Milano ci è sempre stata raccontata come la città delle opportunità, il “sogno americano” verso cui migrare per sfuggire da precarietà e disoccupazione e costruirsi finalmente il proprio futuro. La città che nel mito della meritocrazia e dell’auto-imprenditorialità diceva di offrire prospettive infinite e di potersi mettere in gioco in una competizione alla pari che avrebbe premiato tutti.
Dietro queste aspettative, di cui Milano incarnava la massima rappresentazione, la nostra generazione ha sempre e solo conosciuto tutt’altra realtà, una condizione di miseria e crisi di prospettive generalizzata condivisa con una fetta sempre maggiore di lavoratori.
Tra questi, sulle categorie già più penalizzate – a cominciare dai migranti sistematicamente sottoposti a un doppio livello di ricatto e sfruttamento – vengono sperimentate le peggiori forme di neo-schiavismo nei lavori di nuova generazione al servizio delle grandi multinazionali e dei consumi dei ricchi, quelle del sistema delivery di cui sì Milano rappresenta la massima e più brutale espressione.
Oggi che il livello di sviluppo produttivo e tecnologico potrebbe concretamente permettere una vita dignitosa per tutti, il capitalismo scarica verso il basso le proprie contraddizioni trasformando, invece, questa possibilità in un’ulteriore stretta sullo sfruttamento. In un paese dove è di questi giorni la notizia che le persone in condizione di povertà assoluta sono oltre 5,6 milioni, quel mondo di opportunità si è rivelato un inganno, accessibile solo a poche figure iper-qualificate e costrette comunque a una competizione selvaggia per accaparrarsi quelle poche posizioni disponibili sul mercato.
In un sistema sempre più polarizzato tra chi può permettersi una casa e un percorso di studi qualificato e chi parte, invece, da condizioni svantaggiose l’unica “opportunità” è una vita di miseria nei lavori iper-sfruttati di nuova generazione o nei lavoretti a nero e precari nel turismo e nella ristorazione, cristallizzati anche sul piano giuridico in una miriade di contratti “deboli” o dove la subordinazione viene mascherata e negata per eliminare qualsiasi minima tutela o diritto.
Una comunanza di destini che su diversi livelli di sfruttamento unisce giovani e migranti e che deve diventare la nostra forza, quella di chi non ha niente da perdere, ma tutto da conquistare.
Per agire e riscattarci in questo presente occorre continuare ad affinare gli strumenti d’analisi di quelle che sono le nuove condizioni del lavoro lavorando nelle lotte alla ricomposizione e all’affermazione degli interessi di giovani e lavoratori.
Ne discutiamo a partire dall’esperienza di lotta rider in città che sta crescendo attorno a una vertenza per il riconoscimento del lavoro subordinato e quindi di quelle minime tutele (comunque insufficienti) rispetto alla truffa del “lavoro autonomo”.
Per discuterne pubblicamente, Cambiare Rotta ha convocato un dibattito in piazza giovedì 27 ottobre alle 14,30 davanti al Politecnico di Milano in piazza Leonardo da Vinci! Parteciperanno l’avvocato Giulia Druetta; alcuni Riders in lotta; Elena Lott della Federazione del Sociale USB e Sergio Cararo della redazione di Contropiano
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