Se l’intensa diplomazia di queste ultime settimane tra il Cremlino e la Casa Bianca ha prodotto l’accordo per la tregua in Siria e delineato una prima road map per uscire dalla crisi, le distanze tra Vladimir Putin e Barack Obama sull’altro dossier caldo che oppone Russia e Occidente, quello ucraino, rimangono sostanzialmente immutate. Almeno per ora. Il conflitto nel Donbass sembra ancora congelato dagli accordi di Minsk 2, anche se a ondate le forze armate di Kiev e in particolare le bande neonaziste al soldo di alcuni oligarchi bombardano alcune località più o meno vicine al fronte, causando vittime militari e civili e provocando la reazione delle milizie delle due repubbliche popolari di Donetsk e Lugansk. Questo mentre il regime ucraino uscito dal golpe del 2014 è in preda a scontri e spaccature dietro le quali è facile vedere l’intervento delle potenze occidentali che hanno sostenuto il cruento cambio di governo due anni fa.
Il presidente Petro Poroshenko e il premier Arseni Yatseniuk hanno ancora tre settimane di tempo per trovare una nuova maggioranza, altrimenti potrebbe diventare inevitabile il ricorso ad elezioni anticipate. Potrebbe trattarsi di un semplice aggiustamento interno al regime tra le diverse forze e correnti golpiste, ma la crisi politica sta aggravando una crisi economica che vede il paese allo stremo, sottoposto ad un durissimo piano di ‘salvataggio’ da parte del Fondo Monetario Internazionale.
Anche la stampa internazionale che a cavallo tra il 2013 e il 2014 avevano acclamato ‘EuroMajdan’ come un movimento democratico, moralizzatore descrivendo il golpe come una ‘rivoluzione’ che avvicinava Kiev all’Unione Europea e a un regime liberale ora non possono fare a meno di riconoscere – seppur senza clamore – che due anni dopo la defenestrazione di Viktor Yanukovich l’Ucraina si trova imprigionata nei meccanismi del potere degli oligarchi e nella corruzione dilagante, al centro di uno scontro geopolitico tra Russia, Stati Uniti ed Unione Europea.
L’intesa raggiunta tra Mosca e Washington per la tregua in Siria ha irritato il regime di Kiev, che teme un allentamento del sostegno da parte degli Stati Uniti in nome di una ricomposizione con Mosca che potrebbe andare ben oltre il Medio Oriente. Non vi è alcuna traccia concreta di un accordo tra Putin e Obama anche sulla vicenda ucraina, ma i rumors al riguardo circolano assieme ad aspetti non ufficiali dell’intesa sulla Siria. E Poroshenko avrebbe comunque il timore di concessioni statunitensi ai russi che indebolirebbero gli oligarchi di Kiev. Ad esempio un alleggerimento delle sanzioni contro Mosca, sul quale insistono da tempo e in maniera veemente alcuni paesi dell’Unione Europea che stanno perdendo miliardi di euro di fatturato a causa dei mancati scambi commerciali con la Russia.
Fino ad ora Bruxelles e soprattutto Berlino hanno assecondato le richieste ucraine di mantenere una linea dura contro Mosca, ma alla luce dei nuovi equilibri internazionali – tutti da verificare e confermare – l’Unione Europea potrebbe andare quantomeno ad una parziale rettifica. La recente visita nella capitale ucraina dei ministri degli Esteri di Francia e Germania per aumentare la pressione su Poroshenko e Yatseniuk è stata letta come un segnale secondo cui l’Unione Europea sarebbe poco disponibile ad assecondare le spinte più estremiste del regime di Kiev, oltretutto tenuto in scacco da un debito enorme che continua a galoppare. Da un lato c’è in ballo l’applicazione degli accordi di Minsk II, dall’altro il programma miliardario del Fmi, ed entrambi rischiano di finire a rotoli.
Già Putin, nel suo primo colloquio del 14 febbraio con Obama che ha aperto la strada a quello d’intesa sulla Siria del 22, ha ricordato al presidente degli Stati Uniti come Kiev non abbia soddisfatto una parte importante degli accordi (riforma costituzionale e decentramento con riconoscimento formale dell’autonomia dei territori a maggioranza russa), mentre nel secondo anniversario di Majdan è stato il vice presidente Joe Biden a rammentare a Poroshenko e a Yatseniuk l’importanza del rispetto dei punti dell’intesa.
Al di là però sia delle questioni interne a Kiev e sia della soluzione che potrà o meno essere trovata per il Donbass, Russia e Stati Uniti non sembrano voler cedere troppo spazio nella battaglia geopolitica strategicamente fondamentale come quella ucraina: Mosca continuerà a influenzare le vicende ucraine contando anche sull’appoggio degli oligarchi filorussi; Washington che inizialmente ha puntato su Yatseniuk e ora a Odessa a portato l’ex presidente georgiano Mikhail Saakashvili come governatore con mire che arrivano sino a Kiev, prosegue la strategia di pressione politica senza tralasciare aiuti economici e militari. Anche con il prossimo cambio di consegne alla Casa Bianca, ha sottolineato alcuni giorni fa il quotidiano Ukrainskaya Pravda, le cose cambieranno molto poco ed è improbabile che il nuovo presidente, democratico o a maggior ragione repubblicano, decida improvvisamente di abbandonare il regime ucraino.
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