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Donbass: ancora una volta il cessate il fuoco non regge

Hanno fatto appena in tempo Vladimir Putin, Petro Porošenko, il Segretario generale dell'ONU Ban Ki-moon a congratularsi per l'accordo sul cessate il fuoco nel Donbass, raggiunto il 21 dicembre scorso a Minsk dal Gruppo di contatto, a partire dalla mezzanotte del 24 dicembre; aveva appena terminato, il vice comandante di corpo della DNR, Eduard Basurin, di confermare che dalla mezzanotte di oggi nessuno sparo si era udito lungo la linea del fronte, che pochi minuti dopo, lo stesso Basurin era costretto a correggere le proprie precedenti dichiarazioni e annunciare che le forze ucraine avevano bersagliato alcuni centri della DNR, causando la morte di un miliziano e il ferimento di un altro.

Ancora alle 9 di stamani (ora italiana), la Tass scriveva che il rappresentante ucraino in seno al Comitato congiunto di controllo, Anatolij Petrenko, confermava il rispetto del “regime del silenzio” lungo la linea del fronte. Poco dopo, anche le milizie della LNR confermavano che, al momento, il cessate il fuoco veniva pienamente rispettato. Ma ecco che dalla DNR si informava che, nella notte, le forze ucraine dislocate lungo la linea di contatto con la Repubblica popolare di Donetsk avevano infranto il cessate il fuoco per ben 180 volte: una “miseria”, rispetto alle oltre tremila volte del 23 dicembre. Si precisava che a sparare sarebbero stati mortai e blindati ucraini, ma non le artiglierie. Da Donetsk si dava la notizia secondo cui, intorno alle due del mattino del 24 dicembre, il centro di Spartak era stato bersagliato con tiri di mortai da 82 e 120 mm; colpiti anche  alcuni quartieri di Gorlovka e Zajtsevo. Altre violazioni della tregua si erano ripetute intorno alle 6 del mattino. Alle 11 ora italiana, anche dalla LNR si denunciavano colpi di mortaio da 120 mm ucraini sull'area di Kalinovo, cui le milizie non rispondono, per non cadere nelle provocazioni. Questa la situazione militare nel Donbass.

Deciso in coincidenza delle festività di fine anno, era questo il decimo tentativo di cessate il fuoco “a tempo indeterminato” dall'inizio della guerra nel sudovest dell'Ucraina. Come dichiarato dal rappresentante speciale dell'Osce, Martin Sajdik, al termine dell'incontro di Minsk del 21 dicembre, i partecipanti al Gruppo di contatto, “sottolineando la necessità di garantire la pace e la tranquillità in coincidenza con le feste imminenti", hanno riaffermato "l'impegno per un cessate il fuoco globale e duraturo a partire dalle ore 00:00 del 24 dicembre ora di Kiev” (le ore 23 del 23 dicembre ora italiana). Nell'occasione, Kiev si sarebbe anche impegnata a rilasciare entro la fine dell'anno 15 miliziani fatti prigionieri; ma, in generale, ciò che, apparentemente, impedisce di giungere allo scambio di tutti i prigionieri, sarebbe, al momento, un mancato accordo sugli elenchi dei prigionieri stessi, nonostante che, come dichiarato dalla portavoce della DNR al Gruppo di contatto, Viktorija Talakina, sia in corso da tempo un concreto lavoro per giungere a un accordo su quegli elenchi. Lo scorso 21 dicembre, Talakina aveva anche sottolineato come Kiev rifiuti di seguire i punti della road map delineata dai Ministri degli esteri di Germania e Francia, Frank-Walter Steinmeier e Jean-Marc Ayrault e sancita dal “quartetto normanno” (Hollande, Merkel, Putin e Porošenko): “Sia la posizione distruttiva della parte ucraina, sia la situazione militare, non parlano affatto del desiderio di Kiev di risolvere il conflitto per mezzo del dialogo politico”. Ormai da mesi Donetsk e Lugansk denunciano come Kiev disattenda platealmente i punti fondamentali degli accordi di Misnk e della cosiddetta “formula Steinmeier”: legge sullo status speciale per il Donbass, riforma costituzionale nel senso della federalizzazione dell'Ucraina, amnistia generale ed elezioni secondo una legge elettorale concordata tra Kiev e le Repubbliche popolari.

Nel complesso, lo stesso Sajdik aveva affermato che “una parte significativa degli impegni previsti dagli accordi di Minsk non sono stati adempiuti”, ma che, comunque, ciò “non deve impedire alle parti di continuare il processo negoziale nel nuovo anno” e che tra i risultati positivi del lavoro del Gruppo di contatto, c'è la notevole riduzione delle vittime, sia civili che militari. Da parte sua, il rappresentante russo al Gruppo di contatto, Boris Gryzlov, aveva dichiarato che l'instabilità della sicurezza è strettamente legata all'assenza di progressi sul piano politico. Gli ultimi avvenimenti attorno a Debaltsevo, a parere di Gryzlov, dimostrano che la formula indicata da Kiev “prima la sicurezza e poi tutto il resto” non funziona: “al contrario, essa spinge a nuove provocazioni le forze interessate a infiammare il conflitto. Ciò significa che le questioni della sicurezza e quelle politiche devono esser decise parallelamente”.

L'insistenza con cui Kiev, già per la seconda volta dall'inizio del conflitto, concentra i propri sforzi militari attorno alla cittadina di Debaltsevo, uscendone prima e dopo con le ossa rotte, dimostra l'importanza tattica del piccolo centro della Repubblica popolare di Lugansk, posto a metà strada tra Donetsk e Lugnask e snodo significativo lungo la linea ferroviaria che separa le rispettive regioni.

Se nello scontro di quasi due anni fa, migliaia di soldati ucraini erano rimasti intrappolati in un'enorme sacca, accerchiati dalle milizie popolari, anche nel tentativo di sfondamento del fronte operato dalle forze di Kiev nei giorni tra il 18 e il 20 dicembre scorsi, le cose non sono andate meglio per le forze dei golpisti, pur con perdite ufficialmente molto inferiori.

A dispetto delle esternazioni del capo del Consiglio di sicurezza ucraino, l'ex presidente a interim Aleksandr Turčinov, secondo il quale le forze ucraine avrebbero fatto arretrare le milizie dall'area di Debaltsevo, occupando nuove posizioni avanzate, sembra che, invece, proprio Kiev abbia subito le perdite più pesanti, lasciando sul terreno un centinaio di uomini, tra morti e feriti (fonti indipendenti ucraine parlano addirittura di oltre 100 morti) della 54° brigata e dell'11° battaglione della 59° brigata “Kievskaja Rus”. In base ai filmati pubblicati dalle milizie, molti dei feriti ucraini, peraltro in modo leggero, sarebbero stati addirittura abbandonati sul campo, condannati così alla morte per dissanguamento o congelamento.

Ma nemmeno le sconfitte sembrano insegnare nulla ai golpisti di Kiev che, insieme al terrorismo contro i civili del Donbass, insieme all'autoesaltazione di fronte alla superiorità politico-militare delle milizie e seguendo la scia dei propri modelli storici nazisti, non hanno rispetto nemmeno per i propri soldati.

 

Fabrizio Poggi

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