Per chi conosceva il legame speciale tra gli Stati Uniti, il Sudafrica dell’apartheid e Israele non c’era mai statu dubbio: la repressione razzista contro i movimenti anti-apartheid avevano il supporto intensi della Cia e del Mossad.
Ora c’è anche la confessione di un vecchio 0007 statunitense a dare la conferma. L’ex agente e viceconsole a Durban, Donald Rickard – tanto per ricordare come il mestiere del “diplomatico” sia strettamente intrecciato con quello di spia – è stato intervistato qualche mese fa dal regista britannico John Irvin, autore di un film proiettato ieri al festival di Cannes, «Mandela’s Gun». Il film ricostruisce le fai che hanno portato all’arresto di Nelson Mandela, 54 anni fa.
Rickard aveva iniziato ad agire in Sudafrica durante la presidenza di Kennedy (altro mostro sacro “democratico” decisamente sopravvalutato) e rimase nella Cia fino alla fine degli anni ’70.
Nelson Mandela venne fermato mentre viaggiava, travestito da autista, fra Johannesburg e Durban, solo “grazie” agli informatori di cui Rickard disponeva all’interno dell’African National Congress (Anc). Insieme a Cecil Williams, Madiba era appena rientrato in Sudafrica dopo sei mesi di viagi per cercare supporto per il suo partito oltre che per migliorare la conoscenza delle tecniche di guerriglia.
La ragione per cui la Cia si attivò per la catura sono abbastanza semplici, nella logica del mondo “bipolare” d’allora: a Washington temevano che Mandela «avrebbe potuto incitare una guerra in Sudafrica in cui gli Usa sarebbero potuti essere coinvolti. Ci trovavamo sull’orlo (del precipizio) e doveva essere fermato ed io l’ho fermato».
In realtà il “timore” era anche più terra terra: «Mandela era sotto il controllo dell’Unione Sovietica», ha continuato a ripetere Donald Rickard fino alla morte (avvenuta due mesi fa)
La notizia non è ovviamente sfuggita all’Anc: «Abbiamo sempre saputo che alcuni Paesi dell’occidente collaboravano con il regime segregazionista – sostiene Zizi Kodwa, portavoce nazionale dell’Anc – ancora oggi ci sono chiari tentativi di destabilizzare il nostro partito al potere democraticamente». Come in Brasile, del resto…
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