I sempre più frequenti casi di morte da superlavoro in Giappone stano provocando conseguenze legali per le aziende responsabili del feroce sfruttamento dei dipendenti. La Dentsu, il gigante nipponico della pubblicità, è stata perquisita ieri da un gran numero di ispettori del lavoro per trovare eventuali prove di eccessivi carichi dei lavoro per i dipendenti.
L'irruzione degli ispettori nasce in seguito al suicidio di una giovane dipendente dell'azienda, Matsuri Takahashi, che si tolse la vita il giorno di Natale dello scorso anno. Contro l'azienda è stata aperta un'inchiesta penale. Gli ispettori del lavoro, in questi casi, sono investiti di poteri analoghi a quelli della polizia criminale, quindi possono operare arresti e fanno riferimento direttamente alla procura. Il che non ha granché scoraggiato le grandi aziende nipponiche dall'approfittare dei propri dipendenti.
Secondo quanto riferisce l'agenzia di stampa Kyodo, gli ispettori hanno indagato sugli orari di lavoro. "Non si tratta solo del suicidio di una giovane dipendente", ha commentato uno degli ispettori, a quanto riferisce il Japan Times. "Noi vogliamo indagare complessivamente le pratiche gestionali rispetto al lavoro della compagnia".
La ragazza era stata da poco assunta e si occupava della pubblicità online. Finito il periodo di prova, da ottobre 2015, si trovò a dover svolgere più di 100 ore di straordinario in un mese, rispetto alle 40 ore precedenti, secondo quanto denuncia la famiglia. In particolare, dal 25 ottobre 2015, si trovò a lavorare per 53 ore consecutive, con solo 20 minuti di pausa. I documenti aziendali, tuttavia, parlano di straordinari per 69 ore e 59 minuti in un mese, un minuto meno del limite legale fissato a 70 ore.
Sui social media la ragazza si era sfogata e aveva persino espresso il desidero di "morire". Cosa che ha effettivamente messo in pratica il 25 dicembre, buttandosi già dal tetto del dormitorio aziendale.
In Giappone esiste una parola per indicare la morte da superlavoro: "karoshi". Recentemente il problema è tornato all'onore delle cronache, dopo che è emersa la storia di un giovane operaio filippino, Joey Tocnang, che ebbe un infarto causato – secondo le autorità – dagli eccessivi tempi e ritmi di lavoro.
Il riconoscimento del "karoshi" è piuttosto raro in Giappone e, particolarmente, quando si tratta di lavoratori manuali provenienti dall'estero. Secondo il gruppo di monitoraggio del rispetto dei diritti sui luoghi di lavoro per i tecnici stranieri (Gaikokujin Ginojisshusei Kenri Network) di Tokyo, si tratta solo del secondo caso, dopo quello di un cittadino cinese. Ma il fenomeno, a detta della stampa nipponica, è molto più esteso di quanto le autorità riconoscano.
Il mese scorso il governo di Tokyo ha diffuso uno studio molto preoccupante: il rapporto annuale sul karoshi. Il 23 per cento delle 1.743 aziende interpellate nello studio ha dichiarato di aver avuto dipendenti che hanno fatto straordinari per oltre 80 ore al mese, un livello superiore a quello di guardia. Il 12 per cento ha dichiarato di aver fatto lavorare dipendenti oltre 100 ore extra al mese. Il 44 per cento di queste aziende appartiene al settore del'informazione e della comunicazione.
Nel 2015 sono stati 96 i decessi dovuti a infarto o ictus e riconosciuti come causati dal superlavoro, oltre a 93 suicidi che sono stati direttamente collegati all'eccessivo carico lavorativo. Va poi presa in considerazione la situazione di 2.159 suicidi, che sono stati attribuiti almeno in parte a problemi lavorativi. Infine, il 45 per cento dei dipendenti interpellati ha dichiarato di essere affaticato e di non avere abbastanza tempo per il riposo.
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Stroszek
E il Corrierone della sera contemporaneamente invece si "preoccupa" per gli Hikikomori (sigh!)! Consigliando loro un futuro reinserimento nella società mediante il solito "volontariato"… gratis, of course.