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Missili contro chi “fugge dalla patria”: parola di arciprete

Non accennano a placarsi le smanie declamatorie dell'arciprete russo Vsevolod Čaplin (il cognome non inganni: non c'è proprio nulla da ridere), anche dopo la sua esautorazione da rappresentante del Sinodo per i rapporti sociali della chiesa ortodossa.

Con l'ultima sua uscita ha esortato a risolvere coi missili la questione migratoria. Prendendo spunto dal rocambolesco quanto equivoco omicidio, in Malesia, del fratellastro di Kim Jong Un e dando per buona la tesi occidentale secondo cui Kim Jong Nam sarebbe rimasto vittima dei servizi segreti nordcoreani, Čaplin ha detto che "l'isteria" che circonda l'assassinio si spiega col fatto che "dei traditori si sono dati a scorrazzare, fuggendo da vari paesi di cultura politica non occidentale, verso paesi del "mondo libero", soprattutto in Occidente. Gli uni e gli altri, cioè chi li nasconde e garantisce la loro sicurezza, e i fuggitivi, sono entrambi dei traditori”. Nei loro confronti, ha sentenziato il buonuomo, si deve agire in tre modi: reintrodurre la pena di morte per i traditori della patria, consentire ai reparti speciali di eliminarli e, terzo, autorizzare precisi colpi missilistici sui traditori, quali sono, a parere di tale guida spirituale, tutti coloro che “abbandonano” la propria patria.

Il sant'uomo ha detto che ciò rientra nel quadro della sincera cristianità; tra gli estimatori delle sue proposte, nota Moskovskij Komsomolets, solo qualcuno giudica forse eccessivi gli attacchi missilistici.

Čaplin, allontanato da poco dalle sue funzioni – il patriarca di tutte le Russie, Kirill, ha parlato di problemi psichici; altri, delle sue posizioni riguardo alla situazione in Siria – non è certo nuovo a declamazioni in autentico spirito cristiano. Avendo criticato il patriarcato per la sua mania di “ingraziarsi il potere e i funzionari corrotti”, ha predetto alla Russia una “catastrofe rivoluzionaria” per il 2017. Più addietro nel tempo, dopo gli attentati di Parigi del novembre 2015, aveva chiamato alla “mobilitazione, innanzitutto spirituale e morale. Il tempo della tolleranza, del pluralismo, dell'indifferenza ideologica, del rifiuto della verità" è finito ed è il momento di tornare alla vecchia morale, aveva detto. Ma, nel corso della sua “evoluzione spirituale”, aveva anche affermato che “dovere morale dei cristiani, negli anni '20, sarebbe stato quello di eliminare quanti più bolscevichi possibile”; aveva poi detto di “non amare Mozart, la Britney Spears della sua epoca” e, nonostante esortasse a un “codice russo di abbigliamento per strip-bar e bordelli”, aveva giudicato una “manifestazione del tutto naturale di amore verso il patriarca, se qualcuno gli regala paramenti, automobili, orologi”.

A proposito dei mutamenti sociali: "Le persone cercano la giustizia, pensieri più alti, trasformazione del mondo. Dobbiamo dar loro la possibilità di realizzare quello che vogliono, con mezzi pacifici, legittimi, ma molto diretti. Dobbiamo realizzare i migliori ideali della Santa Russia, del califfato, dell'Urss”, stipati tutti in un sol cesto, “di quei sistemi cioè che sfidano l'ingiustizia e i dettami di élite ristrette sulla volontà dei popoli". Così, se “è meglio fare a meno della pena di morte, ci sono però delle situazioni in cui le minacce per la società sono troppo acute ed essa può difendersi anche con quel mezzo”.

Con tutto ciò, è comunque difficile distinguere così tanta spiritualità dai pensieri più elevati del patriarca stesso che, appena un mese fa, aveva omeliato i fedeli sul “crimine enorme” rappresentato dalla Rivoluzione del 1917. Secondo Kirill, i rivoluzionari “versarono sangue innocente, torturarono e tormentarono” e, oggi, “noi rabbrividiamo quando udiamo le notizie dall'Ucraina orientale. Vediamo come le persone soffrano per la guerra intestina. Ecco, pensiamo che la stessa guerra intestina era avvenuta nell'intero paese dopo la rivoluzione, allorché il fratello si levò contro il fratello, quando il sangue fu versato, quando si manifestò una terribile crudeltà". Peccato: Kirill avrebbe potuto paragonare l'aggressione del potere golpista di Kiev contro la popolazione del Donbass a un'altra aggressione, su scala molto più vasta. Ma non lo ha fatto. Per lui, il sangue che si continua a versare nel sudest dell'Ucraina non viene dai bombardamenti neonazisti sulle città delle Repubbliche popolari, ma è una “guerra fratricida”, un'affermazione, questa, che potrebbe essere tranquillamente sottoscritta anche dall'italico “quotidiano comunista”, per il quale “non ci sono né buoni né cattivi”. Secondo Kirill, nella Russia degli anni successivi alla Rivoluzione, russi “né buoni né cattivi” si uccisero tra loro, manifestando “terribili crudeltà”.

Peccato, ancora una volta: nemmeno una parola sul milione e passa di soldati stranieri riversatisi in Russia a dar man forte ai generali zaristi che terrorizzavano città e campagne di Russia, Ucraina, Caucaso. Kirill non ha ricordato i reparti inglesi, americani, canadesi, francesi, italiani, serbi che combatterono nel nord della Russia tra l'estate del 1918 e l'autunno del 1919; i tedeschi e gli austro-ungarici impegnati praticamente sull'intero fronte, dal Baltico al mar Nero, attraverso Bielorussia e Ucraina, dal febbraio al novembre del '18 e i greci e francesi che li sostituirono in Ucraina e Crimea fino alla primavera 1919. Nulla, a proposito di tedeschi e turchi che occuparono Georgia, Armenia e Azerbajdžan per quasi tutto il '18, sostituiti poi da truppe inglesi fino al luglio 1920; nulla, sulla “legione cecoslovacca” che, in qualità di avanguardia dell'intervento alleato, sanzionato dal “pacifico” Woodrow Wilson, scorrazzò nel 1918 lungo il Volga, negli Urali e in Siberia, fungendo da spina dorsale dell'esercito bianco del sanguinario Aleksandr Kolčak e nulla nemmeno dei giapponesi, americani, inglesi, cecoslovacchi, francesi e italiani che imperversarono in Estremo oriente o dei polacchi che, armati da Francia, Inghilterra e USA, infuriarono su Kiev, Minsk, Vilnius e poi in Siberia.

Non una parola sull'esercito del generale Denikin che, a sud, era praticamente agli ordini dell'Inghilterra, tanto che l'allora Ministro della guerra di sua maestà, Winston Churchill, lo definì “il mio esercito”: sarebbe “sbagliato pensare” scrisse più tardi Churchill, “che abbiamo combattuto per la causa dei russi nemici dei bolscevichi. Al contrario, i russi bianchi hanno combattuto per la nostra causa”. La causa della “spiritualità” cristiana, cattolica, ortodossa o protestante che sia, contro chi tenti di ribellarsi al servaggio: quello, sì, di una “terribile crudeltà”.

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