Il trattato di libero scambio transatlantico, il Ttip, è destinato “a fallire” se gli Stati Uniti non faranno delle concessioni. L’avvertimento era arrivato nei giorni scorsi dal ministro tedesco dell’economia Sigmar Gabriel proprio nel giorno in cui il presidente degli Stati Uniti Barack Obama si trovava in Germania anche per perorare una firma rapida del progetto, da molti dato in dirittura d’arrivo ma in realtà in ritardo abissale rispetto ai tempi previsti inizialmente. “Gli americani non vogliono aprire i loro appelli di offerte pubbliche alle imprese europee. Questo è l’esatto contrario di un accordo di libero scambio, secondo me” aveva detto Gabriel in un’intervista al quotidiano economico Handelsblatt, aggiungendo poi che “Se gli americani resteranno su questa posizione, noi non avremo bisogno di un trattato di libero scambio e il Ttip sarà destinato a fallire”.
Il ministro tedesco ha avuto il merito di evidenziare la considerevole distanza tra due poli economici e politici in competizione tra di loro che cercano di accordarsi su alcune misure di interesse comune senza però riuscirci. Se è vero che il Ttip faciliterebbe assai le multinazionali nei confronti degli stati e dei regolamenti interni ad ogni paese, eliminando antipatici freni ai loro voraci appetiti, oltre che nei confronti dei poli geopolitici concorrenti, è altrettanto vero che ognuno dei due contraenti spera di ottenere il massimo possibile dei vantaggi a scapito dell’altro. Il che non rende affatto facile il raggiungimento di un accordo.
Accordo che sembra ancora più complicato e lontano dopo che nelle scorse ore la sezione olandese di Greenpeace ha pubblicato una lunga serie di documenti finora segreti che riguardano proprio i negoziati in corso tra Ue e Stati Uniti. I “Ttip papers”, come sono stati soprannominati, un totale di 248 pagine che stanno già scatenando un putiferio, sono stati inviati ad un gruppo ristretto di media europei (tra cui il Guardian, Le Monde, El Pais, la Sueddeutsche Zeitung, Askanews) prima della loro pubblicazione integrale sul sito web dell’organizzazione ambientalista olandese.
I documenti – che risalgono al marzo scorso e non sono aggiornati, dunque, con i risultati dell’ultimo “round” negoziale di New York, risalente alla settimana scorsa – coprono più di due terzi del totale dei testi del Ttip, e svelano per la prima volta, sulla maggior parte dei settori in discussione, una posizione negoziale degli Usa che definire intransigente e aggressiva è usare un eufemismo. Leggendo i documenti in questione, secondo Greenpeace, vengono confermate le preoccupazioni espresse dalle organizzazioni sociali, politiche, sindacali e ambientaliste sul “Partenariato transatlantico sulla liberalizzazione del commercio e la protezione degli investimenti” che appare soprattutto orientato ad abbassare, quando non direttamente a smantellare, gli standard attuali e futuri di protezione dell’ambiente e della salute applicati all’interno dell’Unione Europea, e a concedere alle lobby industriali e commerciali il diritto di orientare – più di quanto non facciano già – le decisioni comunitarie in numerosi settori chiave.
Un’istituzione sovranazionale già autoritaria e iperliberista come l’Unione Europea subirebbe un’ulteriore involuzione a vantaggio degli interessi degli oligopoli. Il Ttip rappresenta “una porta aperta per le lobby delle ‘corporation'” secondo Greenpeace, che accusa gli Stati Uniti di un “deliberato tentativo di cambiare il processo decisionale democratico dell’Ue” (ammesso che quest’ultimo esista…).
Dai “Ttip papers” appare evidente che gli statunitensi sono particolarmente aggressivi e determinati nel loro tentativo di costringere l’Ue a rinunciare al “principio di precauzione” come base per la gestione del rischio nell’approccio normativo riguardo alle politiche di protezione dell’ambiente e della salute, e in particolare per la regolamentazione delle sostanze chimiche, dei pesticidi, degli Organismi geneticamente modificati (che vengono citati nei documenti con il termine “moderne tecnologie in agricoltura” e mai con la loro sigla Ogm, per evitare evidentemente di spaventare qualcuno). In nessuno dei paragrafi del testo finora concordato su pressione statunitense appaiono “riferimenti alla regola generale di eccezione inclusa nel Gatt” dell’Organizzazione Mondiale del Commercio che permette ai paesi di regolare il commercio “per proteggere la vita o la salute degli esseri umani, della fauna e della flora” o “per conservare le risorse naturali”. Inoltre non appare nessun accenno, secondo Greenpeace, alle misure raccomandate per evitare l’innalzamento della temperatura globale e il cambio climatico.
Ma l’organizzazione ecologista accusa direttamente anche l’establishment europeo rispetto alla volontà di rendere le organizzazioni continentali degli imprenditori degli attori decisivi nel varo delle politiche dell’Unione Europea in merito a numerose questioni, rispetto alle quali gli interessi della grande impresa diventerebbero ostativi anche dal punto di vista formale.
Non è un caso che finora i negoziatori abbiano mantenuto uno stretto riserbo a proposito dei contenuti delle misure previste dal Ttip, impedendo di fatto una informazione continua e trasparente che permettesse alle organizzazioni sociali e politiche continentali di prendere una posizione adeguata rispetto a quello che si preannuncia, se andasse in porto, come un netto peggioramento all’interno di una Unione Europea sempre più antidemocratica e antipopolare al servizio degli interessi delle oligarchie.
Un motivo in più, sabato prossimo a Roma, per scendere in piazza non solo contro il negoziato sul Ttip tra Stati Uniti ed Europa, ma per denunciare il carattere antipopolare e imperialista delle istituzioni europee e dell’Unione Europea in quanto tale. Se è vero che Bruxelles sta tentando di rintuzzare gli appetiti delle multinazionali statunitensi – e ciò spiega il ritardo nella firma del trattato – è altrettanto vero che ciò avviene esclusivamente in nome della difesa dei privilegi e degli interessi delle oligarchie europee.
Una competizione, quella tra le classi dominanti statunitensi ed europee, alla quale le classi popolari del continente, ed in particolare quelle dei paesi trasformati dal meccanismo di unificazione europea in colonie interne, non possono che opporre un progetto di rottura e di trasformazione.
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