera, che hanno preteso di inserire nel testo, come garanzia minima, la vittoria del “sì” al referendum. Altrimenti l’intero pacchetto di accordi «cesserà di esistere».
Così come l’Unione Europea, su questa strada…
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