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Da Bilbao ed Altasu un forte grido: “Amnistia!”

Migliaia di persone ieri hanno percorso le strade di Bilbao, in Euskal Herria, partecipando ad una manifestazione nazionale organizzata dal Movimiento Pro Amnistía y Contra la Represión, partita alle 18 dal cuore della città, un anno dopo la prima mobilitazione del 28 novembre del 2015. La convocazione, a cura di realtà che rimproverano alla sinistra indipendentista ufficiale una eccessiva arrendevolezza e di aver abbandonato le rivendicazioni storiche del movimento di liberazione ed antirepressivo, ruotava attorno alla richiesta di amnistia e di libertà incondizionata per tutte le prigioniere e i prigionieri politici baschi che continuano ad essere rinchiusi nelle carceri spagnole e francesi, dopo più di 50 anni di lotta di liberazione nazionale e nonostante siano ormai diversi anni che l'organizzazione armata abbia decretato la cessazione definitiva di ogni attività.

Stando alle dichiarazioni del portavoce di Amnistia ta Askatasuna, Sendoa Jurado, è importante ribadire il carattere politico e non solamente umanitario della rivendicazione manifestata ieri, e “porre sul tavolo che c’è stato un conflitto causato da due stati che hanno utilizzato la violenza già prima dell’esistenza della stessa ETA”. Solo il riconoscimento delle cause che hanno portato alcuni a fare una determinata scelta di lotta, insieme ad una forte pressione popolare che spinga in questa direzione, potranno garantire una pace giusta in Euskal Herria, soprattutto in un momento storico così delicato e in divenire. “Quando gridiamo amnistia, stiamo dicendo che terroristi sono coloro che disegnano la politica di repressione dai loro uffici, terroristi sono coloro che hanno torturato migliaia di persone in Euskal Herria per mantenere l'unità della Spagna, come ben chiedeva il Caudillo”.

Nonostante il cambio di fase avvenuto a partire dall’ottobre del 2011, quando ETA dichiarò la fine della lotta armata, si continuano ad applicare le stesse misure repressive in chiave antiterrorista.

La politica della dispersione non accenna a cambiare, nonostante i costi umani e politici altissimi. Il numero è calato negli ultimi 5 anni, ma rimangono reclusi per motivi politici ancora 355 detenuti e detenute, secondo i dati aggiornati a fine ottobre di quest’anno dall’associazione Etxerat. Soltanto 2 di loro si trovano a scontare la pena in istituti penitenziari baschi, 78 stanno scontando la pena in 23 diversi punti della Francia, 1 in Portogallo, 1 in Svizzera (il caso di Nekane Txapartegi, la cui denuncia di tortura da parte della Guardia Civil mentre si trovava in stato di isolamento dopo il suo arresto alla fine degli anni '90 è stata completamente insabbiata, mentre ora lo Stato Spagnolo chiede l’estradizione della donna al governo elvetico), mentre i restanti 273 prigionieri politici sono sparsi in 42 differenti carceri dentro i confini della Spagnao, ad una distanza media da casa che va da 400 a più di 1000 km, in evidente violazione della stessa legge di Madrid.

Iniziata nella metà degli anni 80 con il governo socialista di Felipe Gonzalez, non esiste nessuna base giuridica che giustifichi la dispersione da parte dell’amministrazione penitenziaria spagnola, ed è stata condannata in moltissime occasioni, non solo da parte della società civile e da gruppi e organizzazioni riconducibili al movimento di liberazione nazionale basco, ma anche da parte di istituzioni sovranazionali, come la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo e la Corte di Giustizia dell’Unione Europea, le cui sentenze Madrid continua ad ignorare con assoluta arroganza e con l’appoggio di alcuni media nazionali e dell’opinione pubblica più schierata a destra. Nonostante a livello europeo sia riconosciuto il diritto dei prigionieri a scontare la pena in luoghi vicini a quello di residenza, il governo considera “speciale” la situazione in Spagna, il che richiederebbe misure specifiche di isolamento per gli accusati di reati legati al terrorismo e che non configurerebbero alcuna violazione.

Come sottolinea molto bene un rapporto elaborato da diversi giuristi alla fine del 2015 sulla base di un lavoro realizzato dalla Universidad del País Vasco, coordinato e diffuso da Sare, rete cittadina per la difesa dei diritti dei detenuti nata nel 2014 (dopo la messa fuorilegge da parte del governo di una organizzazione simile precedentemente esistente), si continua quindi a dare a tutto ciò una giustificazione meramente politica, che non ha motivo di esistere e che non ha nessuna intenzione di produrre avanzamenti nella risoluzione del conflitto in Euskal Herria, processo di fatto mai iniziato e che non potrà portare alla pace finché le carceri saranno piene di prigionieri politici.

Le leggi certamente non aiutano: la recente Ley Órganica 2/2015 di riforma del codice penale in materia di terrorismo, elaborata da PP e PSOE in senso sfacciatamente punitivo, e il cui aspetto più critico è la reintroduzione mascherata dell’ergastolo e la previsione dell’accesso a trattamenti più favorevoli al detenuto dopo il ventesimo anno di pena e solo se si realizzano determinati requisiti, ovvero il pentimento o la collaborazione con le autorità, è solo un aspetto dell’indurimento progressivo del sistema penale spagnolo.

Un caso esemplare dell’atteggiamento dello stato spagnolo nei confronti dei baschi sono i fatti del 15 ottobre scorso ad Altsasu, cittadina della Navarra dove per una rissa fuori da un bar in cui furono coinvolti due poliziotti fuori servizio ben 9 persone sono state arrestate e subiranno un processo da parte dell’Audencia Nacional. Sette degli arrestati, tutti attivisti della sinistra indipendentista, si trovano in stato di carcerazione preventiva per “delitto di terrorismo in concorso con delitto di attentato, di lesioni e di provocazione alla discriminazione, odio e violenza contro gruppi” rischiando tra i 10 e i 15 anni di carcere.

Proprio ieri, in contemporanea col corteo nazionale di Bilbao a favore dell'amnistia, ad Altsasu si è svolta una manifestazione di solidarietà con gli arrestati, per denunciare l’operazione poliziesca e la manipolazione mediatica, oltre che per chiederne la liberazione, organizzata dai familiari degli accusati e dalla rete cittadina “Altsasuarra eta harro”, appoggiata anche dal Municipio. “Stiamo soffrendo un’ingiustizia. Hanno trasformato Altsasu in una questione di stato. Hanno stigmatizzato una città, l’hanno criminalizzata, non accettiamo questo attacco poliziesco” ha dichiarato uno degli organizzatori. Numerose sono state nell’ultimo mese le dimostrazioni di appoggio da parte di molti gruppi e associazioni, partiti e sindacati, come EHBildu e Podemos, ELA e LAB.

 

Clara Dal Pane

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