Se il golpe del 15 luglio in Turchia fosse riuscito Fethullah Gulen “sarebbe tornato come Khomeini e avrebbe formato il suo ordine. Sarebbe stata una Turchia completamente diversa” ha detto il ministro della Giustizia, Bekir Bozdag, che ha di nuovo ribadito a Washington la richiesta di consegnare l’ex mentore del presidente Erdogan e da 3 anni suo acerrimo nemico. Questo mentre Il Parlamento turco ha votato all’unanimità la formazione di una commissione d’inchiesta sul fallito colpo di stato; l’organismo comprenderà rappresentanti di tutti e 4 i partiti rappresentati nell’Assemblea e avrà, almeno teoricamente, il potere di interrogare i sospetti golpisti, anche quelli in stato di detenzione.
Si sta intanto svolgendo oggi il primo Consiglio Militare Supremo (Yas) convocato dopo il fallito putsch. Massimo organismo che decide nomine, promozioni e pensionamenti dei membri dell’esercito, il Consiglio è stato anticipato rispetto alla data prevista di inizio agosto e per la prima volta si tiene nella sede della Presidenza del Consiglio ad Ankara e non presso la sede dello Stato maggiore. La riunione è stata preceduta stamani da un omaggio al mausoleo di Ataturk del premier Binali Yildirim, che ha annunciato che i lavori si concluderanno in giornata, mentre in passato duravano 3 giorni. Le decisioni dello Yas dovrebbero essere annunciate domani, dopo l’approvazione del presidente. Diversi analisti prevedono cambiamenti significativi in diversi posti chiave di comando dell’esercito e l’aumento del potere degli organismi civili su quelli prettamente militari.
E’ già trapelato infatti che il regime sottrarrà la Gendarmeria e la Guardia costiera al controllo delle Forze Armate e li metterà a disposizione del Ministero dell’Interno. Ad annunciarlo è stato Efkan Ala, il responsabile del dicastero della sicurezza secondo il quale anche la Guardia Presidenziale verrà sciolta dopo che 300 suoi membri sono stati arrestati nei giorni scorsi.
Poco prima dell’inizio della cruciale riunione dello Yas, ieri sera 1684 militari, tra i quali 149 tra generali e ammiragli, sono stati congedati con disonore dalle Forze Armate di Ankara, e la stessa sorte è toccata a 1.099 ufficiali ritenuti “indegni”.
Il Ministro degli Interni ha informato che sono in totale ben 178 i generali e gli ammiragli arrestati finora, il che vuol dire che la metà dei comandanti dell’esercito sono finiti in manette; Efkan Ala ha precisato che per 151 di loro è già stato convalidato l’arresto.
Inoltre due importanti generali dell’esercito hanno rassegnato le dimissioni: si tratta del capo delle forze armate di terra, generale Ihsan Uyar, e del responsabile degli “addestramenti e della dottrina di comando”, generale Kamil Basoglu.
Il Ministro Ala ha riferito ieri sera che gli arresti in tutta la Turchia in relazione al fallito golpe sono saliti a 15.846, tra cui 10 mila soldati; di questi finora quelli convalidati dalla magistratura sono 8.113. Ma si tratta di dichiarazioni di ieri pomeriggio che non tengono conto delle ultime epurazioni.
La polizia turca ha arrestato nella provincia nordoccidentale di Bursa almeno 73 persone sospettate di legami con la rete di Fethullah Gulen, accusato da Ankara di essere dietro il fallito golpe. Tra queste, riferisce l’agenzia Dogan, ci sono l’ex prefetto della città Sahabettin Harput, in carica da oltre 6 anni, e l’ex capo della polizia, Ali Osman Kaya. Nella retata sono finiti in manette anche molti imprenditori.
In un altro settore sono 88 i diplomatici cacciati dal ministero degli Esteri, compresi due ambasciatori, ha informato il ministro Mevlut Cavusoglu, secondo il quale un dipendente dell’ambasciata turca a Kazan, nella repubblica russa del Tatarstan, sarebbe fuggito in Giappone.
Insieme ai militari, alla magistratura e all’istruzione pubblica e privata dove le purghe sono state più massicce il controgolpe del regime islamo-nazionalista si sta accanendo in particolare sui media.
Ieri sera il governo ha annunciato la chiusura di 45 quotidiani, di 16 emittenti televisive, di 3 agenzie di stampa, di 23 emittenti radiofoniche, di 15 riviste e di 29 case editrici. Misure che si aggiungono agli 89 mandati di arresto spiccati contro giornalisti tra lunedì e mercoledì. I media di cui il regime ha ordinato la chiusura sono per la maggior parte vicini o di proprietà dell’imam/magnate Gulen – come l’agenzia Cihan, i quotidiani Bugün, Taraf e Zaman, le tv Kanalturk, Bugün TV o Samanyolu TV – ma nell’elenco pubblicato dalla Gazzetta Ufficiale ci sono anche giornali e riviste di sinistra, marxiste e anarchiche come Meydan, oppure espressione della comunità curda, come Yumurcat TV, una catena televisiva locale che trasmette programmi per bambini. Sotto la scure del regime sono caduti anche due nuovi quotidiani creati dai lavoratori cacciati dai media sequestrati dal governo nei mesi scorsi, come Özgür Düsünce o Yeni Hayat.
Intanto dopo l’allarme sulle torture e sugli abusi inflitti in particolare ai militari e ai poliziotti arrestati, ora alcuni testimoni parlano di ‘desaparecidos’. A migliaia di arrestati, ammassati in strutture di detenzione anche non ufficiali come centri sportivi, installazioni militari o altro, non è stato permesso di incontrare i propri familiari e neanche i propri legali.
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