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Turchia, prigione a cielo aperto per giornalisti

Sono oltre 120 i giornalisti che attualmente si trovano in carcere nel Paese anatolico. Un numero aumentato esponenzialmente dopo il tentato golpe del 15 luglio, in seguito al quale sono stati fermati o arrestati circa 90 scrittori e membri della stampa. Una situazione accompagnata dalla chiusura di decine di organi di informazione, "oltre 150, escluse le centinaia di siti internet bloccati", specifica Erol Onderoglu, di Reporter senza frontiere, noto per aver definito la Turchia “la più grande prigione per giornalisti del mondo”.

Le prime misure prese dal governo turco dopo il fallito golpe sono state rivolte ai mezzi di informazione considerati vicini al movimento Hizmet di Fethullah Gulen, ritenuto da Ankara l'artefice del colpo di stato. In questo ambito sono stati chiusi 3 agenzie di stampa, 16 reti televisive, 23 radio, 15 riviste e 45 quotidiani a diffusione nazionale e locale. Ma nel mirino delle autorità turche sono ben presto finiti altri mezzi di informazione di posizioni politiche critiche nei confronti dell'esecutivo, tra cui diversi media filo-curdi e di sinistra. Il quotidiano Ozgur Gundem, accusato di essere legato al Partito dei lavoratori del Kurdistan (PKK), è stato il primo della serie. Diversi giornalisti e collaboratori del giornale sono stati fermati dalla polizia e in alcuni casi arrestati, così come figure importanti del mondo culturale e letterario turco come la scrittrice Asli Erdogan e la linguista Necmiye Alpay, ormai in stato di fermo da diverse settimane. Le due sono ritenute colpevoli di aver sostenuto l'organizzazione armata, solo perché membri della commissione scientifica del giornale. Ma numerosi altri intellettuali e membri della stampa sono indagati per aver lavorato per pochi giorni – oltretutto in segno di solidarietà, dopo l’inizio di una campagna di persecuzione precedente al fallito putsch – nella redazione del quotidiano. Una simile indagine è motivo di annullamento da parte delle autorità del passaporto dei giornalisti – senza che in merito vi sia una sentenza del tribunale. Diversi giornalisti, tra cui Celal Baslangic del quotidiano Cumhuriyet e Hayko Bagdat di Diken, sono venuti a conoscenza del divieto di uscire dalla Turchia trovandosi in aeroporto.

Le leggi decreto emanate grazie ai poteri straordinari concessi al governo dallo stato di emergenza in vigore dal 21 luglio scorso – appena prolungato di altri tre mesi – estendono incredibilmente questa misura anche ai familiari dei giornalisti indagati. Così ad esempio Ayse Yildirim, moglie dello stesso Baslangic e giornalista della stessa, non può attualmente lasciare il Paese. Ma anche Dilek Dundar, compagna del pluripremiato giornalista Can Dundar, è stata bloccata alla frontiera. Intanto Dundar, ex direttore del quotidiano Cumhuriyet, se n'è andato in Germania in attesa di un processo d'appello in cui dichiaratamente non ripone "alcuna speranza" dopo essere finito nel mirino del regime per aver pubblicato un reportage che provava il contrabbando di armi organizzato dai servizi segreti di Ankara a vantaggio dei jihadisti in Siria.

Un altro giornalista di Cumhuriyet, Erdem Gul, che assieme allo stesso Dundar ha firmato lo scoop sulle armi inviate da Ankara ai terroristi in Siria, non è potuto andare a ritirare il premio “Lipsia per la libertà e il futuro dei media” di cui è stato insignito, perché Ankara "ha annullato il passaporto di chi" come lui "è sotto indagine per reati commessi contro lo stato", spiega Gul. "In Turchia c'erano già grossi problemi riguardo alle libertà civili, a quelle d'espressione e alla democrazia, tutti considerati criteri fondamentali dell'Unione Europea con cui la Turchia sta ancora conducendo i negoziati di adesione. Dopo il fallito golpe del 15 luglio questi problemi sono aumentati ancora di più".

A scapito anche della pluralità di voci che caratterizzava – pur con mille difficoltà – il panorama dell'informazione turco. È il caso delle 23 emittenti televisive e radiofoniche – voci critiche della sinistra, filo-curde o della comunità alevita – che la settimana scorsa sono state chiuse con un raid della polizia, per via di un altro decreto legge del governo. Esemplare il caso della TV IMC – ritenuta una rete pluralista, femminista ed ecologista nonché una delle rare fonti di informazione dal Sudest a maggioranza curda rivolta al pubblico turco – che era già stata bandita alcuni mesi fa dal satellite Turksat. Oltre alla chiusura, la IMC – assieme alla rete televisiva Tv10, rivolta alle comunità alevite – ha assistito anche alla confisca e al trasferimento delle proprie apparecchiature alla rete statale TRT. Tra le altre emittenti colpite dalla censura anche Hayatin Sesi – nota soprattutto per l'informazione sui diritti dei lavoratori – ma anche Zarok, canale per bambini, la cui programmazione in lingua curda comprendeva esclusivamente cartoni animati.

Inoltre, secondo una nuova direttiva pubblicata nei giorni scorsi sulla Gazzetta Ufficiale, i giornali e le riviste che si rifiutino di licenziare i giornalisti sotto processo per un reato legato alla legge anti-terrorismo non riceveranno più gli avvisi ufficiali a pagamento, che per molti media costituiscono il contributo economico principale. Nel mirino ancora una volta i quotidiani che si discostano dalla linea ufficiale del regime. "Naturalmente questi giornali non licenzieranno i loro dipendenti, così non riceveranno più annunci e si troveranno a non poter più pagare gli stipendi e di fatto a chiudere", afferma Faruk Eren, presidente del sindacato Disk dei giornalisti. "Questa misura non ha alcuna corrispondenza nella giurisprudenza", commenta invece l'ex presidente dell'Ordine degli avvocati di Istanbul Turgut Kazan, "in Turchia non è più rimasta una minima briciola di diritto. Stiamo assistendo ad un processo inaudito con lo stato d'emergenza, in cui fare commenti giuridici ha perso ogni senso", aggiunge l'avvocato.

Dal 15 luglio a questa parte sono oltre 3mila i giornalisti che hanno perso il lavoro. Le associazioni di stampa, nazionali e internazionali, continuano a mobilitarsi per sostenere i colleghi, mentre sono state lanciate anche delle petizioni a livello internazionale per la scarcerazione di diversi scrittori e giornalisti tra cui Ahmet e Mehmet Altan. I due fratelli sono stati arrestati con la surreale accusa di aver lanciato dei "messaggi subliminali" a favore dell’imminente golpe poco prima che avvenisse, nel corso di una trasmissione televisiva. "Le accuse che ci sono state rivolte passeranno alla storia dell'umorismo" hanno scritto gli Altan dalla prigione.

"In questi giorni in Turchia risulta difficile non solo seguire le grandi notizie ma anche solo riportare i fatti quotidiani. Perché una gran parte dei media sta dalla parte del governo e c'è anche molta autocensura, non si riesce a scrivere di cose non gradite al governo", afferma il giornalista Erdem Gul. "Per questo, anche solo riportare la verità giorno per giorno comporta un prezzo molto alto".

Intanto proseguono senza sosta le purghe di massa iniziate dopo il fallito golpe del 15 luglio con l'arresto, disposto ieri da un procuratore, di altri 125 poliziotti. Secondo l'agenzia di stampa ufficiale Anatolia, agli agenti sono contestati dei legami con le reti del predicatore Fethullah Gulen, esule negli Stati Uniti. I sospetti sarebbero stati identificati, spiega il procuratore di Istanbul, perché avrebbero utilizzato una applicazione per smartphone che si chiama ByLock e che permette di scambiarsi messaggi criptati. I servizi segreti turchi sostengono di aver potuto, grazie a questa app, identificare finora ben 56.000 membri della "rete clandestina" di Guelen.

Nel corso degli ultimi tre mesi, le purghe di Ankara hanno colpito più di 100.000 persone, funzionari, insegnanti, giudici, procuratori o altri. Più di 32.000 persone sono state incarcerate.

 

Marco Santopadre

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