E’ un vero e proprio bollettino di guerra quello proveniente ogni giorno dalla Turchia dove il presidente Erdogan ha deciso di spazzare via ogni forma di resistenza politica al suo potere ormai assoluto.
Ieri mattina una maxiretata ha portato all’arresto di altri 73 professori universitari accusati di intrattenere legami con il movimento Hizmet, quello guidato dall’imam e magnate Fethullah Gulen che il regime accusa di aver ordito il fallito golpe dello scorso 15 luglio. Il procuratore di Istanbul aveva in realtà spiccato un ordine di arresto nei confronti di 103 docenti della Yildiz Technical University, una delle più prestigiose della metropoli sul Bosforo, già colpita dalla repressione nelle scorse settimane.
Sono ormai 110 mila i dipendenti pubblici licenziati o sospesi dal loro incarico e ben 36 mila gli arrestati con l’accusa di aver in qualche modo favorito il putsch militare o di collaborare con i movimenti guerriglieri curdi.
Ieri mattina il Ministero della Difesa ha pubblicato i numeri riguardanti le purghe realizzate all’interno delle Forze Armate: 20.088 licenziati, di cui 16.423 cadetti e reclute.
La repressione selvaggia e indiscriminata all’interno dell’esercito sta generando nuove frizioni tra Ankara e l’Alleanza Atlantica, dopo quelle create la scorsa estate dall’assedio dei militari turchi ad alcune delle basi utilizzate dalla Nato nel sud del paese, al confine con la Siria. "Alcuni ufficiali turchi di stanza alla Nato hanno chiesto asilo negli Stati membri presso cui erano distaccati" ha informato il Segretario generale dell’Alleanza militare, Jens Stoltenberg, precisando che la questione degli asili verrà "valutata e decisa" dai singoli Paesi membri coinvolti perché si tratta di una prerogativa nazionale. "Abbiamo assistito a una serie di cambiamenti nella struttura di comando della Nato in cui il personale turco è stato avvicendato, ma decidere chi ricopre i singoli incarichi turchi all'interno della struttura di comando spetta solo alla Turchia" ha comunque concluso Stoltenberg, che domani sarà in visita ad Istanbul.
Dalla Germania l'Ufficio per i migranti e rifugiati di Berlino ha denunciato un'impennata nelle richieste di asilo da parte di cittadini turchi negli ultimi mesi. Dal giorno del fallito golpe.
A denunciare il terribile clima repressivo imposto ad Ankara dal regime islamo-nazionalista dell’Akp – che ormai ha cooptato anche gli ultranazionalisti fascistoidi dell’Mhp – è stato ieri l’inviato speciale dell’Onu per il diritto alla libertà di opinione e di espressione. David Kaye, al termine di una visita di una settimana realizzata nel paese, ha ribadito il diritto della Turchia a garantire la sicurezza pubblica e a lottare contro il terrorismo il che però, ha detto, "non significa che il governo ha un assegno in bianco per fare tutto ciò che vuole per restringere la libertà di espressione". L’inviato dell’Onu ha messo in evidenza soprattutto la situazione dei 155 giornalisti attualmente detenuti nelle carceri del paese per reati di opinione.
A Diyarbakir stamattina due giornalisti svedesi sono stati arrestati con l’accusa di aver realizzato delle riprese nei pressi di una zona militare. I due reporter di una tv svedese, informa l’agenzie governativa Dogan, sono stati arrestati dalla polizia turca per aver filmato vicino a un quartier generale dell'esercito. Dopo gli interrogatori sono stati trasferiti alla sezione della polizia che si occupa delle espulsioni degli stranieri. Questo mese le autorità turche hanno già espulso un giornalista francese che era stato arrestato nei pressi del confine turco-siriano. Olivier Bertrand, che lavora per il sito di notizie Les Jours, era stato arrestato a Gaziantep.
Intanto una dopo l'altra, praticamente tutte le città governate dai movimenti curdi e dalla sinistra nel sud-est della Turchia stanno finendo sotto il controllo del presidente Erdogan.
Negli ultimi giorni una nuova ondata di arresti di amministratori locali, accusati di legami con i "terroristi" del Pkk, ha aperto la strada al commissariamento di altri 4 grandi centri, dove al posto dei sindaci eletti il governo di Ankara ha inviato i propri commissari. Van, Siirt, Tunceli e Mardin, dove i curdi del Dbp – branca locale dell'Hdp – avevano stravinto le ultime elezioni amministrative, sono ora state sommissariate. Le municipalità curde commissariate dopo la stretta seguita al fallito golpe sono ormai più di 30. In manette erano già finiti anche i co-sindaci della 'capitale' curda Diyarbakir.
A Dersim tre giorni fa la polizia e l’esercito hanno arrestato 12 esponenti del Partito Democratico dei Popoli, tra cui i co-sindaci della città, Mehmet Ali Bul e Nurhayat Altun.
Restano intanto in carcere i due co-presidenti dell’Hdp, Selahattin Demirtas e Figen Yüksekdağ, che sono in condizione di isolamento dal 4 novembre scorso. Demirtas ha rifiutato di presentarsi alla prima udienza del processo per terrorismo in cui è imputato – che potrebbe costargli 5 anni di prigione – perché non gli sono ancora state formalizzate formalmente le accuse che gli sono state mosse. L’udienza è stata rinviata al prossimo 10 gennaio; Demirtas e gli altri 12 deputati arrestati nel corso di una maxiretata all’inizio del mese rischiano di restare in prigione molto a lungo in attesa di un processo che si annuncia completamente manovrato dal regime.
Poco più di una settimana fa un attacco attribuito al Pkk aveva preso di mira il funzionario inviato dal governo che aveva sostituito il sindaco eletto di Derik, cittadina nella provincia di Mardin.
Il Daily Sabah, organo d’informazione turco controllato dal regime, ha informato nelle scorse ore dell’arresto di due presunti combattenti europei delle Ypg-Ypj (le milizie curde operanti in Siria), i cittadini cechi Miroslav Farkas e Marketa Vselichova. I due sono stati arrestati il 16 novembre scorso vicino a Sirnak, città curda sottoposta a duri bombardamenti – che l’hanno in gran parte ridotta in macerie – e a ben 246 giorni di coprifuoco.
Marco Santopadre
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