Se l’obiettivo era attirare l’attenzione mondiale, il risultato ottenuto dagli attentatori in Bangladesh è pienamente riuscito. In effetti colpire indiscriminatamente persone innocenti nella loro quotidianità sembra diventato uno dei comuni denominatori che unisce l’attuale strategia del terrore islamista in genere, dallo Stato Islamico (ISIS o Daesh) ad Al Qaeda. In qualsiasi paese o nazione del mondo. Gli stessi obiettivi da colpire possono essere occidentali, come è avvenuto in questi giorni per i nostri connazionali a Dacca o, nella maggior parte dei casi, musulmani, vedi i recenti attentati in Turchia, Iraq, Libano, Afghanistan e Camerun. La scia di sangue lasciata dai diversi gruppi jihadisti, assoldati e finanziati in questi anni da paesi come la Turchia o l’Arabia Saudita per i loro scopi di dominio politico nell’area, a volte lambisce i loro stessi finanziatori e mecenati come ad Istanbul o a Medina.
Appare chiaro che gli errori rimangono sempre gli stessi. Dalla formazione nei primi anni ‘90 dei primi mujahiddin in Afghanistan, indottrinati dal wahabismo dell’Arabia Saudita e sostenuti economicamente e militarmente dagli Stati Uniti, fino ai foreign fighters di Daesh in Siria, poche cose sono cambiate. Gli errori sono sempre gli stessi: ingerenze da parte di potenze straniere regionali (Arabia saudita, Qatar, Turchia) e occidentali (USA, Francia e Inghilterra), guerre studiate a tavolino che hanno causato ulteriori nuove destabilizzazioni (Iraq, Libia), finanziamenti e fornitura di armi a gruppi ribelli quasi sempre appartenenti alla galassia jihadista. Come riportato da uno dei massimi conoscitori dei movimenti radicali, il francese Gilles Kepel, l’”Islam radicale, con una cadenza decennale, continua ad avere momenti di ascesa e di declino, si trasforma senza però scomparire a causa degli errori sia dell’occidente che dei regimi che li foraggiano”.
Come ulteriore elemento di riflessione resta l’attualità di questi giorni e la crudeltà dei diversi attentati, sia in Europa che nel vicino ed estremo oriente, che mette in evidenza la lotta per il predominio nella galassia jihadista tra Al Qaeda e lo Stato Islamico. Entrambe gli schieramenti radicali sono in una fase di lotta per l’egemonia sui militanti radicali e cercano, purtroppo, di alzare il livello di terrore sia nei paesi musulmani che in occidente: la competizione è tra chi provoca gli attentati più atroci e brutali per avere una maggiore propaganda mediatica nel mondo. Se da due anni a questa parte si poteva dire che per diversi motivi lo Stato Islamico era in netta ascesa, in questi ultimi mesi le cose sono cambiate. L’ISIS, infatti, ha perso negli ultimi sei mesi oltre il 40% del territorio del suo “califfato” tra Siria e Iraq, con il ritiro dei suoi combattenti da città come Palmira, Fallujah e Ramadi e con le sue principali capitali, Raqqa e Mosul, in procinto di essere assediate. Viene di conseguenza a mancare ed a disgregarsi quello che è stato uno dei punti di forza dell’ISIS. Nell’ideologia islamista radicale Daesh ha, infatti, incarnato quell’ideale che lo ha reso attraente nei confronti di molti foreign fighters che hanno cercato di raggiungere il suo territorio: uno stato islamico sovranazionale che supera i vecchi confini imposti dalle potenze coloniali e che accoglie tutta la Umma (Comunità) che crede nel wahabismo.
Altri due aspetti hanno, inoltre, indebolito il gruppo radicale fondato da Abu Bakr Al Baghdadi. Il primo è legato allo scontro non solo ideologico ma anche militare con il suo principale antagonista sul campo siriano: il Fronte Al Nusra (Al Qaeda). Dopo un primo periodo di alleanza si è passati, invece, al combattimento diretto tra le due organizzazioni, visto che Al Qaeda ha mostrato di volersi espandere e contrapporre allo Stato Islamico anche in territorio siriano. Dalla tregua di febbraio, come riportato dal New York Times, l’organizzazione terroristica legata ad Al Zawahiri sta spostando alcuni suoi quadri e centinaia di miliziani per prendere possesso della regione di Aleppo in maniera da creare una sua “capitale” contrapposta a Raqqa.
Il secondo aspetto di debolezza è legato alla notevole diminuzione della sua ricchezza ottenuta grazie al contrabbando di petrolio, notevolmente calato a causa dei bombardamenti dei caccia russi, o alla diminuzione di finanziamenti da parte dei suoi sponsor nei paesi del golfo. Questa minore disponibilità economica compromette in parte l’attività di propaganda e proselitismo nei confronti delle organizzazioni jihadiste del continente portata avanti fin dalla sua nascita.
Grazie alla propria potenza economica, infatti, in pochi anni lo Stato Islamico è riuscito a spodestare Al Qaeda ed ad affiliare diversi gruppi radicali dal Maghreb al sud est asiatico (Algeria, Egitto, Mali, Nigeria, Libia, Indonesia, Filippine, Bangladesh) assumendo una connotazione più “globale”. Secondo alcuni analisti lo Stato Islamico ha “progressivamente intrapreso una sorta di percorso di internazionalizzazione per la propria causa con una progressiva “pianificazione centralizzata” da un punto di vista logistico e militare” delle azioni terroristiche. Proprio in questo periodo di sconfitte in Siria, in Iraq ed in Libia, con la defezione e la fuga di numerosi miliziani dalle sue fila, lo Stato Islamico tenta di mostrare al mondo che è ancora in grado di colpire ovunque ed è ancora in grado di pianificare azioni militari a partire dai territori del Califfato. Di sicuro l’ISIS è nella sua fase calante proprio perché il progetto iniziale di Al Baghdadi era legato ad una sua continua “espansione e crescita”. In questo momento, invece, sembra aver perso molto del suo “appeal” anche se tale processo di decadimento potrebbe durare diversi anni. Con la sua scomparsa, però, non sembra automatico che a beneficiarne siano i paesi occidentali o le potenze della regione.
Il suo smembramento pone diversi problemi alle coalizioni ed ai servizi segreti occidentali ed orientali soprattutto per quanto riguarda il rientro dei foreign fighters nei loro paesi d’origine e la possibilità di ulteriori nuovi attentati. Altro aspetto, altrettanto paradossale, come ha giustamente scritto in questi giorni il giornalista del Guardian Jason Burke, attento osservatore e conoscitore dell’islam radicale, “il vero vincitore di questa lotta potrebbe non essere l’occidente, ma un gruppo che ha una strategia cauta, che è ben radicato e non è troppo estremista: Al Qaeda”!
Stefano Mauro
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