Il perenne presidente kazako Nursultan Nazarbaev ha dichiarato nei giorni scorsi che ogni tentativo di ripetere nel paese “gli avvenimenti ucraini”, verrà stroncato “nella maniera più dura”. I kazaki, ha detto Nazarbaev, “non vogliono gli eventi ucraini; io lo so e contro coloro che li vogliono ripetere qui da noi, prenderemo misure rigorose. Che tutti lo sappiano; e dopo non venite a dire che non avevo avvertito”. Ora, scrive Pravda.ru, dato che Nazarbaev è al vertice del Kazakistan dal 1989, se deve incolpare qualcuno per la situazione creatasi, può farlo accusando solo se stesso. Ma quale è il nocciolo della disputa?
Lo scorso 5 maggio, nel corso di una riunione di governo, il presidente ha posto una moratoria sugli emendamenti al Codice fondiario (dovrebbe entrare in vigore il prossimo 1 luglio), che avrebbero permesso di dare in affitto terreni a cittadini stranieri per un periodo di 25 anni. Al termine della riunione di gabinetto, Nazarbaev ha “accolto le dimissioni volontarie” del Ministro per l’economia, Erbolat Dosaev, che aveva curato gli emendamenti al Codice e ha nominato una commissione che lo riveda. In tal modo, scrive Pravda.ru, Nazarbaev ha fatto capire che le recenti proteste di piazza a Atyrau, Aktobé, Semej, Žanaozen e Kyzylorda sarebbero state legate proprio alla questione della terra: i manifestanti, in particolare le associazioni dei piccoli e medi agricoltori, esprimevano il timore che la riforma fondiaria portasse a un accaparramento di terre da parte di imprenditori cinesi. Nazarbaev ha detto che se il popolo non vuole tali cambiamenti, significa che non sono necessari.
Ciononostante, lui stesso ha poi definito “provocatori” i partecipanti alle proteste e la TV di stato ha qualificato le manifestazioni come il risultato del lavorio di “nemici esterni”. Di fatto, osservano alcuni analisti locali, le recenti proteste sarebbero le più forti, dopo quelle dei lavoratori petroliferi nel 2011 e ad Astana si teme che, così come era avvenuto in Ucraina, “forze occidentali” possano sfruttarle, giocando la carta del nazionalismo. Quelle attuali, a parere del direttore dell’Istituto CSI (l’organismo che riunisce alcune delle ex Repubbliche sovietiche) Konstantin Zatulin, sarebbero anche più gravi di quelle di cinque anni fa e dovute anche alla difficile situazione economica generale, legata alla caduta dei prodotti energetici, una delle principali fonti d’entrata del Kazakistan.
“In tutta l’area postsovietica sono tuttora in corso processi di consolidamento delle forze ultraliberali e ultranazionaliste”, ha dichiarato a Pravda.ru l’analista dell’Istituto russo di ricerche strategiche, Dmitrij Aleksandrov. Si tratta di forze “ultraliberali che si attengono a visioni occidentali e forze nazionaliste che non hanno solo posizioni anti-russe, ma che esaltano anche la propria superiorità nazionale. La leadership del Kazakistan cerca di raggiungere un certo equilibrio, pur se i liberali e i nazionalisti, soprattutto nei circoli intellettuali, stanno cercando di promuovere con successo i propri punti di vista”. Vale a dire che, come ritiene la direttrice dell’Istituto migrazione nei paesi CSI, Aleksandra Dokučaeva, gli stati postsovietici tendono a costruire la propria indipendenza, come indipendenza dalla Russia.
E’ così che, sulle orme di Kiev, “il periodo durante il quale il Kazakistan ha fatto parte prima dell’impero russo e poi dell’Unione Sovietica, nei nuovi manuali di storia viene definito come periodo di oppressione nazionale” e però, a differenza di Kiev, la partecipazione alla Grande guerra patriottica viene valutata come partecipazione alla guerra per la liberazione dello stato. Tuttavia, continua Dokučaeva, “in Kazakistan sono cresciute già due generazioni che percepiscono la Russia come paese colonizzatore, ex impero e oppressore dei kazaki”. Non è un caso che, lo scorso 9 maggio, nella capitale kazaka, Astana, non si sia svolta nessuna parata militare ufficiale per celebrare la Vittoria e, parallelamente, Nursultan Nazarbaev fosse seduto accanto a Vladimir Putin sulla Piazza Rossa: una specie di “compromesso nazionale”, pare, a uso interno.
In effetti, alcuni fatti legati alla storia recente, come la cosiddetta “primavera crimeana” – l’indipendenza della penisola dall’Ucraina e la sua unione alla Russia – sembrerebbero aver attivizzato gli umori nazionalisti di molti kazaki. La storica presenza di moltissima popolazione russa (ma anche ucraina, a essere esatti) soprattutto nel nord del paese, parrebbe fornire materiale infiammabile a organizzazioni quali il Fondo Soros, l’USAID e varie ONG statunitensi, per nutrire l’ennesima “rivoluzione della dignità” (come fu definita la Euromajdan di Kiev) tra i circoli nazionalisti locali.
“La terra qui è un valore sacro”, dice il politologo kazako Eduard Poletaev, anche se, “in fin dei conti, quanto previsto dal Codice fondiario non sembra dare fondamento per preoccupazioni circa la completa svendita dei terreni a stranieri o a qualche ricchissimo kazako, senza che ne rimanga per gli strati più poveri della popolazione”. Dunque, le proteste per la terra, proprio sul terreno del nazionalismo, danno maggior agio di ritenerle un pretesto di destabilizzazione agitato da soggetti esterni. Come la mancata associazione alla UE in Ucraina, così ora l’adozione del Codice fondiario, secondo Polotaev, potrebbe ben essere sfruttato a dovere dalle forze interessate a destabilizzare in Kazakistan: in ambedue i casi, gli avvenimenti ruotano attorno a “documenti”. Per di più, il Codice era stato adottato già da diverso tempo, ma le proteste hanno preso il via solo ora: difficile, afferma Polotaev, non pensare a uno “scenario ucraino”.
Fabrizio Poggi
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