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La UE spinge Kiev al conflitto aperto con la Russia

Il presidente della Commissione europea, Jean-Claude Juncker, ha dichiarato a Euronews che senza la Russia non è possibile costruire un sistema di sicurezza in Europa. Pur sostenendo che al momento non vede “argomento alcuno per togliere le sanzioni alla Russia”, Juncker ha espresso la speranza “che si giunga a un accordo con la Russia, che esca dai soliti schemi”.

In cosa dovrebbe esprimersi tale uscita dagli “schemi abituali”? Lo scorso 22 novembre il Parlamento europeo ha votato la risoluzione sull’Unione Europea della Difesa, con l'obiettivo, recita il testo, di “unire le nostre forze per costruire una difesa solida e cooperativa a livello europeo”. Ciò, perché a “livello globale, oggi, le maggiori minacce arrivano dalla Russia, dalle guerre civili in Nord Africa e Medio Oriente, dal terrorismo e dall’immigrazione”. Dopo aver decretato che “il 66% dei cittadini europei” e il “79% considerando soltanto i cittadini italiani” si esprimerebbe per “un maggiore sforzo dell’Unione per le politiche di sicurezza e difesa comuni”, si arriva al dunque e si “suggerisce” di ”dedicare il 2% del Pil di ogni paese per la difesa” e, a proposito della Nato, si chiede “una revisione della Politica di sicurezza e di difesa comune (PSDC) per consentire all’Europa di agire in quei casi in cui la Nato non sia disposta a farlo”.

Quindi, dato che la Russia figura al primo posto tra le “maggiori minacce”, niente di più efficace che rafforzare in ogni modo l'avamposto “difensivo” contro quell'insidia e “migliorare le relazioni UE-Ucraina”, sentenzia il presidente del Parlamento europeo Martin Schulz, assicurando che “il Parlamento europeo continuerà a lavorare con i partner continentali e a sostenere l'Ucraina e i suoi cittadini”.

E' dunque in quest'ottica che Kiev, come qualcuno ha osservato, ha deciso (o ha ricevuto il suggerimento) di mettere alla prova le difese antimissilistiche russe. Nei giorni scorsi Rosaviatsija ha dato la notizia secondo cui Kiev, in violazione “di tutti gli accordi internazionali”, si appresterebbe a effettuare lanci missilistici nello spazio aereo della Crimea. Nella nota diffusa lo scorso 24 novembre, Kiev ha annunciato l'attivazione di “zone di pericolo aereo”, in relazione ai lanci programmati per il 1 e 2 dicembre in direzione di Simferopoli; tali zone si addentrerebbero per 12 km nello spazio aereo russo, ma i lanci non sono stati concordati con le competenti autorità e gli enti di controllo del traffico aereo, anche civile.

Dunque, cosa c'è dietro tali lanci? Il politologo tedesco Alexander Rahr, dagli studi del canale TVC, ha dichiarato che l'Ucraina potrebbe approfittare del periodo di “trapasso” presidenziale USA per spingersi verso uno scenario di guerra. “Non ci sono prove” ha detto Rahr, “ma la faccenda ne ha tutti gli aspetti. Cercano di approntare un qualsiasi scenario, prima dell'arrivo di Trump. In questi due mesi possono arrivare a qualche provocazione”.

D'altra parte, il deputato della Rada, Oleg Tsarëv, su rusvesna.su, ipotizza che Kiev potrebbe avventurarsi in un conflitto con la Russia, pur di impedire la pubblicazione dei quattro “faldoni segreti” di Viktor Janukovič sui fatti di majdan del febbraio 2014.

Pur se la quasi totalità degli abitanti della DNR, secondo un'indagine di dnr-news.com, ha espresso solo giudizi negativi – il più benevolo: “traditore, per non aver armato il “Berkut” e non aver inviato l'esercito a respingere i nazisti di majdan” – sul deposto presidente, specialmente a proposito delle sue ultimissime dichiarazioni della riunione del Donbass all'Ucraina, i golpisti di Kiev temono forse per le loro personali “fortune” e chiamano a testimoniare in videodeposizione, in una causa in cui si accusa il “Berkut” di aver sparato a majdan, proprio colui che rifiutò di armare la milizia.

E gli accusatori sono proprio coloro che stavano dietro ai cecchini e che, in questi due anni, si sono preoccupati di eliminare ogni traccia da cui potesse risultare la vera direzione degli spari. Anche i lanci missilistici previsti sulla Crimea, a parere di Tsarëv, potrebbero servire a sviare l'attenzione sulle possibili rivelazioni di Janukovič o ad annullare del tutto la sua videodeposizione circa le vere responsabilità sulla morte di 20 agenti del “Berkut” e di decine di civili. Al curatore della squadra di cecchini diretta dagli americani, scrive Tsarëv, il lituano Butkjavičkus Audrjus, era stato negato a lungo l'ingresso in Ucraina, in quanto accusato di aver comandato, a suo tempo, anche i cecchini a Vilnius e poi in Kirghizistan e in Georgia durante la "rivoluzione delle rose"; il divieto di ingresso fu annullato, così che il gruppo giunse in Ucraina per il tempo strettamente necessario a portare a termine il lavoro e se ne andò. Gli altri due gruppi di cecchini, su cui si hanno prove e testimonianze, agirono sotto la diretta direzione dell'attuale Ministro degli interni Arsen Avakov, dell'ex direttore della cosiddetta “Autodifesa di majdan” e attuale presidente della Rada Andrej Parubij e di altri caporioni, oggi tutti ai posti di comando golpisti. Le prime vittime di majdan, continua Tsarëv, caddero sotto i colpi della guardia del corpo dell'odierno sindaco di Kiev, Vitalij Kličkò.

Una squadra davvero di autentici “riformatori”. E' per questo che l'ineffabile Martin Schulz insiste che l'Ucraina debba “continuare sulla strada delle riforme e gli stati europei devono dare prova di coraggio nel Consiglio risolvendo i problemi”. Non c'è proprio da stare allegri.

 

Fabrizio Poggi

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