Nuova retata di giornalisti in Turchia. Dopo che l’altro ieri erano stati spiccati 42 ordini di cattura nei confronti di altrettanti giornalisti, stamattina le autorità di Ankara hanno ordinato l’arresto di 47 ex dipendenti del quotidiano Zaman. I mandati d’arresto riguardano “dirigenti e personale di Zaman, compresi alcuni editorialisti”, ha riferito un funzionario turco dietro garanzia di anonimato, definendo la versione del giornale diffusa sino allo scorso marzo la “portabandiera dei media favorevoli” al predicatore Fethullah Gulen, considerato da Ankara il regista del fallito colpo di Stato in collaborazione con i servizi statunitensi. Il quotidiano Zaman, nel mirino di un giro di vite sull’informazione risalente alla primavera scorsa, ha subito molti licenziamenti e l’imposizione di una nuova linea editoriale dopo il commissariamento da parte dell’esecutivo. Il giornale, che prima dell’intervento punitivo dell’esecutivo tirava 650 mila copie, è di fatto stato ridotto al lumicino.
Secondo lo stesso funzionario, questi ex dipendenti del quotidiano Zaman non sarebbero stati colpiti dal mandato d’arresto per quello che hanno scritto in passato, ma perché alcuni “hanno potuto conoscere da vicino la rete tessuta da Gulen e in quest’ottica potrebbero essere utili all’inchiesta”.
Fra le persone ricercate dalla magistratura figurano un ex direttore di Zaman, Abdulhamit Bilici, e altri due ex direttori di Today’s Zaman (la versione in inglese chiusa dal governo a marzo dopo il commissariamento dell’omonimo gruppo editoriale), Sevgi Akarcesme e Bulent Kenes. Faruk Akkan, l’ex direttore generale dell’agenzia di stampa Cihan, anch’essa appartenente al gruppo Zaman, è stata oggetto di un mandato di arresto.
Inoltre almeno 32 professori universitari e 5 membri del personale amministrativo sono stati espulsi dall’università Afyon Kocatepe, nell’Anatolia occidentale. In totale, nelle purghe seguite al fallito putsch, sono stati allontanati finora almeno 1.617 dipendenti di 41 università turche, mentre 234 accademici sono stati arrestati. Inoltre, 15 atenei sono stati chiusi.
Dallo scorso 15 luglio sarebbero quasi 13500 le persone arrestate in relazione al fallito golpe, di cui circa 9000 soldati, 2100 tra magistrati e procuratori, 1500 poliziotti, 300 guardie presidenziali e circa un migliaio di ‘civili’. Mentre 1200 militari sono stati rimessi in libertà, per 6000 degli arrestati le autorità giudiziarie hanno già disposto la carcerazione preventiva. Se fino a qualche giorno fa un detenuto poteva essere tenuto in detenzione preventiva per un massimo di quattro giorni prima di comparire davanti ad un magistrato per la formulazione delle accuse e l’eventuale incriminazione, grazie allo stato d’emergenza proclamato dal governo dopo il fallito putsch il termine è stato ampliato a ben 30 giorni. Una misura che secondo le opposizioni di sinistra e le organizzazioni per la difesa dei diritti umani concede mano libera alle forze di sicurezza per compiere sui prigionieri ogni sorta di tortura.
Appare davvero paradossale che migliaia di soldati e i poliziotti di Ankara, responsabili di innumerevoli abusi e torture nei confronti dei militanti del movimento curdo e della sinistra rivoluzionaria turca, dell’uccisione di centinaia di civili, della chiusura di sedi politiche e della distruzione di villaggi e interi quartieri, subiscano ora le stesse pratiche da parte dei loro colleghi perché accusati di essere dei ‘traditori’. Altrettanto paradossale l’interesse mostrato in questi giorni dai media occidentali per una sistematica violazione dei diritti umani che per anni è stata ignorata quando a subirla erano categorie di cittadini “poco rilevanti” agli occhi dei governi europei e statunitense.
All’inizio di questa settimana l’organizzazione per i diritti umani Amnesty International ha denunciato in un rapporto la sistematica violazione dei diritti dei prigionieri e la documentazione di numerosi episodi di abusi e torture nei confronti delle persone arrestate.
Molti di loro, soprattutto i militari e i poliziotti, sono stati lasciati senza cibo per tre giorni e senza acqua per due, è stata loro negata assistenza medica, e sono stati obbligati a mantenere posizioni sfiancanti e dolorose per 48 ore. Amnesty ha denunciato, sulla base di quanto denunciato da medici e avvocati turchi, anche alcuni casi di pestaggio e di stupro. L’associazione scrive sul suo sito web di aver raccolto numerose “prove credibili” che i presunti golpisti detenuti in Turchia “sono sottoposti a percosse e torture, incluso lo stupro, nei centri di detenzione ufficiali e non ufficiali”. Due avvocati di Ankara hanno riferito che i loro clienti hanno assistito allo stupro, con un manganello e con le dita, di un generale ad opera di alcuni agenti di polizia.
Migliaia di detenuti sono stati ammassati in varie strutture come caserme di polizia, centro sportivi, tribunali o capannoni, spesso denudati e con le mani legate dietro la schiena con un laccio di plastica, ammucchiati gli uni sugli altri senza potersi muovere.
Tra i luoghi usati per concentrare gli arrestati Amnesty cita il centro sportivo della polizia di Ankara, il palazzetto dello sport Başkent e le stalle di un centro ippico sempre nella capitale. Una persona in servizio presso il centro sportivo della polizia, in cui erano ammassati circa 700 soldati, ha testimoniato che almeno 300 mostravano segni di pestaggi come ematomi, tagli e fratture, e che 40 di loro erano in condizioni così gravi da non riuscire a camminare. Secondo la testimonianza una donna, tenuta separata dagli altri, aveva ferite sul volto e sul tronco.
Alcuni avvocati incontrati da Amnesty International hanno denunciato che numerosi detenuti sono comparsi di fronte ai procuratori coi vestiti ricoperti di sangue.
Nel suo rapporto Amnesty ha sollecitato il Comitato europeo per la prevenzione della tortura a ordinare una missione d’emergenza in Turchia che, in quanto stato membro del Consiglio d’Europa, ha l’obbligo di cooperare col Comitato, che è l’unico organo indipendente autorizzato a effettuare visite ad hoc in tutti i centri di detenzione del paese.
L’organizzazione internazionale ha anche denunciato che l’Istituzione nazionale sui diritti umani della Turchia, che aveva accesso alle strutture detentive del paese, è stata abolita nell’aprile di quest’anno senza essere rimpiazzata da alcun altro organo simile.
Marco Santopadre
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