Infischiandosene dei vaneggiamenti elargiti al mondo dai più sottili rappresentanti dell’intelligence (!) ucraina, sulla “guerra ibrida di Mosca” dietro le bombe di Bruxelles, qualcuno va direttamente al cuore della faccenda.
L’inglese The Guardian riporta le dichiarazioni fatte, “in via confidenziale”, dal re di Giordania Abd Allah II ai Congressisti USA, circa il ruolo della Turchia negli attentati in Europa occidentale. Secondo il monarca giordano, Erdoğan propone da tempo una soluzione “islamista radicale” dei problemi nella regione mediorientale e la penetrazione dei terroristi sul territorio europeo rappresenta parte della politica turca. Abd Allah II avrebbe parlato anche del ruolo delle Forze speciali britanniche (SAS) in Libia da inizio 2016 e del lavoro di altri reparti militari di Sua maestà nella formazione di un battaglione meccanizzato nel sud della Siria, completato con le forze che combattono il governo di Damasco. Abd Allah ha detto ai Congressisti che forze giordane, britanniche e keniane sono pronte a varcare la frontiera con la Somalia per colpire le formazioni di al-Shabab.
L’Africa, appunto. A dispetto di quanto propinatoci dai portavoce della “civiltà occidentale minacciata” dall’Islam e dai suoi seguaci in guerra contro le “libertà democratiche liberali”, la rivista AfriqueAsie riprende un grafico – pubblicato dal parigino Marianne.net – in cui si mostra come il continente africano sia stato quello di gran lunga più colpito dal terrore jihadista a partire dal 2015. Abd Allah Soidri scrive che, in questo periodo, “gli attentati compiuti da organizzazioni terroristiche islamiste hanno toccato una ventina di paesi in Europa, Asia e Africa ed è proprio in quest’ultimo continente che si sono registrati il maggior numero di attacchi e di vittime”. Non che questa sia una notizia di prima mano: le tragiche statistiche riportate dai media più o meno obiettivi ne parlano da sempre; ma non fa male ricordarlo a quanti si sbracciano nella difesa dei “sacri valori della libertà democratica occidentale”.
Nelle immagini che ci vengono presentate, degli attentati di Parigi dello scorso novembre o di quelle di Bruxelles dei giorni scorsi, si parla esclusivamente delle vittime europee, mentre altrettanto numerose sarebbero state quelle africane e asiatiche. “Ciò che colpisce guardando la mappa, è il numero di attacchi terroristici nel continente africano”, scrive Soidri; “La maggior parte degli attentati sono concentrati in Nigeria, Camerun e Ciad. In questa zona, Boko Haram semina il terrore a colpi di attacchi portati da giovanissimi kamikaze e di massacri nei villaggi, come a Baga tra il 6 e l’8 gennaio 2015. Si stima che, escludendo gli attentati in Turchia e Iraq, in tali attacchi siano rimaste uccise quasi duemila persone e, forse cinque volte tanto, ferite. Anche Africa occidentale, orientale e settentrionale sono colpiti dalla follia terrorista. Tra i paesi colpiti, Libia, Egitto, Costa d’Avorio, Mali, Somalia e Kenya”. In Asia, nonostante la morte di Osama bin Laden, i talebani sono ancora attivi: in Pakistan hanno attaccato un istituto universitario e un centro di vaccinazione anti-poliomielite, uccidendo 36 persone. Su 38 attacchi registrati, 25 sono stati portati da Daesh e Boko Haram, dopo che quest’ultima formazione giurò fedeltà a Daesh un anno fa. A esser colpiti, scrive ancora Soidri, sono stati in larga parte civili, ma, tra i religiosi, ci sono anche le minoranze musulmane sciite, con attentati nelle moschee il venerdì, giorno di preghiera. Non solo dunque i seguaci occidentali della sacra romana chiesa!
Béchir Ben Yahmed, fondatore, nel 1960, della rivista Jeune Afrique e oggi presidente del gruppo omonimo, in un articolo pubblicato appena due giorni prima degli attentati di Bruxelles, constatava come “gli attentati terroristici dei jihadisti vengano portati sempre più spesso nell’Africa settentrionale e subsahariana”. Senza contare quelli di Boko Haram in Nigeria e nei paesi limitrofi, l’elenco dei più recenti attacchi mostra come, a fronte degli attentati in Francia (gennaio, agosto e novembre 2015), quelli compiuti in vari paesi africani siano molto più numerosi. Dunque: Egitto (l’Airbus russo in ottobre 2015); Tunisia (marzo, giugno, novembre 2015; marzo 2016); Mali (novembre 2015, marzo 2016); Burkina Faso (gennaio 2016); Costa d’Avorio (marzo 2016). “Gli autori”, scrive Ben Yahmed, sono gli uomini di “Al-Qaeda, inventore del terrorismo cieco e i suoi discepoli di Daesh, ancor meno scrupolosi. Sembrano impegnati in una macabra esagerazione”, pur che il mondo parli di loro. Hanno scelto come terreno di operazioni tutti paesi cui avevano accesso, mirando ad alberghi o centri d’affari. In una situazione in cui si tende a dare sempre più poteri ai Ministeri degli interni e ai servizi di sicurezza, dice Ben Yahmed, è forse il caso di “fermarsi e domandarci chi siano e quanti siano questi terroristi. E’ purtroppo vero che sono più numerosi, meglio equipaggiati e forse più motivati oggi di quanto lo fossero 25 anni fa, quando Al-Qaeda faceva le sue prime vittime. Ciò significa che 25 anni di di lotta per contenerlo sono stati un fallimento? Oppure, la rinascita è stata innescata da nuovi argomenti di malcontento”. Secondo Ben Yahmed, i terroristi pronti a uccidere e a morire, possono esser stimati a meno di 100.000 in tutto il mondo; sono molti, considerato che erano meno di 10.000 all’inizio del secolo, ma sono pochi, se si considera il fenomeno come una “malattia dell’Islam”, a fronte del miliardo e mezzo di musulmani”. I terroristi di oggi, “se usano l’Islam come copertura politica e quadro ideologico, sono uomini e donne di tutti i paesi. Hanno 15 anni, raramente o mai più di 30: sono nostri figli o nostri fratelli e sorelle, in ribellione contro di noi e contro il sistema in cui abbiamo trovato la nostra posizione e da cui si sentono respinti”. Immobile per quasi dieci secoli, l’Islam dà i primi segni di un lento risveglio, afferma Ben Yahmed; “ma, nella sua parte araba, in cui i regimi, monarchici o repubblicani, sono per lo più dittatoriali e opprimenti, il petrolio e il suo smercio accrescono le disuguaglianze, cresce anche la resistenza contro i governi e contro l’Occidente che li protegge. Questo insieme di fattori ha portato ad Al-Qaeda e poi a Daesh. Sono riusciti a innescare una parte della gioventù euro-americana in cerca di nuove avventure. Quanto ai giovani africani, molti di loro si sentono esclusi dai sistemi dei loro rispettivi paesi e tra essi, una minoranza sogna la rivincita e vede la possibilità di farlo sotto la bandiera delle filiali africane di Al Qaeda o di Daesh”.
Un’analisi, per quanto possa condividersi e molto carente in fatto di sostegni internazionali e potenze beneficiarie dell’azione islamista, comunque molto diversa da quella di chi continua a volerci convincere di un attacco storico portato ai “nostri” valori, per difender”ci” dal quale ogni misura debba essere accettata.
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